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Picasso e l’antico. Ultimo mese per visitare la mostra al MANN di Napoli

Pablo Picasso,
Donna seduta. 1920. Olio su tela.
Musée national Picasso-Paris ©RMN- Grand Palais / ph Mathieu Rabeau ©Succession Picasso by SIAE 2023

C’è tempo ancora un mese per vedere la mostra “Picasso e l’antico” che espone al MANN, Museo Archeologico Nazionale di Napoli, quarantatré lavori dell’artista spagnolo messi a confronto con le sculture Farnese e i dipinti da Pompei

Il 2023 segna il cinquantesimo anniversario della morte dell’artista Pablo Picasso (1881-1973) e pone quest’anno una serie di eventi celebrativi in Francia, Spagna e Italia: anche la città di Napoli è stata epicentro di tale attenzione. Omaggiare la sua eredità artistica è un modo per interrogarsi su cosa rappresenta oggi il suo genio creativo nella modernità occidentale: è mostrare la sua parte viva, accessibile e attuale.

Il rapporto tra Picasso e Napoli ha radici molto profonde. Nel 1917 soggiornò nella città partenopea due volte, a seguito dei Ballets Russes: tra il 9 e il 13 marzo, assieme a Sergei Djagilev (1872-1929), Jean Cocteau (1889-1963), e Léonide Massine (1896-1979), e per più giorni nel mese di aprile con Igor Stravinskij (1882-1971), Ernest Ansermet (1883-1969) e il resto della compagnia teatrale. Questa permanenza esercitò una grande suggestione su Picasso, specialmente per ciò che riguarda l’incontro con l’antico, tramite le visite agli scavi di Pompei e al Museo di Napoli, con effetti visibili nella sua produzione artistica. 

Il Museo di Napoli, così era chiamato all’epoca il MANN, Museo Archeologico Nazionale di Napoli, si presentava organizzato in quattro sezioni disposte dal pianterreno al secondo piano: scultura antica in marmi e in bronzi; pittura (murale) antica; pinacoteca moderna e oggetti dell’artigianato artistico antico. Una organizzazione e presentazione delle opere attenta agli aspetti formali (luce, spazio ed equilibrio dei volumi) che si differenziava dalle sale affollate del museo ottocentesco di stampo positivista.

Atrio del Museo Archeologico Nazionale di Napoli agli inizi del ‘900.
Archivio Fotografico MANN

Questo viaggio ebbe un ruolo fondamentale nel passaggio dell’artista dal Cubismo a un Nuovo Classicismo, grazie all’influenza della pittura pompeiana, del gigantismo e della monumentalità tridimensionale delle sculture Farnese, a partire dall’Ercole che rappresentava il suo alter ego. Determinare quali siano le sue fonti di ispirazione non è facile, considerando che una delle caratteristiche dell’opera classicizzante di Picasso, era la tendenza a evitare citazioni, a favore piuttosto di allusioni generiche e non mancando di associare nei suoi lavori riferimenti non coerenti tra loro. 

>>> A distanza di un secolo dalla visita in Italia, nelle sale del MANN, Museo Archeologico Nazionale di Napoli è allestita una mostra celebrativa dal titolo Picasso e l’antico: quarantatré lavori messi a confronto con le sculture Farnese e i dipinti da Pompei, visibile fino al 27 agosto 2023. 

Ad accogliere i visitatori sono le 37 delle 100 tavole che compongono la Suite Vollard, realizzate tra il 1930 e il 1937, che offrono una delle testimonianze principali della particolare importanza dell’Ercole Farnese per Picasso. Il riferimento va in particolare alla serie di incisioni intitolate Studio dello scultore (1933-1934), in cui l’artista identifica sé stesso con il protagonista, che più di una volta mostra una testa e tratti del volto che rimandano all’eroe greco, incluso l’atteggiamento pensoso. A questi lavori va aggiunta un’opera realizzata nel luglio del 1933, Lo scultore e la sua statua, dove è ritratto seduto e con un braccio poggiato su una testa colossale contempla una figura femminile. Lo sguardo e la resa anatomica del soggetto rimandano all’Ercole Farnese anche più delle tavole della Suite Vollard, confermando ulteriormente l’autoidentificazione di Picasso con la statua. Inoltre, secondo lo storico dell’arte John Richardson (1924-2019), nella stessa serie della Suite Vollard, l’Ercole Farnese andrebbe riconosciuto nella testa di dimensioni generalmente colossali presente in diverse incisioni, nella funzione sia di opera già realizzata, sia di modello. E’ stata proposta, in alternativa, l’identificazione di alcune di queste teste con lo Zeus Olimpio di Fidia (490 a.C.- 430 a.C.), ma la sensazione è che ci si trovi sempre di fronte a versioni più o meno schematiche dello stesso tipo di testa, chiaramente ispirato, date le dimensioni e la fisionomia, all’Ercole del MANN. 

Ercole Farnese
inv. 6001
marmo bianco pentelico, 317 cm.
Napoli, Museo Archeologico Nazionale
Su concessione del Ministero della Cultura / Museo Archeologico Nazionale di Napoli, Archivio Fotografico. Ph Luigi Spina

Per Richardson, principale biografo di Picasso, il grande maestro avrebbe provato un’ossessione per questa statua: sia in termini formali, sia per le variazioni di proporzioni tra le parti del corpo, riprese successivamente nelle figure del “secondo periodo classico”. Tale fascino non sorprende, considerato come fin dalla sua scoperta nel 1546 l’opera fosse una delle statue più celebri dell’antichità classica, ispirando artisti come Michelangelo Buonarroti (1475-1564), Annibale Carracci (1560-1609) e Pieter Paul Rubens (1577-1640). L’Ercole Farnese è un caso esemplare della generale tendenza, da parte di Picasso, a ignorare l’opinione negativa espressa dagli studiosi di arte antica dell’epoca: basti citare il giudizio sulla statua di Charles Picard (1883-1965), un autorevole studioso della scultura greca, che nel 1926, in un suo primo manuale affermava in maniera sprezzante l’opera, definendola “assai pretenziosa” e presentando Glicone ateniese, I secolo a.C., come uno scultore che avrebbe preso come esempio Lisippo (390 a.C.-300 a.C.):  aggiungendo allo stile del maestro di Sicione la peggiore enfasi asiatica”.

PICASSO E LE SCULTURE FARNESE

Oltre all’Ercole, la letteratura su Picasso ha posto l’enfasi su altre sculture della stessa collezione che sarebbero servite da modello per le figure maschili giovanili e femminili del “secondo periodo classico”. Si tratta del ritratto di Antinoo del II secolo d.C., e della testa colossale di Artemide tipo Ariccia, nota come Era Farnese del II secolo a.C.. 

In realtà l’immagine di Antinoo è riconoscibile in maniera lampante solo in una delle incisioni della Suite Vollard, e molto meno in altre opere con figure giovanili del “secondo periodo classico”. L’Era Farnese, invece, è stata considerata un modello per le teste femminili classicizzanti realizzate a Fontainebleau, in Francia, nell’estate 1921, e associate a Tre donne alla fontana dello stesso anno che si trova attualmente al Museum of Modern Art di New York, negli Stati Uniti. Il taglio dato a queste teste, che include l’indicazione della parte superiore del torso, ricorda un busto antico, ma diversi particolari del volto e dei capelli si discostano dall’Era Farnese. Quest’ultima sarebbe però riconoscibile in alcune teste femminili nella Suite Vollard. Altre opere della collezione Farnese che possono aver fornito ispirazione a Picasso sono il gruppo di Pan e Dafni, per il soggetto e per le prime fasi del Flauto di Pan; e la Flora, per la resa del panneggio di diverse figure femminili del “secondo periodo classico”. Altra intuizione è l’Amazzone a cavallo per le figure di donne a cavallo o dei destrieri rampanti e il busto di Sileno, invece, per la realizzazione di diverse teste. Infine, le statue di Afrodite, come il tipo Dresda Capitolino, la cosiddetta Callipigia, o l’Afrodite accovacciata, sono variamente associabili alle statue di Afrodite e figure di modelle nella Suite Vollard.

PICASSO E IL TORO FARNESE

Gli studiosi sono unanimi nel considerare l’incontro di Picasso con le sculture Farnese come opere illuminanti per l’artista, molto di più rispetto alle collezioni di scultura greca e romana al Museo del Louvre di Parigi, in Francia. In particolare, il genio spagnolo ha focalizzato l’attenzione sul duplice effetto del gigantismo e della monumentalità tridimensionale delle opere del MANN: da un lato, ha conferito un aspetto scultoreo alle sue opere pittoriche, evidente nella bidimensionalità dell’approccio cubista; dall’altro, ha reso l’artista stesso particolarmente sensibile alla scala, nel senso non tanto di dimensioni ma soprattutto di proporzioni. Quanto al Toro Farnese, mancano nell’opera di Picasso riferimenti espliciti al gruppo. È però possibile confrontare la composizione piramidale della scena con una serie di lavori del “secondo periodo classico”, a partire dalla Corrida del 1922, che si trova nelle sale del Musée national Picasso-Paris di Parigi e dal Ratto del 1920, del Museum of Modern Art di New York. In effetti, considerato il particolare interesse per i tori e la corrida, è difficile pensare che il colossale gruppo farnesiano non abbia esercitato una influenza.

Toro Farnese
inv. 6002
marmo giallastro a grana fine (parti antiche) 370×295/300 cm
Napoli, Museo Archeologico Nazionale
Su concessione del Ministero della Cultura / Museo Archeologico Nazionale di Napoli, Archivio Fotografico. Ph Luigi Spina

PICASSO E IL MINOTAURO

Nella mitologia classica, la storia del Minotauro consiste in due parti: la prima riguarda la concezione del mostro; la seconda comincia con il tributo che Minosse esige dagli Ateniesi e si chiude con l’uccisione del mostro da parte di Teseo, che grazie all’aiuto di Arianna riesce a trovare la via di uscita dal Labirinto. L’interesse di Picasso per il mito si concentra su questa seconda parte, a partire dalla copertina del primo numero della rivista Surrealista Minotaure, del maggio 1933, per la quale l’artista raffigurò il Minotauro scaraventato a terra da Teseo, ma pronto a combattere fino all’estremo. A questa immagine, vanno affiancate le incisioni coeve visibili nella Suite Vollard, presenti in mostra, che evidenziano il lato umano del mostro, ferito e prossimo ad essere ucciso. Teseo e gli spettatori sono immortalati nell’atto di protendere le mani in avanti: sono un evidente richiamo al dipinto di Teseo liberatore da Pompei, di cui Picasso aveva una foto Alinari. Tuttavia, l’intero mito è riformulato nei termini di una corrida. Altre immagini del Minotauro nella Suite Vollard sono ancora più distanti dalla tradizione classica, come il Minotauro che brinda e il Minotauro cieco. Queste incisioni fanno da premessa alla Minotauromachia, l’opera di Picasso caratterizzata dal più alto livello di consapevolezza del proprio rapporto creativo con la tradizione classica.

Teseo liberatore inv. 9043
affresco da Pompei 97 × 88 cm
Napoli, Museo Archeologico Nazionale
Su concessione del Ministero della Cultura / Museo Archeologico Nazionale di Napoli, Archivio Fotografico.

È probabile che l’artista conoscesse la storia del Minotauro nella sua interezza ed è interessante prendere in esame le parti del mito che, a differenza dei Surrealisti, non ha affrontato, a cominciare dalla figura altamente erotica di Pasifae, moglie di Minosse e re di Creta, personaggio che il pittore può aver incontrato nelle immagini a Pompei e nella visita del Museo di Napoli, e della sua storia d’amore con il Minotauro, illustrata in numerose opere del pittore André Masson (1896-1987) realizzate tra 1932 e 1945. Questa è una ulteriore testimonianza dell’approccio selettivo di Picasso alla tradizione classica, e della sua relativa libertà dal movimento Surrealista, interessato dagli aspetti più cupi del mito greco. All’artista spagnolo, al contrario, interessava il Minotauro per il suo lato umano, anzi, troppo umano.

IL FLAUTO DI PAN

Una delle opere più significative del “secondo periodo classico” di Picasso è il Flauto di Pan del 1923, un dipinto a olio di grandi dimensioni che raffigura due figure di giovani in costume da bagno, quella a sinistra in piedi e quella a destra seduta e nell’atto di suonare la syrinx. Fonte di ispirazione per tale rappresentazione è il dipinto Pan con le ninfee dalla Casa di Giasone a Pompei, interpretabile come una competizione musicale tra dio e una ninfa; altra intuizione deriva dal gruppo di Pan e Dafni che rappresenta Pan nell’atto di insegnare al giovane pastore a suonare la syrinx. Il rapporto tra l’opera di Picasso e il Museo di Napoli non si limitò solo alla versione finale del dipinto, ma si estese ad una serie di studi preparatori per la prima versione dell’opera, nota come La Toeletta di Venere. In principio l’artista modificò il soggetto e la composizione: fu concepita come danza di un giovane uomo e una giovane donna al suono della musica di Pan e sotto gli occhi di Cupido. In un secondo momento, l’artista spagnolo raffigurò la coppia nell’atto di abbracciarsi, introducendo uno specchio tenuto dall’uomo per dare la possibilità alla donna di osservarsi, entrambi collocati in un interno borghese dell’epoca, simile allo studio di Picasso in Rue La Boétie a Parigi.

LA TOELETTA DI VENERE

I disegni preparatori per la prima versione del Flauto di Pan, nota come La Toeletta di Venere, mostrano una particolare somiglianza tra il suonatore di flauto e il Dafni del gruppo Farnese. Questi schizzi si ispirano al dipinto di Ares e Afrodite della Casa delle Nozze di Ercole a Pompei. Il rapporto diretto tra Picasso con quest’opera è confermato dalla presenza, nell’archivio dell’artista, di una cartolina del Museo di Napoli che illustra il dipinto di Pompei. Si nota la differenza tra l’aspetto mitologico di quest’ultimo e la volontà dell’artista spagnolo di rendere chiaramente “umana” la scena da lui realizzata, sovvertendo completamente la narrazione.

Afrodite accovacciata
inv. 6297
marmo bianco a grana media, probabilmente pario (corpo); marmo bianco a grana fine (testa)
122 cm
Napoli, Museo Archeologico Nazionale
Su concessione del Ministero della Cultura / Museo Archeologico Nazionale di Napoli, Archivio Fotografico. Ph Luigi Spina
Sacrificio di Ifigenia
inv. 9112
affresco da Pompei
140 × 130 cm
Napoli, Museo Archeologico Nazionale
Su concessione del Ministero della Cultura / Museo Archeologico Nazionale di Napoli, Archivio Fotografico.
Tre Grazie
inv. 9236
affresco da Pompei
57 × 53 cm
Napoli, Museo Archeologico Nazionale
Su concessione del Ministero della Cultura / Museo Archeologico Nazionale di Napoli, Archivio Fotografico.

 

PICASSO E L’ANTICO
Napoli, Museo Archeologico Nazionale
5 aprile – 27 agosto 2023

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