Un’opera d’arte esiste solo se diventa un elemento del sistema? O deve esistere prima per poi entrarvi? Un punto di vista filosofico
Dopo la nutrita serie di interventi, risposte, dialoghi a distanza stimolate dall’articolo di Achille Bonito Oliva su “Arte e Sistema dell’arte” messo in circolo da Massimo Mattioli su Artslife e occasione di una vivace analisi del problema, vorrei provare, dopo scambi empirici o storico critici, a vedere la questione da un punto di vista filosofico. L’assunto di partenza è che un’opera d’arte se non entra nel mercato, se non viene pubblicata sui libri di storia dell’arte, se insomma non diventa elemento del sistema dell’arte, non esiste. Pur essendo stata creata, pensata, prodotta, realizzata fisicamente, senza la certificazione del sistema non esisterebbe.
L’argomento in sé sembrerebbe paradossale, e gran parte degli interventi di critici e artisti che hanno animato la discussione hanno affrontato il problema da un punto di vista empirico, rovesciando il presupposto: è senza l’opera che il sistema non si darebbe. Mentre altri al contrario concordano sul fatto che senza il sistema l’opera non esisterebbe. Come uscirne? La soluzione va data in senso ontologico, metafisico. Partendo da una considerazione: l’uso del verbo “esistere” è diverso nel caso dell’opera prodotta e in quello dell’opera nel sistema.
Esistere prima per poter essere poi
Nel primo caso l’opera è comunque, dovunque sia. Anche nascosta in una cantina, invisibile a tutti, anche se nessuno, a parte l’artista, sappia della sua esistenza, l’opera “è”, occupa uno spazio. Questa esistenza nuda e cruda in fondo potrebbe un giorno permetterne perfino la sua fama. Pensiamo solo al caso di tanti artisti e artiste outsider, alienati mentali o dilettanti scoperti nelle ultime biennali sul letto di morte (per lo più africani o aborigeni). Classificabili artisti solo al momento del loro ingresso nel sistema dell’arte. L’opera ad ogni modo doveva esistere prima per poter essere poi un elemento del sistema. In questo primo caso l’essere dell’opera riguarda la sua esistenza in quanto oggetto in sé, anche se sconosciuto a tutti.
Poi c’è l’essere dell’opera tale solo una volta che entra nel sistema dell’arte (l’esistenza sociale e culturale di cui parla Bonito Oliva). Solo nel sistema possiamo dire di un’opera che è. Da questa affermazione si genera l’equivoco, che possiamo però correggere o, ancora meglio, completare. Affermare “l’opera d’arte è tale solo se entra nel sistema dell’arte”, significa infatti dare all’opera un secondo livello di esistenza, che si aggiungerebbe al primo. Un livello tautologico e non ontologico, secondo cui è il sistema che certifica l’opera d’arte come tale, il che ci porterebbe alla dimensione sistemica (non ontologica) dell’opera. Per cui possono darsi artisti per i quali il sistema viene prima dell’opera, i quali cioè pensano l’opera in funzione del sistema, come se quello fosse la loro finalità (Aristotele la direbbe la “causa finale”), il loro destino, lo sfondo delle loro aspettative.
Arte senza sistema
Ecco che ora avremmo risolto in modo filosofico la questione. Da una parte ci sono opere (e artisti) che possono benissimo avere in mente, desiderare, aspirare di entrare nel sistema dell’arte, senza che ciò accada effettivamente o che questa aspettativa determini o intervenga nell’atto creativo originario, nella forma, nell’idea, nello stile dell’opera. Dall’altra ci sono invece artisti che producono opere pensando ab origine cosa realizzare affinchè il sistema lo possa accettare: in questo secondo caso il sistema influisce, determina, condiziona l’opera anche nella sua fase di creazione.
Detto ciò, ci possono benissimo interessare opere del primo o del secondo tipo (tutta l’arte che potremmo genericamente definire Concettuale è del secondo tipo, tutta l’arte che potremmo classificare come Espressionista del primo, tanto per semplificare). Senza che questo significhi che le prime opere siano preferibili alle seconde e viceversa. Altra cosa è invece affermare che l’opera d’arte senza il sistema non esisterebbe. Siamo qui di fronte a due significati, due usi diversi del verbo essere, quello ontologico e quello sistemico, erroneamente confusi. Che possono dialogare, sovrapporsi, scambiarsi le parti, ma che andrebbero sempre esplicitati.
Essere ontologico e essere sistemico
Una cosa è certa: artisti, critici, collezionisti e galleristi (ma non solo loro), dovrebbero avere chiara in tutta onestà la cesura tra l’essere ontologico e l’essere sistemico dell’opera d’arte, per non dare l’impressione di far finta di non capire o di travisare un artista o un’opera d’arte sistemica (che mira solo al mercato, alla notorietà e all’inserimento nel mondo dell’arte) con una ontologica (che vuole prima di tutto essere se stessa e non “funzione di”). Un conto ad esempio è parlare di un’opera come di un’opera d’arte, un altro è comprenderla come copertura per entrare nel sistema: sarebbe come collezionare dipinti per la loro bellezza o usarli come status simbol o speculazione. Lecite entrambe le azioni, ma la prima è un valore d’uso, il secondo di scambio.