Nel 1862, un anno dopo l’unità d’Italia, Moritz Oppenheim (1800-1882) dipinse Il rapimento di Edgardo Mortara, quadro ispirato al caso Mortara. Il fatto, che avvenne nel 1858, scandalizzò velocemente il mondo occidentale. Un bambino ebreo bolognese di soli sei anni era stato sequestrato dalle istituzioni ecclesiastiche cattoliche, poiché battezzato di nascosto probabilmente dalla cameriera Anna Morisi.
Il nome Edgardo Mortara a prescindere dal grande simbolo d’ingiustizia che diventò, evoca un momento cruciale per la storia ebraica italiana. Con l’apertura dei ghetti in Italia nasce l’usanza tra gli ebrei di dare ai figli nomi prettamente italiani. Italiani e non cristiani, come Cesare, Augusto ed appunto Edgardo.
Quindi se Edgardo Mortara con tutta probabilità venne chiamato con questo nome sotto l’auspicio di una nuova emancipazione, la storia personale del Rapito porta con sé gli strascichi di un triste capitolo che iniziò nel 1555 con la pubblicazione della bolla papale “Cum nimis absurdum” con cui vennero istituiti i ghetti nelle città dello Stato Pontificio.
Nel 1870 si verificò una situazione particolare per cui mentre all’interno della Santa Sede viveva un ragazzo ebreo di nome Edgardo in procinto di prendere i voti, subito al di fuori dalle mura, di fronte a Porta Pia, Giacomo Segre comandante ebreo del IX° reggimento, sferrava il primo colpo d’artiglieria che come ci insegna la storia, portò l’annessione della capitale al Regno d’Italia.
Il quadro di Oppenheim, dipinto quattro anni dopo il sequestro, è costruito in chiave narrativa: rappresenta la scena del rapimento del ragazzo. L’episodio si svolge a casa Mortara. Il fulcro del quadro è Edgardo che spicca poiché vestito di bianco dal momento che indossa ancora il Talit Katan (indumento rituale ebraico). Il resto del quadro è cupo, così come lo sono le sensazioni che vengono raffigurate. A destra del ragazzo troviamo un prete francescano che tiene la mano del piccolo, mentre a sinistra si consuma il vero dramma: il padre si protende verso il figlio senza però riuscire a toccarlo, il fratello alza il braccio destro in segno di protesta, mentre la madre è ormai svenuta dal dolore.
La storia di Edgardo Mortara colpì molto Moritz Oppenheim, che toccò con mano la situazione degli ebrei romani a inizio ‘800 durante uno dei suoi viaggi. Si dice che addirittura, una volta una madre ebrea non sapendo che il pittore fosse un correligionario nascose i figli, pensando che fosse un membro dell’Inquisizione pontificia.
Affascinante è inoltre la storia del quadro di cui per decenni non si conosceva l’ubicazione, fino a quando nel 1962 a Liverpool una signora alla ricerca di un regalo di compleanno per il marito acquistò l’opera (inizialmente la donna era intenzionata a regalargli un porta sigarette, ma fortuna volle che il marito aveva da poco smesso di fumare). Il rapimento di Edgardo Mortara è stato battuto all’asta da Sotheby’s nel 2013 e ora appartiene alla collezione privata della famiglia Schottenstein.
Moritz Oppenheim è considerato il primo artista ebreo dell’era moderna e infatti venne apprezzato non solo dai suoi contemporanei correligionari, come sappiamo divenne il ritrattista ufficiale della famiglia Rothschild, ma era stimato anche al di fuori della comunità ebraica. Con il concludersi della sua carriera artistica Oppenheim si dedicò a diverse opere che testimoniano la vita ebraica a metà del diciannovesimo secolo.