Nell’inciviltà odierna l’arte è stata cambiata in finanza. Bruno Ceccobelli: gli artisti Spirituali non debbono vendere la propria anima…
Credo che il Creato, generato da un geniale Artista Cosmico, sia, per la sua misteriosa immensità, una bella Opera d’Arte Astratta, però non firmata… Lui, il Maestro ancestrale, pensava forse di non venderla? In esso trovo un unico dettaglio scarso, l’Homo Sapiens, inventore dell’aria fritta: il mercato! E comunque, di tutta questa Era Antropocene-marchandise, salvo gli artisti. Questa infinita galleria d’arte in progress, in altre parole la nostra vita, ci è stata data gratis. Senza biglietto d’ingresso il preistorico Maestro non ci fece firmare contratti, né ci convinse a comprare qualcosa a rate… Certo è vero che ci ha cacciati dal suo giardino, infastidito, perché volevamo accedere all’albero della cuccagna. Forse già pensava alla nostra futura concorrenza artistica A.I.!
Ogni istante sento tutta questa grande Opera d’Arte ancestrale che mi attraversa ed è taumaturgica, rappresenta una mutazione dimensionale, una resurrezione, una trasfigurazione; di riflesso sono convinto anche che una mia opera d’arte cambi me, l’operatore. Esagerato, portaci la prova! Sì, ne ho alcune.* C’è chi lavora e c’è chi “mangia” quel lavoro, ci sono gli extraprofitti in arte che sicuramente implementano quell’evoluzione auto-diretta del nefasto transumanesimo. Così come ci sono da sempre i salari minimi per altre opere d’arte ugualmente notevoli.
Una rinascita personale
Per esempio, nel Novecento, numerose trattorie sono divenute famose come ottime gallerie, per aver nutrito, soprattutto nei dopoguerra, i pittori affamati. Giacinto Cerone, geniale ceramista, imponeva una mano sospesa sopra le sue stesse sculture, e diceva: “Un’opera deve costare secondo il suo peso“. Naturalmente, con “peso” intendeva la qualità dell’opera, che lui misurava secondo l’aura del manufatto. L’istrionico Gino De Dominicis si proponeva di fare le opere che comprendessero la geografia, cioè fare un quadro a seconda di dove doveva andare a finire. E là sarebbe stato deciso anche il prezzo che variava quindi in relazione alle latitudini e longitudini.
Il pittore Silvio Pasqualini mi raccontò che da giovane faceva dei viaggi ad Amsterdam, al Museo Vincent van Gogh, solo per osservare un singolo quadro, ma per delle ore. Incantato dal capolavoro, poi se ne tornava, portando dentro di sé quel quadro, per sempre. Da parte mia, essendo un campagnolo, per le vendite ho accettato volentieri il baratto o il prezzo che mi imponevano. Del resto un’opera è per me una reliquia di quella grande opera cosmica, capace di innescare una rinascita personale e una “comunione” con l’altro… Pertanto deve avere un prezzo equo e solidale, affinché ognuno dei beneficiari possa possedere un’opera portentosa, operativa perfino nella propria stanza da letto e non distante… Come accade per le opere nei musei o illustrate nei libri!
Il virus Picasso
L’artista che guadagnò di più nel Novecento fu quel “minotauro” di Pablo Picasso che, essendo peniafobico (aver paura della povertà), volle, per buona coscienza, essere comunista. Pablo comprò appartamenti, ville e castelli e amò solo il contante. Si sa che quando una sua dimora era troppo satura di quadri e sculture, con estro, senza sforzo, cambiava residenza. Sigillava tutto, lasciando dentro, nascoste in scompartimenti segreti di mobili antichi, tutte le sue care mazzette di banconote. Bacco, Tabacco e Venere… Fu Fernande Olivier, una delle prime modelle amanti del pittore “torero matador” P.P., che gli sarà vicina nel periodo Blu e in quello Rosa e nel Cubismo, infine verrà a mancare in estrema povertà; poi venne Marcelle Humbert detta Eva che morirà molto giovane di tubercolosi.
Ecco, la prima moglie Olga Khokhlova impazzì, Marie-Thérèse Walter s’impiccò, Dora Maar depressa si suicidò, Francoise Gilot ebbe una vita tempestata di liti e riuscì a sfuggirgli; ecco, la seconda moglie Jacqueline Roque si sparò, il figlio Paulo morì devastato dall’alcool, il nipote Pablito si suicidò con una bottiglia di candeggina. La nipote Marina parlò di virus Picasso; questa è la ferocia del genio e dei suoi soldi, lasciò un patrimonio di 224 milioni di franchi. Quanto a popolarità e ricchezza, gli fa eco el pintor connazionale Avida Dollars (anagramma escogitato dall’invidioso Andrè Breton) Salvador Dalì: teorico del metodo paranoico-critico, genio stralunato, un simbolista anarchico, da me preferito molto più che non Pablo, perché più colto e sofisticato, naturalmente non condividendo con lui l’amicizia di comodo che ebbe con il caudillo Francisco Franco.
Lotta continua
Qui mi soccorre, da contraltare, un’amabile citazione del grande poeta portoghese Fernando Pessoa: “Ho sempre rifiutato di essere compreso. Essere compreso significa prostituirsi”. Insomma, fare veramente poiesis è una forma di lotta continua contro le banali convenzioni sociali e le facili convenienze personali. Certo una così meravigliosa maieutica, una grande missione metafisica enormemente responsabile e quantisticamente co-creatrice, come quella di mettere al mondo nuove idee e conformazioni gioiose, poi al momento della condivisione con gli altri, non può essere ridotta ad una semplice questione di economia, di “come poter vendere” una merce sacra!
Costi alti e costi bassi… L’agenda del nostro mercato, quello globale, ha bisogno di grandissimi numeri: di conseguenza le opere originali vanno di pari passo con riproduzioni grafiche, copie e falsi. In più ci sono da considerare quelle opere semplicemente firmate dal maestro, ma realizzate dagli assistenti, e che vengono denominate bonariamente opere di studio. “Blu, le mille bolle blu (e mille balle blu), che volano, mi chiamano, mi cercano e volano, volano… nel ciel”.**
Mediatori del business
Naturalmente le opere originali restano nei segreti caveau di musei e di banche; e il resto, via… circolare… le illusioni volano! Prima dell’Ottocento i quadri, gli affreschi, le sculture costavano a seconda della genialità espressiva del “maestro”, difficilmente confutabile, grazie alla grazia delle opere, per di più con una provata e ben visibile commozione dei collezionisti. Certo, nella spesa per l’opera, altresì contavano i parametri della tecnica e della grandezza, della preziosità o difficoltà di recupero dei materiali. E poi contavano le loro giornate lavorative; poi la svolta a cavallo dei nostri due millenni: il maestro è più bravo a vendersi che a fare l’opera…
Nel Novecento, nella suscettibilità del prezzo delle opere, interviene, oltre alle vecchie suddette coordinate, un surplus di mediatori del business detti curatori. Galleristi, critici (e critici creativi), direttori di musei, aste, fiere, riviste pubblicitarie, fotografi, grafici e stampatori, uffici stampa, architetti arredatori, trasportatori e burocrazie varie. Tutte figure prezzolate… che hanno finito per alzare il prezzo dei lavori. Comunque, fino ad ora, i prezzi delle opere d’arte relativi agli artisti viventi sono tutti autoreferenziali. È palese: chi nel settore ha il supporto della struttura finanziaria più strategica e “vuole” più soldi, ha la possibilità, con una serie di furbizie finanziarie attraverso le Case d’Asta Internazionali, di imporre il suo prezzo, vedi Damien Hirst.
Capolavori di avidità
Nell’inciviltà odierna l’arte è stata cambiata in finanza; il bello per l’utile, non si vende il contenuto del quadro, ma la sua “cornice”, il suo conio, la firma. Se c’è un’opera bella, ma poco costosa, diffidate, alla larga, meglio un quadro “assegno circolare”, che porterà un surplus. Così i galleristi e i mercanti sono diventati dei cambiavalute, sono brokers che fanno trading, quello che vendono sono capolavori di avidità. In arte il “Patto con il Capitale”, cioè con gli extraprofitti, non svilisce forse la spiritualità dell’arte, tanto da rendere inefficace l’anima redentrice della poiesis?
Io sono un uomo inutile e un artista involontario, e ogni mia opera è un pezzo della mia anima. Non trovereste simpatico istituire un nucleo di artisti carabinieri N.A.S. che tuteli l’originalità dell’ opera d’arte, che faccia multe e sequestri per vilipendio all’Arte e inquinamento Estetico***? Per abuso di colore sporco, per divieto di scultura abbandonata, per concorrenza sleale e plagio artistico, per imbrattamento di suolo pubblico? Perché colti in flagranza in violazione di domicilio e imbroglio ai danni di sfortunati collezionisti, per circonvenzione d’incapaci e per scommesse illecite nelle Case d’Aste? Per pratiche illegali corruttive nei confronti di direttori di musei?
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* Era il 1964, in Umbria a Todi, in seconda media, durante una lezione di matematica. In classe, vicini all’inizio della Quaresima, io più alto di tutti nei banchi di fondo, l’insegnante si accorge che ero distratto, indaffarato a disegnare una maschera di carnevale. Fui ripreso autorevolmente e a malo modo, il Prof, prima di cacciarmi fuori dalla classe, perfidamente, mi fece finire la maschera e poi indossarla tra l’ilarità generale. All’esterno, nel corridoio, fuori dal sistema, mi saliva il sangue al cervello, un po’ vergognoso e un po’ schifato dalla punizione, volevo esplodere.
Ma poi un’intuizione: insorgere… mi calmai e rimasi lì, aspettando la fine dell’ora, imperterrito, dritto, di guardia, testimone di un sistema coercitivo… orgogliosamente con la maschera in faccia. Ero consapevole di aver subito un affronto, un’ingiustizia, anche se non sapevo bene quale e così, dopo la campanella, uscii impettito. Attraversai i viottoli della storica cittadina medioevale, spavaldo mi diressi svelto verso la fermata della corriera, sentendomi allegro, fiero, liberato, sotto quella maschera da Pierrot.
Nel primo anno di Liceo Artistico a Roma affrontai i primi disegni dal vero con slancio, tutte copie da sculture classiche, ma la foga con cui li produssi e la loro perizia, stupì più i miei compagni che i miei professori, convinti che fossi figlio di un pittore e io tacevo per pudore la mia origine contadina, tanto da poter sognare una mia nuova immagine pubblica. Mio padre, ancora giovane, cinquantanove anni, sul punto di morte, preoccupato di lasciare il suo unico figlio con scarse sostanze, mormorò: “Non fare il pittore!”.
Nell’italietta rurale dei primi anni sessanta fare il pittore significava fare la fame e anch’io ne ero impressionato. I figli naturalmente, più spesso, si danno da fare a fare quello che un padre nega. Per mio conto, avevo già compreso che l’artista vero era uno spirito libero, un ironico alieno, un volontario al rischio, prontissimo ad essere periferico, clandestino, eccezionalmente solo, esule incompreso.
** “Le mille bolle blu”, brano del 1961 cantato da Mina.
*** L’idea della tutela della propria originalità non è mia, la ebbe Albrecht Dürer quando si rese conto che le sue incisioni venivano falsificate, allora disegnò all’interno dell’opera rappresentata un monogramma (una D fra le gambe di una A più grande) e nel 1514 richiese all’Imperatore Massimiliano la concessione di sequestro dei beni dei suoi falsari, che gli fu accordata.