
Un salotto di velluto condito da spirali di orchidee, nel cuore dell’Upper East Side, a due passi dalla Frick e Central Park. L’edizione americana della regina delle fiere di antico e alto antiquariato, Tefaf, si sposa con le luci elettriche e cosmopolite di New York, calibrate sulla frequenza di casa, temperatura moderno e contemporaneo. La severa eleganza dutch si amalgama alla crema patinata di Lenox Hill in una sei giorni (dal 12 al 16 maggio, preview 11) di passione, peonie, glamour, arte, ostriche e totem di primavera, ortensie latte miste a candida carne delle rose. Apparizioni identitarie floreali che marchiano di seta gli spazi del maestoso Park Avenue Armory, l’ex Armeria del Settimo Reggimento risistemata d’autore da Herzog & de Meuron pochi anni fa. Nello scenografico salone ottocentesco (la fiera è su due piani, ma la parte principale è tutta dispiegata a livello terra) sono raccolte le 91 gallerie selezionate quest’anno. La qualità regna, senza fronzoli in maniera discreta, la curatela dello stand è quasi sempre dominante (stonano i booth senza criterio, e senza senso per questo genere di manifestazione), la fiera (alla sua ottava edizione newyorkese) si conferma come uno degli appuntamenti imprescindibili dell’anno: inaugura l’art week di casa (quest’anno seguita a poche ore dalla prima Evening Sale di Christie’s che ha preso il volo con i quasi 44 milioni dei Flamants di Rousseau, record) e taglia il nastro dei vernissage costellanti i block, la città. Da ieri, via alle danze e agli champagne che fermentano le arie di gallerie e musei in un susseguirsi di preview senza fine tra Madison Avenue, Chelsea, Soho, Tribeca, con intermezzo di fiere di super contemporary che si accendono qua e là (Indipendent, Nada, Volta, Future, 1-54, preambolo o accompagnamento dell’avvento la prossima settimana della contemporaneità folle e prepotente di Frieze). Rientrando nel reggimento neogotico di Tefaf, segnaliamo l’importante presenza della compagine italiana con sei gallerie all’appello, sette con Robilant&Voena – con sede principe però a Londra (e l’altra a pochi isolati da qui, con panoramica sulle Mappe di Boetti – imponente la partecipazione delle “istituzioni” locali, dai direttori di musei ai collezionisti e le fondazioni, agli stessi dealer, primi attori della parabola commerciale in loco. L’offerta, a parte il Basquiat di Van de Weghe da 22 milioni di dollari (visto a Basel Miami qualche anno fa) è circoscritta a valori “umani”, quasi tutto sotto il milione, con pezzi anche a qualche decina di migliaio di dollari. Le vendite, si vocifera, ottime, tante, fin dalle prime battute (ne abbiamo parlato in questo articolo – ne seguirà un altro con le “somme” finali), appena aperti i battenti dell’Armeria nella tarda mattinata di ieri 12 maggio. Importanti, come sempre, le relazioni e le connessioni create tra i corridoi – chi tratta moderno soprattutto, qua ci deve essere, dato che è l’unica fiera che parla questo tipo di linguaggio a New York che, si voglia o meno, è ancora, nettamente, il centro del mondo, qua passano tutti, punto (qui l’intervista a Will Korner, Head of Fairs Tefaf Maastricht e NY). La differenza più evidente con la sorella grande del Limburgo è, oltre al minor numero di gallerie (un terzo di meno), la connotazione “boutique” con spazi più o meno uguali per tutti da circa 30 metri quadrati. Si lavora di fino. Questo comporta una diversa predisposizione (e visione) da parte dei partecipanti per ricamarsi a puntino tra le brevi pareti dello stand, giocando con luci, colori, palette e moquette. Cercando di offrire una proposta che sia al contempo curatoriale, credibile e vendibile. Quando il trittico si compie, gli stand si trasformano in raffinati salotti o in preziosi (e coraggiosi) solo show. Due chiavi per illuminare il salotto salone dove ora entriamo. Di seguito il meglio, la crema, la cream (citando un bel Ruscha del 1974 in mostra) vista montata di grazia in queste prime due giornate.
LE GALLERIE CHE SI TRASFORMANO IN SALOTTI DI VELLUTO, PARQUET E MOQUETTE
Mennour di bianco e di nero

KARMA variopinto e claustrofobico

Bridget Riley da Hazlitt Holland-Hibbert

Richard Green in tinte arancio

Un tè da Thomas Gibson

A casa di Yves Macaux

Intimità soffusa da David Tunick

SOLO SHOW MUSEALI
Meret Oppenheim da Di Donna


Louise Nevelson anni Settanta da PACE

La preziosa serie Thai di Robert Rauschenberg da Gladstone


Vette, acque e sfumature di Minjung Kim, Galleria Hyundai

Martha Jungwirth da Ropac

CHICCHE e CAPOLAVORI
Il Tableau-poème (1928) di Magritte, LGDR

Girl on turkish sofa di Freud del 1966 – Offer Waterman

La gemma gialla di Etel Adnan (Untitled, 1985) – Anthony Meier

Journal de Rouen di Ben Nicholson, 1932 – Offer Waterman

Lo stand di SEAN KELLY (con pezzi di Kosuth, Hofer e Wiley)

Parete a vapori di Gabriel Orozco da Chantal Crousel

Marlene Dumas, Long Life, 2002 – LGDR

Architettura con stelle (Feininger, 1945) – Wienerroither & Kohlbacher

La CREAM di Ed Ruscha del 1974 (Anthony Meier)

Davanti al Basquiat di Van de Weghe, The Ruffians, 1982

