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Carrara is the new white, tra marmo e modernità

Veduta aerea di Piazza Alberica, Carrara – photo Giuseppe D’Aleo
In che direzione viaggia la scultura oggi? Per scoprirlo siamo andati nella città più bianca d’Italia, Carrara, a visitare l’edizione 2023 del progetto White Carrara.

Ti scatterò una foto, o mia Carrara, città le cui incombenti Alpi Apuane regalano panorami da inserire seduta stante nello stato di whatsapp. E tanto marmo, elemento che il Sindaco Serena Arrighi non tarda a indicare come «Identitario». Quello che, dai tempi dei romani a quando in zona si aggirava il buon Michelangelo e oltre, è prodotto di consumo indigeno e globale. Quello di “White Carrara“, manifestazione in linea con un tessuto urbano che sulla purezza dello statuario ha costruito un solido giro d’affari. Prima di metterci a formulare qualsiasi discorso, attiviamo l’alert: non è tutto bianco (marmo) quello che è scultura.

Quayola, Hercules & Nessus, 2023, marmo bianco di Carrara, cm 80x45x55 – photo Giuseppe D’Aleo

“White Carrara 2023” è molto Carrara e meno white di quanto ci si aspetti. Quel “molto Carrara” va contestualizzato nell’ottica di un progetto attento alle «Forme della scultura che cambia», secondo le parole del direttore artistico Claudio Composti. Cui dedichiamo tutto il nostro apprezzamento per il piglio con cui ha gestito il format, agendo tanto in accordo col valore di un marmo che fu/è/sempre sarà caposaldo territoriale, quanto col potere anti-reazionario di una logica personale troppo openmind per rientrare nel cliché “scultura-marmo”. E, in effetti, quel bianco che fa da traino alla settima edizione di White Carrara assomiglia più al prodotto di una sintesi additiva, in cui tutti i colori dell’arte plastica descrivono una scultura non defunta come pronosticava ai tempi Arturo Martini. È l’effetto di quella che il nostro Composti chiama «Visione a 360º», ottenuta dallo stesso direttore artistico facendo leva su una sola parola chiave: multimedialità. È attraverso quest’ultima che “White Carrara” va ad allargare le prospettive dei suoi visitatori, alternando 10 progetti scultorei dislocati per il centro città a contenuti video (Yuri Ancarani e Andrea Botto), più una mostra fotografica – molto ben concepita – a Palazzo Binelli. E per sapere “dove è cosa” c’è una bella piantina.

Veduta della mostra Visioni plastiche. Le forme della scultura, Palazzo Binelli, Carrara, 2023 – photo Giuseppe D’Aleo

Piantina che troverete sicuramente al MUDAC – Museo delle Arti di Carrara. Dove in collezione vi aspetta gran pezzo di top player che è Ancarani, “courbettianamente” proiettato verso “l’origine de la sculpture”, nelle cave di marmo con Il capo. Video del 2017, in cui un contesto abbacinante se la divide con l’abbronzatura e la gestualità di un capo-cantiere che comanda tutto a braccia, mani ed espressioni facciali. Scavando nella ritualità di un processo produttivo, l’artista ha preso e mutuato una prassi lavorativa nell’arte di un linguaggio performativo, coscientemente non verbale, potentemente estratto da un capo-Pigmalione contemporaneo. O un Buonarroti incosciente di quello che uscirà da quel blocco appena estratto.
Mentre noi, molto coscienti dei 13 punti indicati sulla piantina, fuori dal MUDAC riflettiamo con Quayola sulla scultura nell’epoca della riproducibilità tecnica spinta. Epoca in cui è diventata azione algoritmicamente riproducibile, quanto ancora michelangiolescamente “non finibile” e, per finire, attenta alla citazione colta di Giambologna.

Giò Pomodoro, Folla grande, 1961-62, marmo bianco di Carrara, cm 112x255x40 + base – Collezione privata – photo Giuseppe D’Aleo

MUDAC alle spalle e via dritto, finché di fianco non ci si trova l’ingresso di Palazzo Binelli. È lì che Botto amplia la definizione formale di scultura a una video-installativa cesellatura del paesaggio contemporaneo. I suoi edifici che appaiono e scompaiono in mezzo al verde sono una forma d’ibridazione che ben si concilia a quella pensata nelle Carie da Stefano Canto, dove il rapporto di sussistenza tra cemento e tronchi d’albero si pone come un pezzo di brutalismo scultoreo forgiato dal presente, una sintesi (in)naturale in libera prospettiva Giuseppe Penone.
L’incursione di due video non fa una vera e propria uscita dalla propria comfort zone (tri)dimensionale. All’uopo infatti c’è un’intera mostra, “Visioni plastiche. Le forme della scultura”, al piano superiore di Palazzo Binelli. Il lato fotografico della scultura, che Composti ha pensato come parte non meno complementare dell’intero progetto. Perché lo diciamo a voce altissima: White Carrara non avrebbe lo stesso impatto generale senza il contatto diretto con lavori come quelli di Dune Varela, attenta alla quadratura di un rapporto bi e tri-dimensione tra stampe su marmo e spari su carta fotografica. Stesso discorso per Simon Roberts, che il leggendario “perché non parli” di michelangiolesca memoria l’ha disseppellito sotto metri di cellophane. Quelli che coprono i marmi conservati nel Victoria and Albert Museum di Londra, in una serie d’immagini in cui Roberts ha lavorato perfettamente potere evocativo della scultura e vocazione documentaristica della fotografia. Nessuna distopia tra neoclassicismo e contemporaneità, né tra elementi di per loro incoerenti: è tutta una sottile abilità nel recepire e tarare ogni singola movenza, per applicarla agli effetti claustrofobici di un’attualità (i lavori sono stati realizzate in piena epoca pandemica) soffocante. Ieri “perché non parli”, oggi “perché non ti liberi”, in un progetto concettualmente semplice, ma non banale nel suo essere sviluppato attraverso una sensibilità di alto livello. Valorizzato, tra l’altro, dall’allestimento in Palazzo Binelli.
Che dobbiamo dire del “big” Giò Pomodoro e della sua Folla del 1962? Niente, solo che apprezziamo smodatamente tutto. Sì, pure l’escamotage – altamente rivendicato da Composti – con cui si è voluto posizionare in questo progetto: di fronte all’Accademia di Belle Arti, per una relazione maestro-allievi che corre sul filo del paternalismo passatista e propedeutico. Perché, parafrasando liberamente Montanelli, “chi non conosce il passato non saprà nulla del presente”.

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