Dall’incendio della Venere degli Stracci di Pistoletto all’attenzione per i giovani artisti e in una onda di ritrovata energia del Museo Madre: bentornati a Napoli, osservando la sua predisposizione all’arte contemporanea, nel bene e nel male
Negli ultimi anni Napoli ha dimostrato un atteggiamento ondivago nei confronti dell’arte pubblica. Le cronache ricordano ancora l’entusiasmo della città -condiviso anche dall’Italia e dal mondo- nei confronti della Montagna di Sale, installazione gigantesca di Mimmo Paladino collocata al centro di piazza del Plebiscito, svuotata dalle automobili. Era il 1995, e si parlava del Rinascimento napoletano promosso da Antonio Bassolino, allora sindaco e poi governatore, che possiede il primato di essere stato l’unico uomo politico italiano realmente interessato alla promozione dell’arte contemporanea. Così tra la fine degli anni Novanta e i primi Duemila si susseguono nella piazza-simbolo della città contemporanea opere di artisti come Anish Kapoor, Richard Serra, Mario Merz, Jannis Kounellis, Gilberto Zorio, Giulio Paolini, Joseph Kosuth che suscitano entusiasmo tra i napoletani, che invece reagiscono con episodi di vandalismo davanti alle “capuzzelle”, i 333 teschi in ghisa incassati nel selciato della piazza da Rebecca Horn nel 2002.
Ma allora il contemporaneo non era solo effimero: oltre alle mostre di Jeff Koons, Anselm Kiefer, Damien Hirst o Francesco Clemente al Museo Archeologico Nazionale la città si dota di due musei per l’arte di oggi: il centralissimo Pan (Palazzo delle Arti Napoli) , inaugurato dal Comune nel 2005 e da anni privo di una direzione artistica e di una programmazione adeguata al prestigio del palazzo Roccella, e il Madre, aperto in un edificio ristrutturato dall’architetto Alvaro Siza nel 2007 e gestito dalla Regione Campania attraverso a fondazione Donnaregina: attualmente privo dei servizi aggiuntivi ai visitatori, il museo sta vivendo un periodo di rinascita, fortemente promossa dalla presidente Angela Tecce e dalla neo direttrice Eva Fabbris, che ha inaugurato da poco un’interessante e puntuale antologica dell’artista giapponese Kazuko Miyamoto (1942), la prima in Europa.
Curata dalla stessa Fabris e aperta fino al 9 ottobre, la mostra documenta in maniera impeccabile la ricerca minimalista di Miyamoto, amica e collaboratrice di Sol LeWitt nell’arco di 5 decenni, dalle prime string costructions, installazioni di spago realizzate a New York nei primi anni Settanta, fino alla documentazione delle performance degli anni Duemila. Impreziosita da un allestimento pulito e rigoroso -originale l’idea di incollare le fotografie d’archivio alle finestre – la rassegna costituisce un primo importante momento di rinascita del museo dopo la pausa dovuta alla pandemia. La stessa rinascita che sembra coinvolgere alcune gallerie private della città, sempre più attente alla situazione dell’arte emergente napoletana che da segni di una certa effervescenza, anche grazie a progetti come Quartiere Latino, un condominio di via Foria che ospita opere di artisti emergenti come Lucas Memmola, Gabriella Siciliano, Clarissa Baldassarri e Veronica Bisesti. Quest’ultima è l’artista più giovane presente nella collezione della Camera dei Deputati a Montecitorio, protagonista della personale “Dove brulica l’altrove”, aperta fino al 9 settembre nella storica galleria Alfonso Artiaco, che negli ultimi tempi ha dimostrato una rinnovata attenzione ai giovani talenti del territorio, promossi anche da gallerie cittadine come Tiziana De Caro, Umberto Di Marino e Acappella.
Artisti under 35 che meriterebbero di poter esporre nella project room del Madre, aperta dal 2007 al 2012 come spazio deputato per l’arte emergente dell’unico museo di arte contemporanea di tutta l’Italia Meridionale: dopo una chiusura durata più di un decennio, forse nell’attuale fase di rilancio del museo si potrebbe considerare la possibilità di riattivarla. La recente attenzione dei media sulla Venere degli stracci formato gigante di Michelangelo Pistoletto, posizionata a piazza Municipio e andata a fuoco in circostanze non del tutto chiarite dopo due settimane indicano una sensibilità spiccata verso l’arte d’oggi – nel bene e nel male – non sorprendente nella città di galleristi di rango come Lucio Amelio, Lia Rumma e Pasquale Trisorio, veri e propri pionieri del contemporaneo di massima qualità in Europa. Nella città dove nel 1980 si incontrarono per la prima volta due giganti come Warhol e Beuys appare opportuno e necessario far crescere i migliori talenti, offrendo loro occasioni di visibilità privata e istituzionale, per fare sì che Napoli possa riconoscersi nei propri artisti migliori, come accade in ogni contesto urbano consapevole della capacità, visionaria e profetica, di affrontare le sfide del presente e del futuro.