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Spalare fango e sorridere. Stefania Galegati a Bagnacavallo

Stefania Galegati, Storie di Fango Stefania Galegati, Storie di Fango
Stefania Galegati, Storie di Fango
Stefania Galegati, Storie di Fango

Galegati dedica a sua sorella Sandra e agli “angeli dell’alluvione” Storie di Fango, una lunga scritta sulla pista ciclopedonale di Bagnacavallo

Honoré de Balzac nella sua Teoria del camminare sosteneva che esiste una corrispondenza tra il moto del corpo e quello dell’anima. Sicché, giunti all’ultima riga scritta a terra per un chilometro sulla pista ciclabile di Bagnacavallo, c’accorgiamo di quanto il nostro animo si sia mosso, parola dopo parola, passo dopo passo, verso una rinnovata sensibilità. Stefania Galegati dedica a sua sorella Sandra, deceduta giovanissima due anni fa, Storie di Fango, una lunga scritta redatta seguendo la linea di mezzeria e le sponde erbose della pista ciclopedonale che unisce il piccolo comune del Ravennate a Villa Prati. Sandra era legata alla sua terra, l’amava e, quando Stefania ha visto, devastati dal fango delle alluvioni di maggio, quei luoghi che lei amava, dove lei lavorava, ha ribaltato il dolore in un’opera realizzata nella notte del 13 – 14 d’agosto.

Secondo una prassi già adottata a Palermo, Shangai, Milano, Genova, e che qui diventa frutto di una vera e propria Local emotion. Dal momento in cui si considera che questi sono i luoghi dove l’artista è nata e cresciuta. Stefania Galegati nasce, infatti, a Bagnacavallo nel 1973, dopo aver frequentato l’accademia di belle arti di Bologna, si sposta a Milano dove segue a Brera ai corsi di Alberto Garutti, di cui ricorda la dedizione compulsiva all’arte dove il gioco era l’unica risoluzione agli enigmi, e dove ci si sorprendeva delle emozioni osteggiando la prassi ordinaria con un cinismo spietato. Negli anni Novanta, l’artista si forma in Italia e in America per risultare, alla fine del decennio, una delle artiste più rilevanti della sua generazione, quella generazione radunata e celebrata nella mostra Espresso. Arte oggi in Italia, organizzata da Sergio Risaliti al Palazzo delle Papesse a Siena nel 2000.

 

Stefania Galegati, Storie di Fango
Stefania Galegati, Storie di Fango

Nel suo lavoro di scrittura in Romagna, Stefania Galegati accende una luce sulla tragedia da un’angolazione tale da far emergere la dedizione di una popolazione ad aiutarsi vicendevolmente cui dedica il suo “monumento leggero”, come lo definisce lei stessa. Quest’opera labile è la voce transitoria dei ricordi, un racconto srotolato nelle parole dei ventenni e delle ventenni che seguono una via, abitualmente utilizzata come piano passivo su cui muoversi, e che ora diventa un nastro che traina i pensieri e le immagini anche oltre la sua attuale conclusione. Parole che testimoniano, oltre l’oblio della cronaca, il legame permanente tra le persone. Stefania Galegati, invita, infatti, a proseguire i racconti pervenuti via social e vergati, con lettere di venti centimetri, usando una vernice bianca lavabile.

Riportiamo la seconda storia, quella della squadra AX dei soccorritori volontari del centro mulino: “Non li conoscevo proprio quei tipi, alcuni di vista, altri nemmeno. La sveglia era alle 5, e partivo per un viaggio di due ore, destinazione: spalare fango con ragazzi delle mie zone. Zone dalle quali sono scappata, un po’ per esigenza di crescere, un po’ perché i paesini di provincia soffocano, e non volevo motivi in più per tornare a casa, tabula rasa, gli amici qui sono pochi e gli altri sparsi per il mondo. Ma la solitudine diventa una buona compagna, quando la cattiveria dilaga. Durante il viaggio, capisco di essere sulla stessa zattera in frantumi costruita in un presente di incomprensione, di ideali fin troppo giusti per essere concretizzati, di necessità di evadere, di passioni coltivate e che la società non lascia sbocciare. Erano come me. Amici? Spalare fango e sorridere, spalare fango e aiutarsi, spalare fango e mangiare un panino. Spaliamo fango, e mi racconti di quanto l’indifferenza della gente ti faccia paura, la schiena inizia a fare male, ma abbiamo vent’anni, domani andrà meglio. Spaliamo fango, e ci accorgiamo che in ciò che stiamo facendo non c’è indifferenza, quella che fa paura anche al ragazzo che pare avere paura solo dei ragni. Spaliamo fango, e la ragazza che studia infermieristica sta facendo un’iniezione al ragazzo che il giorno dopo andrà a lavorare per pagarsi gli studi. Abbiamo vent’anni, alcuni vanno per i venticinque, a fine giornata siamo pieni di fango e di scene che pensavamo di non vivere mai. Abbiamo vent’anni, e forse, non ci siamo mai sentiti così utili. Ci siamo fatti da ombrello per non spezzarci davanti ai ‘grazie’ in pianto di chi ha perso tutto, ci siamo supportati quando dovevamo buttare i ricordi di persone come noi. Abbiamo scherzato con ragazzi come noi, fatto le bolle di sapone per i bambini, portato le canzoni di Manu Chao per dare ritmo a ciò che stavamo facendo: non rimanere indifferenti. Adesso ho degli amici, e con loro ho continuato a spalare fango anche nei giorni successivi”.

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