Marta Ferro, pittrice affascinata dall’incisione, dal segno post-espressionista, contro la rappresentazione della donna oggetto, nata a Palermo nel 1994, cresciuta nell’entroterra, tornata nel capoluogo ha studiato in Accademia di Belle Arti. Nel 2017 si è trasferita a Milano per approfondire i suoi studi, e da quel momento vive e lavora sotto un’altra luce i suoi processi di cambiamento formali, cromatici e poetici contro sterili specialismi.
Dove hai studiato e quali sono stati i corsi che ti hanno maggiormente formata?
Ho studiato calcografia a Palermo e Nuove Tecnologie a Milano. Ricordo, a Palermo, le lezioni di disegno dal vero di Glauco Bertola che giudicava i disegni scartati come migliori, perché avevano ‘’le linee più espressive’’ o i racconti di Luigi Amato sulla musica punk e la Palermo degli anni ’90, quando “acidavamo” le lastre in laboratorio di incisione. In quel periodo lavorare era un contorno a mille racconti e l’attitudine del fare era più indirizzata ai ‘’perché’’ che ai ‘’come’’. A Milano ho approfondito molto fenomenologia dell’immagine con Romano Gasparotti, che ha influenzato molto il mio lavoro. Iva Kontic e Andrea Giomi, focalizzati sul video ed estetica, docenti che mi hanno aiutato a realizzare i miei lavori e insegnato cosa significa avere progettualità.
Quando e perché hai deciso di trasferirti a Milano e quali sono i tuoi punti di riferimento?
Quando ho finito l’Accademia a Palermo ero stanca dell’estrema caratterizzazione che trovavo ovunque in città, delle continue narrazioni folkloristiche e sul Mediterraneo, delle bancarelle, dei mercati, dell’enfasi, del grottesco. La città ha un carattere così forte che a volte sembrava quasi venisse imposto un senso di identificazione. Il paesaggio restituiva sempre grandi potenzialità e scenari possibili, ma nella mentalità diffusa mi scontravo spesso con un forte senso di fallimento. A un certo punto volevo qualcosa di esattamente opposto: un luogo più asettico o alienante, pragmatico, meno localizzato e caloroso. Volevo maggiore spazio per pensare senza condizionamenti o romanticismi. Era un test.
Quanto incide essere palermitana nella tua ricerca artistica?
Io sono di Caltanissetta per l’esattezza, a Palermo ci sono soltanto nata. Da isolana non ho mai percepito il limite costiero del mare, piuttosto spaziavo nel paesaggio di campagna collinare, delle miniere di zolfo, del ragionamento della piccola provincia. Stare a Palermo mi ha allenato a convivere con un ambiente più contrastante, aperto alle incongruenze e a situazioni paradossali.
Dall’incisione alla pittura, che importanza ha per te il disegno?
Il disegno è traccia di un gesto nella forma più evidente possibile. La cosa che trovo interessante è trovare diverse declinazioni di questa evidenza sia nella stampa che nella pittura. Nel segno inciso o stampato, ad esempio, vi è una costruzione di tanti altri segni o gesti invisibili che contribuiscono a definire il risultato finale. L’immagine richiama un’immediatezza falsata. Allo stesso modo in pittura cerco una sedimentazione di intenti, gesti non completi o semplicemente espedienti per ‘’fare pittura’’ ogni volta in modo diverso, seguendo l’improvvisazione e lo sketch.
Perché il tema del corpo femminile è centrale nella tua ricerca?
Sono cresciuta con molti riferimenti femminili nella mia famiglia, inoltre, fin da piccola, la presenza di internet, dei programmi televisivi e delle riviste mi hanno subito introdotto a delle versioni estremamente patinate ed estetizzanti della donna. Queste immagini mi colpivano perché non ne trovavo una coincidenza nella realtà, e quindi mi portavano a immaginare delle cose e rielaborarle disegnando. Nel tempo ho capito che la mia fascinazione derivava dal presentimento di sentire la figura femminile quasi scomparire dietro questo velo estetico fino a diventare, a tratti, oggetto di decorazione. Una qualche forma di astrazione. Da quel momento ho capito che mi interessava la questione della presenza e ho iniziato a pensare al femminile come un carattere più universale grazie al quale poter creare associazioni.
Dove c’è un corpo, una figura, un volto si configura una identità, cosa è per te?
L’identità di cui parli per me esiste grazie alla capacità relazionale dell’uomo. Non è possibile ricondurre esclusivamente ad un singolo un intero schema di pensiero ideologico, sociale, morale o sessuale. L’essere umano è naturalmente portato a identificarsi, immedesimarsi, perfino a imitare per comprendere gli altri o il proprio contesto. Tutto questo arricchisce una coscienza che crea espressività e peculiarità nel singolo. Il dettaglio arriva a partire dal globale, ovvero tra gli spazi di convivenza dei corpi. Nel mio lavoro cerco di astrarre il carattere umano, fino a renderlo una silhouette perché è proprio lungo i contorni e i margini della figura che possono coesistere aspetti circa lo spazio esterno e quello intimo.
Forma, contenuti e poetica come si esprimono nel tuo lavoro?
Se la poetica è il corpo che manca, nella pratica ci arrivo per accumulazione. Parto collezionando immagini sul corpo in cui determinati aspetti, sui quali decido di concentrarmi di volta in volta, si ripetono o sono similari. Questa osservazione e un mio modo per comprendere le cose attraverso il disegno, riproducendo ciò che vedo. Lo studio dell’immagine parte da una questione spesso anatomica e di annotazione delle parti che mi interessano, le ripeto per memorizzarle fino al punto di accumulare le linee e sintetizzare delle strutture che mi portano ad avere nuove forme e possibili ‘’architetture’’ del corpo.
Ti interessa il nudo e lo studio dell’erotismo femminile perché?
L’erotismo ci proietta verso dimensioni immaginifiche con la volontà di superare una mancanza materiale data dal desiderio. La propensione all’eccesso la ritrovo anche nell’atto stesso del disegnare, un piacere nel perdersi dentro le linee e l’atto stesso di ripetere un’azione. Penso a riferimenti femminili in cui l’erotismo rimanda a una tensione spirituale, mostrandosi come sentimento umano, come Melancholia di Dürer o il racconto Game of Chess di T.S.Eliot, in cui il pensare stesso è un’implosione silenziosa dove il corpo vorrebbe essere altro.
Coltivi un segno in bilico tra figurazione e astrazione, quali sono le avanguardie che ti hanno ispirata?
Non ho riferimenti delle avanguardie particolari. Durante gli anni di studio guardavo artisti che si occupavano di scultura allo spazio o all’architettura. Penso alle associazioni tra testo e scultura di “Testament” di Colm Tòibìn e Rachel Whiteread o a agli interventi di Gordon Matta Clark, a come Jenny Saville ricerca immagini d’archivio associandole alla poesia. Oppure alle fotografie di Hotel Palenque di Smithson e i discorsi sull’entropia, ai primi “Bread Works” di Antony Gormley. Alle installazioni di Pamela Rosenkranz, i primi inventori della cronofotografia e all’utilizzo del disegno sui supporti più disparati di Nick Mauss.
A parte la carta, quali altri materiali utilizzi o intendi sperimentare?
Utilizzo la carta perché ha qualità plastiche e reagisce al contatto con i materiali mantenendone memoria, inoltre si muove seguendo di pari passo l’andamento del disegno. Mi piace questa idea di sincronicità e vorrei studiarla meglio utilizzando altri materiali appartenenti al mondo del restauro, perché sfruttano diversamente parametri di sensibilità.
Che rapporti hai con la tecnologia e social media ?
Esplorare luoghi lontani su Google Maps o seguire le mappature dei venti in tempo reale mi dava un senso di vertigine che avrei voluto dare al mio lavoro. Tuttavia, il fatto di utilizzare applicativi digitali mi fa scontrare con il problema della fruizione impalpabile. Nel mio uso quotidiano, tendo ad allontanarmi sempre da social media e derivati.
Cosa rappresenta per te una linea e quando e come può estendersi nello spazio?
La linea è un punto di incontro tra pensiero e gesto. È la formula più immediata e meno filtrata che riesco a utilizzare quando ragiono su qualcosa.
Quali progetti stai sviluppando ?
Sto preparando una mostra personale a Milano a fine novembre nello Studio Amatoriale, uno spazio di progettazione per l’architettura e per artisti. Contemporaneamente sto dedicando a lavori calcografici nello studio di Paolo Nava a Milano.