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All’interno del sacro bosco di Bomarzo, dove il Festival In ARTE Vicino anima la foresta surrealista

A 500 anni dalla nascita di Vicino Orsini, ideatore del sacro bosco di Bomarzo, viene presentato il Festival In ARTE Vicino a cura di Antonio Rocca, responsabile scientifico del fantastico giardino di sculture. Una serie di iniziative, concerti, mostre, rappresentazioni teatrali, incontri, aperture serali, proiezioni, installazioni accendono i riflettori sul surrealistico parco che ancora oggi non ci ha svelato del tutto i suoi segreti. Dal 3 luglio al 15 settembre 2023.

Dimenticato per secoli e recuperato solo nella prima metà del ‘900, l’interesse di personalità come Salvator Dalì (che vi ravvisò un latente clima surrealista) e dello scrittore André Pieyre de Mondiargues contriburono alla riscoperta del del sacro bosco di Bomarzo. E al restauro delle sue sculture che, abbandonate, erano quasi tornate al loro stato di massi erratici. Era il 1938 quando Dalì visitò il parco, girandoci anche un cortometraggio. Qualche anno dopo, invece, le sculture e l’ambiente gli servirono d’ispirazione per le sue Tentazioni di Sant’Antonio, dipinte nel 1946.

Il Parco, detto anche Sacro Bosco, si trova in provincia di Viterbo, a Bomarzo, il romano Polimartium, sul versante destro della valle del Tevere. Al di là del fosso della Concia, su una serie di terrazzi naturali, si sbizzarrì l’estro irridente di Pirro Ligorio, che progettò anche le Fontane di Villa D’Este a Tivoli. L’architetto del Papa venne chiamato da Vicino Orsini per ideare un giardino a tema, dove l’assenza di senso delle proporzioni e della scala antropomorfica avrebbero dovuto inquietare e stupire.

Strano personaggio l’Orsini, nato a Roma nel 1523 da Gian Corrado signore di Bomarzo e da Clarice, figlia del Cardinale Franciotto Orsini. Esiliato da Roma verso la metà del ‘500, si fece costruire un palazzo sulle fondamenta del vecchio castello di famiglia e l’onirico Giardino sacro ispirato, sembra, al fantastico bestiario dell’Orlando Furioso. Manca però nel Parco la levità e la gioia del modello letterario: mal si accordava infatti uno spirito malinconico come l’Orsini con le olimpiche, siderali invenzioni ariostesche.

Il misterioso Bosco parla invece il linguaggio di archetipi che suscitano sentimenti di stupore, sgomento, paura, meraviglia; di dei, demoni, eroi e semi-dei, ma anche di miti divenuti nel tempo impenetrabili, legati ai primordi della cultura occidentale come il culto del sole e dei morti. Un percorso dove abbandonarsi all’ingenua meraviglia e recuperare stati d’animo legati all’infanzia, oppure tentare di leggere nell’esoterica topografia del luogo e nelle strane figure che lo popolano qualcosa di più inquietante e misterioso che inerisce al cammino umano e ultraterreno?

L’Orsini, uomo d’arme e d’azione, disgustato dalle trame del potere si ritira a Bomarzo a soli 50 anni nel 1573, confidando all’amico prelato Giovanni Drouet “Io amo più starmene in questi boschi che immergermi nelle fallacie et ambitioni delle Corti et massime in quella di Roma”. Divertissement come riparo dalla noia e dalla crudeltà del mondo, locus oracolare dove si incontrano e si fondono elementi alchemici, misterici, arcani, tempio ermetico e percorso iniziatico…. Potrebbe anche essere un viaggio all’interno di noi stessi la strana passeggiata in un ambiente dove si può cogliere un’oscura, misteriosa presenza del divino, del sacro, di ciò che si ritiene dia origine e senso all’esistenza di noi uomini.

Antonio Rocca, curatore del Festival ci tiene a precisare che Orsini nell’ideazione del Parco abbia preso spunto dal libro L’idea del theatro di Giulio Camillo detto Delminio, esponente di punta del neo-platonismo dominante. Del fantastico Parco il malinconico Signore di Bomarzo sembra volesse fare un labirintico teatro del mondo che fosse anche un itinerario magico-spirituale e uno strumento di conoscenza. 

Varcato il limite del Sacro Bosco, una Sfinge ci pone il quesito: “Tu ch’entri qua pon mente parte a parte e dimmi poi se tante meraviglie sien fatte per inganno o pur per arte”. Entriamo nell’area popolata di mostri, di divinità infernali, arpie, sirene, gorgoni nel mezzo di un folto bosco di castagni, faggi, noccioli. Accanto al Pantheon ellenico esistevano in questa zona, che faceva parte della misteriosa Etruria, gli arcani Dei involuti, dalle funzioni oscure e complesse. Gli antichi Romani agli Aruspici etruschi si rivolgevano per interrogare gli Dei in momenti particolarmente delicati o in caso di prodigi, attratti da una realtà ultraterrena popolata di demoni inquietanti.

Le gigantesche figure scolpite nei massi erratici di peperino incarnano gli Dei più arcani: Saturno, Fauno, Giano, Evandro, la triplice Ecate e Glauco, il pescatore che diventa un dio marino dopo aver mangiato un’erba magica. Ci si addentra nel Bosco presi da uno strano incantamento: ecco Ercole che squarcia Caco, lotta di giganti quasi in gara con Rodi, la città dei Colossi, come recita una delle numerose epigrafi “Se Rodi alter fu già del suo Colosso pur di questo il mio bosco anco si gloria…” La grande tartaruga porta sul dorso una donna ammantata simbolo della vittoria alata, sul fondo del burrone è scolpita una balena, il ninfeo ad emiciclo rovinato dal tempo accoglie le tre Grazie, ai piedi tritoni, delfini, leoni, la Venere dei Cimini non ha i tratti delicati della Venere di Milo, ma fattezze gravi, quasi maschili. Nettuno simbolo del Tevere che scorre in fondo alla valle ha vicino un delfino, c’è la Ninfa addormentata, Cerere, l’elefante con la torre simbolo di eternità, il drago alato simbolo del tempo. Uno degli angoli più pittoreschi di questo bizzarro giardino a cui anche Michelangelo Antonioni dedicò un documentario è la platea dei vasi.

Come in ogni giardino nobile che si rispetti non manca il teatro. Subito dopo la Casa pendente, costruita su un masso inclinato, dà una sensazione di capogiro. Eccoci infine giunti davanti alla bocca spalancata del re degli Inferi Orcus, all’entrata del mondo sotterraneo; e il vaso gigante non sarà poi quello con cui Bacco, Dio del vino, compi l’ultimo viaggio? Riposiamoci sulla panca etrusca e leggiamo: “Voi che pel mondo gite errando, vaghi di veder meraviglie alte e stupende, venite qua, son facce orrende, elefanti, leoni, orsi, orchi e draghi”.

Infine gli Dei sotterranei, gli Inferi, là dove si estende l’orizzonte ultimo delle possibilità umane ci attende Cerbero, il guardiano dell’Ade, prima di incontrare la regina Proserpina, Echidna e Furia. In cima, salita una scala di pietra, l’elegante tempietto tetrastilo dedicato da Vicino Orsini alla moglie Giulia Farnese. Sul tutto incombe, attorniata da case medioevali, l’altera, tetra dimora dell’Orsini, enigmatico personaggio a misura delle strane meraviglie che volle far scolpire nella pietra.

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