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L’Osservatorio del presente. Shilpa Gupta e Marisa Merz, la costante insinuazione del dubbio

Shilpa Gupta, I Will Die, 2012, Stampa su specchio, tenda ricamata su asta metallica, Foto Claudio Cerasoli, courtesy Fondazione MAXXI
“Sono sempre interessata a ciò che vediamo con la costante insinuazione del dubbio” ha dichiarato Shilpa Gupta, tra le artiste più consapevoli della sua generazione, impegnata al MAXXI L’Aquila in un interessante confronto con un’altra figura femminile attiva in un’epoca diversa e legata a problematiche ispirate alla storia dell’arte: Marisa Merz

Per avviare la nuova rubrica su Artslife “L’osservatorio del presente” la scelta è caduta sulla mostra visibileinvisibile al Maxxi L’Aquila, incentrata sul confronto tra due artiste di nazionalità e generazioni differenti, ma in qualche modo complementari: l’indiana Shilpa Gupta (1976) e l’italiana Marisa Merz (1926-2019). Curata da Fanny Borel sotto la direzione di Bartolomeo Pietromarchi, è concepita come un dialogo che si dipana, in modo arioso e misurato, negli ambienti del raffinato palazzo Ardinghelli, sede del museo, che prende ispirazione – come dichiarato dal titolo – dal testo teorico di Maurice Merleau-Ponty, rimasto incompiuto e pubblicato postumo nel 1964. “L’invisibile è il rilievo e la profondità del visibile” scrive il filosofo francese, e la frase si attaglia perfettamente all’essenza della mostra, incentrata sul sottile confine che separa pensiero e materia, tra pittura e scultura, immagine e parola.

Marisa Merz, Testa, 1984-1995, creta, cera, stagno, piombo su base in ferro, cm 97 x 30 x h 93, collezione Merz, foto Vianello e Mangosio, courtesy Archivio Merz

Molto suggestiva nella sua compostezza la sala centrale del museo, dedicata alle opere pittoriche di Marisa Merz: grandi carte dove l’artista tratteggia figure femminili ieratiche, tra l’angelico e lo spirituale, simili ad icone bizantine, eseguite con pennellate liquide, con tonalità di rosso, azzurro e oro, su fondi indefiniti e astratti. In altre sale sono presenti alcune teste scolpite da Marisa in materiali diversi, dalla creta alla cera, che contribuiscono a documentare il profilo dell’artista – unica donna nel movimento dell’Arte Povera – accompagnate dalle sculture realizzate in filo di rame, nylon o stoffa, e dedicate ad un universo privato e domestico, dove aleggia una tensione intima, rivolata verso una dimensione tattile e segreta dell’arte. In una sala viene proiettato La Conta (1967), storico video dove l’artista conta alcuni baccelli seduta al tavolo della cucina di casa, in un ideale dialogo visivo con Untitled (Shadow 3) (2007) di Shilpa Gupta, presentano nella sala attigua.

Shilpa Gupta, Stone and bulb, Credits Stephen White, Courtesy Frith Street Gallery, London

Si tratta di un video interattivo dove piovono sulle ombre dei visitatori oggetti che scivolano dall’alto, come in un teatro delle illusioni. Un’ottima introduzione alla ricerca di Gupta, che si muove in un ambito multidisciplinare, incentrata su macro tematiche tra le quali le barriere sociali di genere, le differenze religiose e la repressione del potere e l’impatto dei media sulla vita quotidiana. Da questo punto di vista per capire la forza silenziosa di Shilpa un lavoro emblematico è 24:00:01(2010-2012): un vecchio segnale ferroviario che indicano l’orario dei treni mediante lo spostamento di lettere e numeri, che Gupta utilizza in questo caso per trasmettere messaggi sociali ma anche personali, quasi a costruire una sorta di diario in movimento. Un’altra opera significativa è 100 Hand Drawn maps of Italy (2023) dove le pagine di un quaderno mosse dall’aria emessa da un ventilatore mostrano la sagoma dell’Italia tratteggiata da cittadini di nazioni diverse, in dialogo con Map Tracing #9 – Italy (2023), una mappa della nostra penisola delineata con un filo di rame sottile, quasi ad alludere alla fragilità di un’identità nazionale sempre più incerta.

Marisa Merz, Senza Titolo 2007, Tecnica mista su carta, filo di rame, chiodi; Shilpa Gupta, Untitled (Spoken Poems in a Bottle), 2018, Bottiglie, vetrina, lampadina, tavolo, Foto Claudio Cerasoli, courtesy Fondazione MAXXI

Legati al concetto di censura politica sono presenti due opere molto incisive, come l’installazione There Is No Explosive In This (2007), composta dai calchi di una serie di oggetti sequestrati all’aeroporto di Mumbai, e Untitled (Spoken Poem in a Bottle) (2018), dove una serie di bottiglie disposte all’interno di una teca illuminata da una lampadina contengono versi di poeti esiliati come Yannis Ritsos o Wole Soyncka. “Sono sempre interessata a ciò che vediamo con la costante insinuazione del dubbio” ha dichiarato Gupta, tra le artiste più consapevoli della sua generazione, qui impegnata in un interessante confronto con un’altra figura femminile attiva in un’epoca diversa e legata a problematiche ispirate alla storia dell’arte piuttosto che alla denuncia sociale. Un applauso del tutto meritato al Maxxi L’Aquila, che potrebbe allargare ulteriormente il suo raggio d’azione, aprendosi anche agli artisti italiani delle nuove generazioni più meritevoli di essere valorizzati a livello museale, magari riservando loro la stessa attenzione tributata a Shilpa Gupta.

Marisa Merz, Senza titolo, 2007, Tecnica mista su carta spolvero montata su pannello; Senza titolo, 2007, Tecnica mista su carta montata su pannello; Senza titolo, 1994, Creta, cavalletto in rame, paraffina, carta da lucido, filo di nylon; Senza titolo, 2012, Tecnica mista su carta montata su tavola. Foto Claudio Cerasoli, courtesy Fondazione MAXXI

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