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Quanto costa visitare un museo? (E intanto il biglietto del Guggenheim sale a 30 dollari…)

Guggenheim Museum, New York Guggenheim Museum, New York
Guggenheim Museum, New York
Guggenheim Museum, New York
L’aumento dei costi e dell’inflazione ha portato molti musei in tutto il mondo ad alzare il prezzo per i biglietti.

Fa discutere il rincaro che in (quasi) tutto il mondo sta facendo lievitare i costi d’ingresso ai musei. L’ultimo episodio in termini di tempo è quello che ha coinvolto il Guggenheim Museum di New York, per cui una visita alle sue sale ora costa 30 dollari. Prezzo elevato? Se di primo acchitto diremmo di si, in realtà dal punto di vista italiano il prezzo non è così distante dai nostri metri di riferimento. Ma soprattutto non lo è in relazione alle richieste dei musei concittadini del Guggenheim.

Il Whitney Museum proprio questo luglio ha fatto una scelta simile, alzando i prezzi da 25 a 30 dollari. Cifra raggiunta, prima del Guggenheim, solo da un altro museo di New York, il Metropolitan Museum of Art. Visitare il MoMA costa 25 dollari, il New Museum 18, il Brooklyn Museum 25. Dunque, tutto sommato, l’adeguamento adottato dal Guggenheim non pare estremo, soprattutto quando ci sono realtà che costano ancora di più. L’Art Institute of Chicago, per esempio, chiede 32 dollari per l’ingresso.

Anche in Italia, come accennato, non abbiamo una situazione tanto più economica. Gli Uffizi a Firenze a marzo avevano alzato il prezzo da 20 a 25 euro, ma controllando rapidamente sul loro sito ora un biglietto è arrivato a 26 euro. A Venezia, per acquistare un tagliando comulativo per i Musei Civici – Palazzo Ducale, Museo Correr, le Sale Monumentali della Biblioteca Nazionale Marciana e il Museo Archeologico Nazionale della Serenissima – si può arrivare a spendere fino a 30 euro. Si tratta ovviamente di esempi limite, non tutte le realtà costano così tanto. I Musei Vaticani chiedono dai 17 euro ai 22 euro, il Colosseo 16 euro. Il complesso archeologico di Pompei si aggira intorno ai 20 euro. A Milano, Palazzo Reale costa 17 euro, la Pinacoteca di Brera 15.

Anche i Paesi del Nord propongono dei livelli di prezzo piuttosto elevati. Qui la più attenzionata è sicuramente Amsterdam, dove il Van Gogh Museum chiede 20 euro all’ingresso (gratis fino ai 18 anni) e il Rijksmuseum 22,50.

Chi può storcere il naso di fronte ai prezzi del Guggenheim è sicuramente l’Inghilterra. A Londra, per esempio, tutti i più grandi musei – National Gallery e il British Museum su tutti – sono gratuiti. A Berlino i musei costano meno: per il Bode-Museum, Alte Nationalgalerie, Neues Museum, Altes Museum ci vogliono tra i 10 e i 12 euro. Mentre in Francia un tagliano per il Louvre ne costa 17, il Musée d’Orsay 16, il Centre Pompidou sui 15 e il Musée de l’Orangerie 12,50. In Spagna El Prado di Madrid costa 15 euro, mentre El Reina Sofía 16,50 euro. A Barcellona il Museo Picasso chiede 14 euro, il MACBA si ferma a 10,80 euro.

É evidente che tale varietà nei prezzi si calibra dunque in base al Paese di riferimento, con i dovuti aggiustamenti a seconda del livello di offerta che l’istituzione propone. Ad ogni nazione corrisponde un differente livello di supporto pubblico alla cultura, un diverso livello medio dei prezzi e una variabile potenzialità economica da parte dei visitatori, solo per indicare alcuni fattori che incidono sul prezzo dei biglietti. Un altro può essere la composizione societaria dei musei nella bilancia pubblico-privato, oltre che i supporti economici che possono ottenere da benefattori e sponsor.

Per dare un’idea di quanto i fattori esterni e soggettivi possano incidere, basta citare un dato: secondo un’indagine statunitense, solo il 7% dei guadagni del museo provengono dal botteghino. I ricavi dello store, per rendere l’idea, pesano per l’8%. Il resto degli incassi è un mix variabile di donazioni e contributi statali, regionali e cittadini.

Ne deriva che l’aumento dei prezzi non è certo da tacciare come desiderio di lucro da parte dei musei, quanto più una reale esigenza di andare a coprire con la liquidità le spese correnti, rese sempre più aspre dall’aumento generale del costo della vita e dell’inflazione. Rimane che, come spesso accade, a rimetterci è sempre il consumatore ultimo.

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