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Viaggio nel laboratorio del futuro. Immagini dalla mostra centrale della Biennale di Architettura 2023

Roberto Cicutto e Lesley Lokko. Photo Andrea Avezzu. Courtesy La Biennale di Venezia
Roberto Cicutto e Lesley Lokko. Photo Andrea Avezzu. Courtesy La Biennale di Venezia
Aperta al pubblico dal 20 maggio al 26 novembre 2023 la 18. Mostra Internazionale di Architettura dal titolo The Laboratory of the Future a cura di Lesley Lokko e organizzata dalla Biennale di Venezia, si concentra per la prima volta sull’Africa e sulla sua diaspora.

La Mostra Internazionale come agente di cambiamento. Questo l’obiettivo della Biennale di Architettura 2023, che quest’anno per la prima volta si concentra sull’Africa e sulla sua diaspora. L’obiettivo è allargare i confini della narrazione della storia dell’architettura, andando a coinvolgere le espressioni meno coinvolte. Lo spiega bene la curatrice Lesley Lokko.

Nell’architettura in particolare, la voce dominante è stata storicamente una voce singolare ed esclusiva, la cui portata e il cui potere hanno ignorato vaste fasce di umanità – dal punto di vista finanziario, creativo e concettuale – come se si ascoltasse e si parlasse in un’unica lingua. La “storia” dell’architettura è quindi incompleta. Non sbagliata, ma incompleta. Ecco perché le mostre sono importanti.

E importante sarà The Laboratory of the Future. Una mostra divisa in 6 parti, con 89 partecipanti, di cui oltre la metà provenienti dall’Africa o dalla diaspora africana. L’equilibrio di genere è paritario e l’età media dei partecipanti è di 43 anni, mentre scende a 37 nella sezione Progetti Speciali della Curatrice, in cui il più giovane ha 24 anni.

L’esposizione inizia nel Padiglione Centrale ai Giardini, dove sono stati riuniti 16 studi che rappresentano un distillato di force majeure (forza maggiore) della produzione architettonica africana e diasporica. Si sposta poi nel complesso dell’Arsenale, con la sezione Dangerous Liaisons (Relazioni Pericolose) – presente anche a Forte Marghera, a Mestre – affiancata a quella dei Progetti Speciali della Curatrice. In entrambi gli spazi sono presenti opere di giovani “practitioner” africani e diasporici, i Guests from the Future (Ospiti dal Futuro).

Abbiamo espressamente scelto di qualificare i partecipanti come “practitioner – chiarisce la Curatrice – e non come “architetti”, “urbanisti”, “designer”, “architetti del paesaggio”, “ingegneri” o “accademici”, perché riteniamo che le condizioni dense e complesse dell’Africa e di un mondo in rapida ibridazione richiedano una comprensione diversa e più ampia del termine “architetto”.

Practitioner il cui lavoro, ad ogni modo, si confronta direttamente con i due temi della Mostra, la decolonizzazione e la decarbonizzazione, fornendo un’istantanea delle pratiche e delle modalità future di vedere e di stare al mondo. Difatti il secondo obiettivo della mostra è proprio il contrasto al cambiamento climatico, che combatte promuovendo un modello più sostenibile per la progettazione, l’allestimento e lo svolgimento di tutte le attività dell’evento.

La mappa sospesa che contiene frammenti di tutte le partecipazioni a The Laboratory of the Future e riunisce i progetti del Padiglione Centrale, Corderie, Artiglierie, Gaggiandre e Forte Marghera.
Foto ArtsLife
Tramite modelli, video e piante disegnate a mano Atelier Masomi ci porta nel suo laboratorio del futuro: Niamey, in Niger.
Foto ArtsLife
Ibrahim Mahama riflette sul concetto di ricordo fondendolo con l’architettura. Sintesi qui rappresentata dall’installazione Parliament of Ghosts, ispirata a quanto rimane della Gold Coast Railway di Tamale, Ghana.
Foto ArtsLife
Lo Studio Sean Canty si ispira a due baracche costruite da Edgar, bisnonno dell’architetto, nella Carolina del Sud. Il risultato è una costruzione permeata di impulsi contraddittori, come il desiderio di libertà e quello di protezione.
Foto ArtsLife
Modelli fisici abbinati a film narrativi. Questa la formula scelta da Adjaye Futures Lab per esprimere la costruzione simultanea di luoghi, identità e memoria.
Foto ArtsLife
Hood Design Studio propone un nuovo Arts Lifeway nella palude di Phillips, città nella Carolina del Sud che rischia di scomparire a causa dello sviluppo di zone acquitrinose. Qui ci mostra come.
Foto ArtsLife
É possibile convertire le infrastrutture imperialiste dedicate allo sfruttamento economico in motore per la produzione di energie rinnovabili e sostenibili? ACE (African Conservation Effort) ci sta già provando. E Olalekan Jeyigous ci mostra come potrebbe essere una città del futuro basata su questi principi.
Foto ArtsLife
Estudio A0 racconta la storia di brillanti esempi di ecologia urbana che possono aprire la strada verso la riconciliazione tra la città, i suoi sistemi alimentari e l’entroterra.

Attraverso la poesia l’installazione Those With Walls for Windows indaga lo spazio della diaspora, un luogo in cui dimenticare, ricordare e reinventare agiscono come dispositivi architettonici nella pianificazione urbana della psiche diasporica.
Foto ArtsLife
Kate otten architects racconta la storia di Johannesburg, iniziata con la scoperta dell’oro nel suo sottosuolo nel 1886, attraverso la produzione artigianale delle donne africane. Una mappe geografica, sociale e politica al tempo stesso, dove materiali, luoghi e significato operano all’unisono e su diversi livelli nello stesso momento.
Foto ArtsLife

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