“La deformazione è l’unica estetica possibile nel mondo di oggi”. Di questo, e di altro, abbiamo parlato con Matteo Peducci, fondatore di Affiliati, nella XIX puntata di Progetto (s)cultura.
Quando e perché ti sei dedicato alla scultura?
Fin da bambino la mia più grande passione è stata quella di “realizzare una statua”. Già a sei anni facevo pupazzetti con la creta: già da allora ero malato di scultura. I miei genitori, non sapendo come affrontare questa “malattia”, mi portarono da un grande “specialista”: il Maestro Artemio Giovagnoni. Lui riconobbe subito la mia patologia e, indicandomi la cura, mi disse “caro ragazzo, tu hai una grande talento e arriverai a fare scultura, ma ricordati che dovrai sgomitare tutta la vita!”. Ed eccomi qui.
Tanti artisti contemporanei prediligono gli scarti, i materiali riciclati. Tu invece ti ostini a scolpire il marmo. Per quale ragione?
La sacralità di estrarre un blocco di marmo da una montagna va onorata: quasi tutto il materiale che utilizzo proviene da scarti di lavorazioni industriali, ad esempio da riquadrature di blocchi di marmo destinati alla segagione in lastre; quindi, in un certo senso, riciclo marmo che altrimenti diventerebbe un rifiuto di difficile smaltimento. Comunque, va ricordato che, quando si scolpisce il marmo, ci si confronta con il concetto di eternità. La pietra, essendo il mezzo più duraturo, funge da fondamento senza tempo su cui l’umanità ha inscritto la sua storia, preservandola per le generazioni a venire.
Quanto detto, ovviamente, non significa un rifiuto aprioristico della sperimentazione. Mi ha colpito ad esempio il recente lavoro sulle galvanoplastiche.
I lavori in galvanoplastica fanno parte di una ricerca iniziata molti anni fa riguardo le possibilità che ha la materia di essere coltivata come si fa con un vegetale. Lo scopo era quindi cercare di coltivare una scultura, farla crescere come la natura fa crescere un albero o un fiore. Tutte le opere in galvanoplastica sono il frutto di anni di ricerca e di sperimentazione.
Una ‘chiave’ del tuo stile è la mimesi del reale, cui corrisponde un virtuosismo esasperato. Qual è il senso di questa operazione? Perché sforzarsi di rendere col marmo la consistenza dell’erba o del polistirolo?
Il marmo è una pietra naturale che richiede pazienza, attenzione e abilità per essere scolpita. L’artista che lavora il marmo deve seguire i tempi e le caratteristiche del materiale, senza forzarlo o accelerare il processo. Il marmo richiede tempo per essere lavorato in modo accurato e rispettoso delle sue qualità fisiche e strutturali. In questo contesto, l’idea di riappropriarsi del proprio tempo si riferisce al fatto che l’artista, attraverso il processo di scultura, può entrare in sintonia con il ritmo naturale del marmo e dedicarvi il tempo necessario per creare la sua opera. Questo contrasta con i ritmi frenetici e le pressioni del mondo moderno, in cui spesso siamo costretti a rispettare scadenze e tempi imposti da fattori esterni. Lavorare il marmo richiede pazienza, riflessione e una connessione profonda con il materiale stesso. Attraverso questo processo, l’artista può trovare una sorta di contemplazione, una dimensione in cui può prendersi il tempo necessario per esprimere la propria creatività e dare forma alla propria visione artistica. Scolpire il marmo può essere considerato un atto di resistenza al tempo accelerato e una riaffermazione della propria autonomia come artista.
Questo concetto filosofico riflette l’importanza di rallentare, di apprezzare i processi naturali e di trovare un equilibrio tra l’urgenza del tempo moderno e la richiesta di dedicare tempo alla riflessione e all’espressione creativa.
Una declinazione di quello che, impropriamente, ho definito virtuosismo, parola che potrebbe anche leggersi in senso negativo, è la deformazione espressionistica.
La deformazione è l’unica estetica possibile nel mondo di oggi. Attualmente viviamo in un’epoca in cui l’unica rappresentazione possibile delle cose è in una forma non convenzionale. Prendendo ispirazione da opere d’arte classiche, le ricreo e le lavoro come fossero gomma anziché materiale lapideo. I dettagli, le forme e le proporzioni sono tutti elementi sapientemente studiati ed eseguiti per stimolare le menti. E il risultato è ovviamente un effetto straniante.
Tutti abbiamo dei maestri. Chi sono i tuoi?
Ho avuto molti maestri, e spero di averne ancora molti.
E tra i contemporanei? Segui in particolare qualche artista?
Seguo molti artisti contemporanei, anzi direi che cerco di seguirne il più possibile; credo che confrontarsi sia fondamentale per un artista.
Parliamo un po’ del processo. Come ti accosti ai tuoi soggetti dall’idea, al primo abbozzo, alla realizzazione finale?
Per un artista è molto difficile spiegare come un’opera prenda forma tra idea, progetto e ispirazione. Senza entrare nei dettagli dei procedimenti tecnici, ogni opera ha il suo specifico processo di creazione; un’opera è evento e il suo realizzarsi spesso somiglia più a una magia.
Il tuo laboratorio, in una ex cava di pietra rosa, ha tutto l’aspetto di un’officina rinascimentale. Che rapporti intrattieni coi tuoi collaboratori?
La Bottega che ho fondato è l’espressione fisica di Affiliati, ovvero un dispositivo, un’opera d’arte che produce altre opere d’arte, alla ricerca di un legame tra passato e presente. Affiliati può essere considerata una sorta di macchina creativa, in cui il processo di produzione artistica si svolge in un ambiente collaborativo. Oltre al lavoro manuale, il dialogo gioca un ruolo centrale in questa visione. Attraverso il dialogo con i miei collaboratori, si creano spazi di riflessione e scambio di idee. Questo dialogo può essere stimolante e generativo, consentendo la crescita e l’evoluzione delle idee artistiche. Le conversazioni possono fornire un terreno fertile per l’ispirazione reciproca, l’approfondimento concettuale, lo studio e la sperimentazione.
Sino a pochi anni fa il laboratorio era intestato anche a Savini… Cosa è accaduto?
Savini è stato un ottimo collaboratore che ha contribuito in maniera sostanziale alla realizzazione del progetto Affiliati.
Scultura e committenza: meglio pubblico o privato?
Mi viene spontaneo citare una famosa espressione del grande storico fiorentino Francesco Guicciardini: “o Franza o Spagna, purche’ se magna.”
A parte l’ironia, per me non conta la tipologia della committenza, ciò che mi interessa è la possibilità di fare scultura.
Hai lavorato spesso all’estero. Che differenze noti rispetto all’Italia?
Ho fatto molte esperienze all’estero e ciò che ho notato è che l’arte ha la capacità di superare le barriere linguistiche e culturali, connettendo le persone attraverso l’espressione creativa e l’emozione universale.
In ogni angolo del mondo le persone sono in grado di riconoscere e apprezzare l’opera d’arte quando essa si manifesta con autenticità, creatività e sincerità, arricchendo le nostre vite e offrendo un’esperienza estetica unica.
A cosa ti stai dedicando, a cosa ti dedicherai?
Lavoro sempre su più idee contemporaneamente e sono impegnato in diverse conversazioni con giovani scultori, scienziati di fama internazionale, umanisti… non saprei davvero come rispondere!