Se è vero che i soldi non danno la felicità, chi i soldi li gestisce può fare la felicità degli appassionati d’arte. Un’analisi “a freddo” sull’avventura genovese de La Galleria BPER Banca, chez Fondazione Carige.
C’era un tempo, tra XVI e XVIII secolo, in cui «I genovesi si sentivano attratti dai maestri emiliani» spiega Lucia Peruzzi, presentando all’elegante platea “Sinfonie d’arte. Capolavori in dialogo tra Modena e Genova”, progetto espositivo di cui è curatrice assieme ad Anna Orlando. La buona notizia è che quel tempo è tornato. Ovvio, con una modalità decisamente più in linea col XXI secolo. Cosicché a smuovere l’asse Genova – Emilia non troviamo più le grandi famiglie genovesi, quelle con le tasche piene di quattrini d’un tempo. Non gli Spinola, i Doria o i Pallavicino, bensì la fusione – con annessi patrimoni artistici – tra due gruppi bancari: BPER Banca e Carige.
Pecunia filantropica: se i soldi un tempo permettevano a pochi eletti di collezionare, e godere, di nomi di tutto rispetto, oggi uno dei più grandi gruppi bancari scende in campo in nome della collettività. Perché – come spiega Sabrina Bianchi, Responsabile del Patrimonio Culturale di BPER Banca – «Rendere fruibile la cultura è per noi un pilastro fondamentale».
Coadiuvati da Fondazione Carige, questi emiliani alla “conquista di Genova” hanno ciò che nella City sarebbe additato come know how: “Sinfonie d’arte” è progetto sviluppato unendo una serie di maestranze che sanno il fatto loro, dalla curatela, all’allestimento, alla realizzazione del catalogo. È una mostra funzionale a un pensiero, e pensata per funzionare, con nomi che vanno da Procaccini, a Guercino, Reni, Cambiaso e Crespi, giusto per tirarne fuori cinque dai 31 che sono. È allestita in uno stupendo Palazzo Doria Carcassi, sede di Fondazione Carige. Cosa volere di più? Che sia ad accesso gratuito. E infatti lo è. Ed è l’ennesimo esempio, specificamente per Genova e i genovesi sia chiaro, che non tutti i forestieri vengono per nuocere.
Peruzzi racconta che «Per far incontrare Genova con l’Emilia abbiamo fatto un po’ fatica». Riferendosi a Palazzo Doria Carcassi, Anna Orlando aggiunge «Non è un contenitore neutro». Instradandosi, quindi, su un aspetto fondamentale e troppe volte messo in disparte: «Sono dipinti nati per essere in una casa». Uno dei plus del progetto è, in effetti, la sua capacità di captare una dimensione domestica, reiterandola di sala in sala. Di suggestione in suggestione. Perché sì, le sei sezioni concepite dalle curatrici sono piuttosto delle suggestioni; assonanze tematiche che hanno il pregio di mettere in risalto le specificità di ciascun artista, in quell’epoca “rovente” a cavallo tra il classicismo carracesco (e i suoi derivati) e la modernità caravaggesca (anch’essa coi suoi derivati). Lungo tutta la conferenza stampa di presentazione, Orlando ci ha pure colpiti al cuore, con la frase meno scontata che un curatore possa pronunciare: «Facciamo le mostre non per noi stessi, per farci belli, ma per seminare». Si pensa al pubblico, alle nuove generazioni. Si tiene a bada l’autoreferenzialità. Questa è vera competenza.
Orlando e Peruzzi hanno messo mano su una grande (e invidiabile) collezione, evidenziando al suo interno alcuni temi cruciali per metterli in mostra col metodo dell’incrocio prospettico. Un incrocio dove i “Gesti di seduzione” risentono dell’interpretazione di una comune sensualità seicentesca, virata però tra sacro di una biblica Susanna di Ludovico Carracci, e il profano di una maga Armida e Rinaldo di Alessandro Tiarini. Delle altre cinque sezioni che compongono la mostra, segnaliamo “Vergini ed eroine”. Perché sì, c’è Guido Cagnacci, colui che per certi versi è stato l’anello di congiunzione tra classicismo e caravaggismo; ma anche perché è quella dall’allestimento più intrigante, con opere a varie altezze che interpretano il luogo in ottica di vivo ambiente di rappresentanza, meno in quella di pura sala espositiva. La Sant’Agata di Cagnacci, quindi, te la guardi tirando su la testa, facendo lo slalom tra l’oro che decora le pareti. E, come tutte le altre opere, sta lì a far presente che Palazzo Doria Carcassi è uno spazio connotato, in cui ogni dipinto è ragionato come elemento endemico, contestualizzato tra oro, stucchi, marmi e tessuti damascati. A puntualizzare che gli “anestetizzanti” pannelli delle solite mostre temporanee non sono mai un granché. E che da una fusione tra banche possono nascere nuove opportunità per la filantropia culturale.