Print Friendly and PDF

Mavàra, un incontro nel margine. Una riflessione con Chiara Marchese

Particolare di “Le Poids de l'âme”. 2021. Courtesy Chiara Marchese. Foto: Christophe Crapez Particolare di “Le Poids de l'âme”. 2021. Courtesy Chiara Marchese. Foto: Christophe Crapez
Particolare di “Le Poids de l'âme”. 2021. Courtesy Chiara Marchese. Foto: Christophe Crapez
Particolare di “Le Poids de l’âme”. 2021. Courtesy Chiara Marchese. Foto: Christophe Crapez
Chiara Marchese (1988) è un’artista performer siciliana che sviluppa il suo lavoro di ricerca tra circo contemporaneo, marionette, arti decorative, danza e teatro. La conversazione con Chiara è iniziata poco meno di due mesi fa durante il ‘Festival Fuori Asse Focus – ai confini del circo’ al teatro Triennale di Milano, in occasione di Mavàra.

Mavàra è una “forma coreografica alla frontiera tra il circo e le marionette,” [1] è il capitolo iniziale di un viaggio in tre atti – composto da Il peso dell’anima e WonderWoman – il cui titolo si rifà alle mavàre o donne di fuora – dal dialetto siciliano, creature soprannaturali, un po’ streghe e un po’ fate, anime vaganti che durante la notte vanno a trovare l3 spirit3 degli inferi per averne consigli e risposte riguardanti il futuro. La mavàra è ‘l’ammaliatrice’ oppure ‘a Signura’: la guaritrice in grado di alleviare i dolori con misteriose pratiche, segni e preghiere, durante le quali il profano si mescola con il sacro. La mavàra si nutre dei paesaggi e dell3 person3 che la circondano: è la premessa per la crisi, è la donna che sente e che vede ciò che altr3 non percepiscono, rivelando tracce invisibili e vive. La mavàra è la figura che accompagna Chiara in un ragionamento sul tempo: quanto le credenze popolari e le tradizioni fanno emergere le sfaccettature del sé e sono in grado di personificare le credenze che ci fanno agire nel quotidiano? Mavàra è un vorticoso cerchio di passato e presente.

La performance si svolge in uno spazio circolare, dove la ricerca dell’equilibrio sul filo poroso al suo centro diventa il motore della composizione coreografica e della drammaturgia. [2] Ha un andamento circolare, articolandosi tra le acrobazie sul filo molle e la danza delle marionette. Il cerchio, rito ancestrale, abbraccia e integra il pubblico. È movimento perpetuo e onda ciclica, è il ciclo della vita, è la forma base su cui si articola il circo. Mavàra è una e trina, come la Sicilia, come le tre anime che Chiara cerca di manovrare trattenendo con tenacia l’equilibrio sul filo poroso, assecondando i suoi movimenti perpetui e bambineschi. 

Particolare di “Mavàra”. Le Sirque - Pôle National Cirque, Nexon, 2016. Courtesy Chiara Marchese. Foto Philippe Laurençon
Particolare di “Mavàra”. Le Sirque – Pôle National Cirque, Nexon, 2016. Courtesy Chiara Marchese. Foto Philippe Laurençon

L’artista in questa pièce esplora le origini del circo e delle marionette; ex voto, oggetti che incarnano archetipi e che influenzano il vissuto personale e collettivo. Sono il doppio capace di materializzare l’invisibile e di trasmettere l’energia tra unə corpə vivə e unə inerte. Chi manipola chi? Nella società come sul palco, con l3 marionett3 come con l3 mascher3, siamo consapevol3 delle influenze a cui siamo assoggettat3 per dare senso alla nostra vita? La marionetta è manovrata dallə marionettistə, ma in Mavàra appare il contrario. 

Mavàra è la crisi di Chiara, è il momento in cui è in balia dell’Io, delle tre versioni del sé da cui pian piano si spoglia. Il suo andamento circolare conduce verso una liberazione dirompente che esplode, che si nutre e che permea verso l’esterno, che non prevede gerarchie di nessun genere, in cui la riflessione personale e politica sullə corpə si fondono e si mescolano ripercorrendo la storia del circo, struttura effimera e anarchica.

Mavàra conduce a diverse riflessioni che sedimentano durante un lungo tempo di latenza, necessario per comprendere come quella apparente semplicità di esposizione di un dolore profondo e quella limpida e “facile” espressione e messa in scena, smuovono un sincero interesse. Spinti da questa vicinanza, abbiamo chiesto a Chiara di aiutarci a comprendere Mavàra condividendo una riflessione mediata dal margine di bell hooks [3] e dal nuovo materialismo femminista. [4] Così è iniziata la scrittura a quattro mani.

Veduta di “Mavàra”. Le Sirque - Pole National Cirque, Nexon, 2016. Courtesy Chiara Marchese
Veduta di “Mavàra”. Le Sirque – Pole National Cirque, Nexon, 2016. Courtesy Chiara Marchese

Arianna: Chiara, mi piacerebbe iniziare questa conversazione raccontando come ci siamo incontrate. Entrambe conosciamo Alberto – Albo di sole, “caro amico e connettore potentissimo,” come lo descrivi – che dal 2019 collabora con te come consulente psicodinamico creativo di scena e che ci ha fatto conoscere. 

Chiara, quaranta minuti di Mavàra sono stati intensi, hanno mosso qualcosa che sul momento non riuscivo a comprendere. Dopo lo spettacolo le idee sembrano inorganizzabili. Solo ora, a distanza di mesi, sono in grado di capire quali connessioni Mavàra aveva creato. Sei stata capace di tradurre in azione ciò che fino a quel momento avevo solamente letto. Chiara, hai regalato a me e al pubblico la possibilità di un incontro all’interno di quel filo – margine – poroso. [5]

Eccoci qui al punto zero di una possibile e più ampia ricerca: ragionamenti comuni, punti di incontro e discordanti, un esercizio che ci permetterà di confrontare il tuo lavoro con le mie ricerche. Un knowledge market alla Gudskul & ruangrupa style. [6]

Mi piacerebbe iniziare questa conversazione con uno degli elementi che più mi hanno colpito di Mavàra e che fanno parte della tua pratica artistica e della tua storia circense: il filo molle. Parte integrante della scenografia di Mavàra, simbolo della continua lotta per cercare di rimanere in piedi, motore della composizione coreografica: il filo molle è simbolo di una vibrazione infinita tra vita e morte, è il margine tra due mondi, sottile simbolo dell’instabilità e della fragilità dell’essere umano. Anche bell hooks sceglie il margine, il filo, come simbolo dello spazio di apertura radicale, del posizionamento fisico e mentale che fa parte del tutto ma che si trova fuori dal corpo principale, luogo di resistenza per le person3 oppress3, sfruttat3 e colonizzat3. Ma il margine non è solo segno, nonostante “segn[i] la condizione del nostro dolore e della nostra privazione, [di] una certa disperazione, [di] un nichilismo profondo [che] penetra in modo distruttivo nel terreno stesso del nostro essere.” [7] I margini sono stati e sono repressione, ma sono e continueranno ad essere resistenza. Chiara, con Mavàra ci mostri il tuo ritrovarti al margine e dichiari, attraverso la scelta di esibirti su quel sottile filo, ricco di possibilità e di dolore, la tua risposta critica al dominio. Questo filo segna un punto fondamentale di unione con il margine di bell hooks: mezzo che facilita la liberazione dalle sovrastrutture e che ti aiuta ad abbracciare serenamente il tuo Io, escluso, segregato, resistente e prepotente. Il filo è luogo di ascensione e trasformazione.

Particolare di “Mavàra”. Nilak, Terra Alta (Catalunya), agosto 2022. Courtesy Chiara Marchese
Particolare di “Mavàra”. Nilak, Terra Alta (Catalunya), agosto 2022. Courtesy Chiara Marchese

Chiara: La pratica ripetuta – più di dieci anni – sul filo molle/ poroso e la manipolazione delle marionette – materiali, forme umane e non, a contatto diretto con il mio corpo – hanno svegliato in me una sensibilità cutanea oltre che visiva, in generale percettiva, che mi ha condotto lontano: al margine e al di fuori di questo. Mi ha aiutato a sentire il margine – fisico e mentale – e questo perturbante sentire mi ha portato a vivere degli scompensi psicologici: sono ‘caduta’ nel ‘fuori’.  Questa esperienza dell’equilibrio sul filo molle mi ha fatto vivere la sensazione di diventare un’unica cosa con lui, con questo materiale capace di sostenermi in un gioco di respirazione, in un continuo riempirsi e svuotarsi. Deambulare in equilibrio precario mi porta a concentrarmi sull’appoggio del piede e sul peso del corpo, che, come acqua, si versa da un piede all’altro. Il mio corpo diventa un recipiente, in equilibrio perduto e incerto poiché dura microsecondi; poi di nuovo, si muove tutto. Sono a mezz’aria e controllo la mia terra, la mia isola, e attraverso la parte alta del corpo percepisco la densità dell’aria che mi aiuta in questa esperienza grazie a una respirazione costante che collega il dentro e il fuori, sono come il camaleonte che, lentamente, si immerge nel paesaggio circostante e si collega ad esso. Ricordo ancora i primi ‘bagni’ in questa nuova percezione della realtà immersa nel margine – a cui ormai sono abituata, rammento questo risveglio cellulare, questa sensazione di manipolazione che di recente ho provato durante una sessione di danza contemporanea e pratica marionettistica. A occhi chiusi e sostenuta a due metri di altezza da sei persone, mi è sembrato di condurre un viaggio astrale durante il quale ho sentito una sensazione di benessere vedendo una Chiara in posizione fetale, fuori da ogni corpo, senza un corpo, in un’altra densità. In Mavàra, le marionette/protesi e il filo poroso/margine mi accompagnano e si fondono con il mio corpo diventando un corpo altro, un unico corpo. A poco a poco il filo mi solleva dal peso della materia e mi ritrovo corpo libero, trasparente, poroso ad acqua e aria. La voce rimane la sua ultima alchimia. Questa stessa voce si ritrova successivamente ne Il peso dell’anima materializzata dal ‘daemon’, una marionetta di fil di ferro nella quale posso entrare ed uscire, e che a volte sento di attraversare. È il doppio, è ciò che resta di questo ‘Io’ che non può parlare ma a cui posso dare corpo, espressione e respiro. 

Arianna: È quindi una questione di equilibrio, non solo sul filo, ma anche tra te e la materia, la marionetta, il doppio, quello che diventerà il daemon. Tra lo spogliarsi delle protesi che indossi e il dondolio che mantieni sul margine vitale, il tuo assecondare le oscillazioni libere della corda e l’equilibrio di quella danza euritmica appaiono come l’unico modo possibile di stare sul margine, godendoselo, invitando il pubblico a gioire. Non sei relegata a quel luogo, ma il dondolare come su un’altalena dimostra la tua libera volontà di portare avanti una resistenza, indispensabile, seppur accontentando i movimenti della corda.

Mavàra non è solo margine e filo poroso ma è anche rivelazione circolare. Mavàra fa riferimento alla tua storia, Chiara e al tuo vissuto personale e artistico. Ecco che oltre al filo molle si aggiunge il cerchio, il circo, il ciclo della vita, l’apertura ad uno spazio democratico e pubblico e quindi circolare.

Disegno su carta della scenografia di “Mavàra”. Disegno su carta, Bologna, 2017. Courtesy Chiara Marchese
Disegno su carta della scenografia di “Mavàra”. Disegno su carta, Bologna, 2017. Courtesy Chiara Marchese

Chiara: Durante gli anni di formazione al Centre National des Arts du Cirque di Chalons en Champagne, ripetevo gli esercizi sul filo dentro uno spazio circolare, in questo caso dentro un ‘cirque en dur’: una costruzione in cemento circolare dedicata al circo o utilizzata per allenamenti e spettacoli equestri. Ripetevo gli esercizi tecnici su questo filo, ponendomi domande relative alla mia posizione in un mondo circolare, in un ciclo di vita di cui però avevo esperienza solo attraverso una linea retta. Per questo cominciai a fare ricerche e di conseguenza a collaborare con divers3 artist3 che mi aiutarono a risvegliare tutte le parti del mio corpo, tutti i pori, a percepire proiezioni e fasci di luce provenienti dal mio corpo e che si estendevano al di fuori in modo circolare: sentivo le punte delle mie dita prolungate. Scrivevo e disegnavo sequenze ‘circolari’ sulla mia ‘linea dritta’. Spirali e avvitamenti in tutte le direzioni, in alto e in basso, sulla punta dei piedi, tra le braccia e le mani. Ero circolare, il mio sguardo si dedicava allo spazio in modo circolare: era rivolto a tutto il corpo e a tutto lo spazio. Questo mi ha portato a fare esperienza dell’immobilità: provai a diventare albero e fiamma percependo la cute accesa, sveglia, colorata o iridescente. Ero uno spettacolo vivente e ammirabile da tutti i punti di vista. Diventai materia al centro dello sguardo. Ecco come Mavàra è diventato uno spettacolo circolare che si proietta a trecentosessanta gradi agli occhi del pubblico, al loro corpo e alle loro emozioni. Sono questi i fasci di luce che si diramano dalle mie dita e che diventano fili di comunicazione, vibranti, che mi tengono in equilibrio sul filo poroso, che mi abbracciano nel mio margine non lasciandomi sola, e che mi rendono partecipe del ciclo vitale anche quando sono a terra, nella mia immobilità. 

Arianna: Il cerchio come rito ancestrale che abbraccia e integra il pubblico, come movimento perpetuo e onda ciclica è una delle cose che ha maggiormente attirato la mia attenzione. Questo girare su sé stessə, questo rivolgersi a tutto il pubblico, questo rimando al ciclo della vita e quindi al circo, struttura mobile, mai fissa e sempre in evoluzione, anarchica e senza fissa dimora, ha acceso il mio interesse aprendo molte strade di interpretazione. 

Per te, Chiara, è importante sottolineare che il circo si svolge in un cerchio, luogo di grande sfida per la marionetta, per te e per Mavàra, abituat3 a performare frontalmente, abituat3 a rivolgervi ad un pubblico teatrale, a performare sul filo poroso. Il circo si svolge in un cerchio, è quindi, dal mio punto di vista, è metafora del ciclo vitale, del ‘think ecologically’ di Jane Bennet che vede la materia – apparentemente senza agency [8] – coinvolta in una rete di relazioni con l3 esser3 uman3 considerat3 in base alle interrelazioni presenti tra loro, tra soggetti, oggetti e habitat. La materia assume una valenza discorsiva e dinamica, e si trova coinvolta in stretti legami con l3 corp3. [9]

Mavàra è coinvolgente e semplice, esplicita e dalle diverse interpretazioni. 

Chiara è un artivista: attraverso Mavàra riesce a rendere visibile e a dare centralità allə corpə e all3 su3 battagli3. Chiara è una ricercatrice: grazie a un lungo e faticoso percorso è riuscita a mettere in scena la sua storia personale, che è spesso la storia di tutti. Chiara è una performer: lə suə corpə esiste nel presente diventando altrə mediante movimenti, suoni e danza [10] e questa è la sua potenza. 

Ci riconosciamo in quellə creaturə nel margine e vogliamo rannicchiarci e dondolarci al suo interno, combattendo, condividendo e resistendo.

Questo contenuto è stato realizzato da Arianna Sollazzo per Forme Uniche.

instagram: chiara.marchese.circo

http://www.chiaramarchese.com/

Dal 03 al 21 maggio 2023 Chiara Marchese sarà presente al Passages Transfestival di Metz (FR) con Il peso dell’anima – Tutto è provvisorio. (https://www.passages-transfestival.fr/spectacle/le-poids-de-l-ame-tout-est-provisoire-2/2023-05-19/)

Note:

[1] Chiara Marchese, “Descrizione di Mavàra,” in Forme chorégraphique mêlant cirque et marionnette.

[2] Chiara Marchese, “Descrizione di Mavàra,” in Forme chorégraphique mêlant cirque et marionnette.

[3] Parafrasando bell hooks, essere ai margini significa essere parte del tutto ma fuori dal corpo principale. Il margine è stato luogo di repressione e di resistenza e si è formato e si forma continuamente in quella cultura segregata dell’opposizione, risposta critica al dominio. (bell hooks, Elogio del margine. Scrivere al buio. Napoli: Tamu edizioni, 2020)

[4] Il nuovo materialismo femminista ripudia l’idea che la biologia e la materia siano passiv3 o inert3 e riconosce l’agency della biologia o della materia nell3 fenomen3 del mondo e nell3 comportament3 social3 e politic3. Per questo sviluppa modell3 di causalità e spiegazione che rendono conto delle interazioni attraverso cui il sociale, il biologico e il fisico emergono, persistono e si trasformano. (Samantha Frost. “The Implications of the New Materialisms for Feminist Epistemology,” Feminist Epistemology and the Philosophy of Science: Power in Knowledge. Ed. H.E. Grasswick. Springer, 2011.)

[5] bell hooks, Elogio del margine. Scrivere al buio. Napoli: Tamu edizioni, 2020. 

[6] Il knowledge market è il mercato della conoscenza. Nasce come modulo sperimentale – sviluppato da Serrum – incentrato sulle interazioni di apprendimento basate sui principi della domanda e dell’offerta. “Cosa hai bisogno di imparare?”, “Se ti fosse permesso di condividere le tue conoscenze/esperienze, cosa condivideresti?”. Ispirato da queste domande, incoraggia a scambiare conoscenze e esperienze.

[7] Bell Hooks. “Choosing the margin as a space of radical openness.” The Journal of Cinema and Media, 1989, No. 36 (1989), pp. 15-23. 

[8] Agency in filosofia è la capacità di autodeterminazione, di scelta, di azione indipendente e libera.

[9] Samantha Frost. “The Implications of the New Materialisms for Feminist Epistemology,” Feminist Epistemology and the Philosophy of Science: Power in Knowledge. Ed. H.E. Grasswick. Springer, 2011.

[10] Peggy Phelan. “The Ontology of Performance: Representation without Reproduction.” Unmarked. Routledge, 1993.

Commenta con Facebook