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Da Olafur Eliasson a Bob Wilson. Ecco chi ha vinto il Praemium Imperiale 2023

Olafur Eliasson, fra i vincitori del Praemium Imperiale 2023 © Tomas Gislason Olafur Eliasson, fra i vincitori del Praemium Imperiale 2023 © Tomas Gislason
Olafur Eliasson, fra i vincitori del Praemium Imperiale 2023 © Tomas Gislason
Olafur Eliasson, fra i vincitori del Praemium Imperiale 2023 © Tomas Gislason

Il Praemium Imperiale, assegnato ogni anno dalla Japan Art Association, è dedicato a pittura, scultura, architettura, musica e teatro/film

Nel corso della conferenza stampa tenutasi all’Hotel Westin Excelsior di via Veneto, è avvenuta la proclamazione del Praemium Imperiale 2023. I vincitori sono Vija Celmins (Riga, 1938) per la pittura, Olafur Eliasson, (Copenaghen, 1967) per la scultura, Diédébo Francis Kéré (Gando, 1965) per l’architettura, Wynton Marsalis (New Orleans, 1961) per la musica e Robert Wilson (Waco, 1941) per il teatro cinema. Tra il pubblico gli illustri artisti Cecco Bonanotte e Michelangelo Pistoletto già vincitori del Praemium nel 2012 e 2013. “L’arte è un motore fondamentale per la società – ha commentato il maestro dell’arte povera, mettendo in luce il fil rouge che sembra legare l’ispirazione dei vincitori di quest’anno – essa tocca i paesi e le culture più diverse. Dalla politica arriva alla comunità e alla vita”.

La percezione di un’urgenza planetaria è presente in ogni artista premiato quest’anno. Uno sguardo dilatato al paesaggio nella ricerca instancabile di soluzioni che l’arte possa fornire per individuare una via di salvezza. Così è per l’artista Vija Celmins, che tra opere in bronzo fuso e disegni su tela e su lino guarda la natura in tutte le sue declinazioni: dal mare al deserto, dal cielo ai sassi. Di ciascun soggetto Celmins restituisce il particolare entro cui risiede un microcosmo di inesauribile bellezza. “L’oceano che hai davanti è un’immagine – commenta l’artista – ma ciò che vediamo è il documentario di una superficie”.

Fragilità

Al surriscaldamento globale va il pensiero dello scultore Olafur Eliasson, che vivendo tra Danimarca e Islanda ha potuto toccare con mano “la fragilità del circolo artico”. La sua produzione interdisciplinare combina tecnologia ed elementi base del mondo naturale: colore, luce, acqua. Il fine ultimo delle sue opere è quello di alterare la percezione ed ampliare la coscienza del fruitore. Inventore della Little sun, una lampada ad energia solare con funzione di oscuramento, Eliasson è ricordato per alcune straordinarie installazioni tra le quali The wheater Project, presentata alla Tate di Londra nel 2003; Riverbered (2014) che riproduceva un fiume tra terra e massi all’interno del Louisiana Museum of Modern Art. E Ice Watch (2014), un’invasione di blocchi di ghiaccio sulle rive del Tamigi. “Credo sia molto importante capire che si entra nell’arte per stare nella società, non il contrario”, ha spiegato l’artista in un suo documentario.

 

Diédébo Francis Kéré
Diédébo Francis Kéré

Quella società dalla quale è partito il lavoro di Diédébo Francis Kéré, il primo architetto africano ad aver vinto il premio Pritzker per l’Architettura nel 2022, insieme ad altri numerosi riconoscimenti. Combinando materiali del luogo e tecnologia avanzata Kéré è riuscito a rivitalizzare le economie africane locali, trasformando l’architettura anche a livello internazionale. Il suo è uno spirito democratico, in bilico fra la tradizione del suo paese e la modernità, votato alla costruzione di “edifici fatti per la gente dalla gente”. Sul concetto di radici ha puntato sempre anche Wynton Marsalis, il primo trombettista insignito del Praemium Imperiale. Con la sua produzione egli ha voluto superare lo stereotipo razzista della musica jazz come icona dei neri e della musica classica come simbolo dei bianchi. L’artista ricorda l’emozione provata quando all’età di sedici anni suonò per la prima volta la seconda sinfonia di Mozart.

Radici

Compositore con un background di studi musicali eterogenei, dalle sue origini – il padre era a sua volta un pianista jazz – Marsalis approda al genere jazz. Come espressione autentica della musica americana, oltre che come perfetta espressione individuale. Nel ’97 Marsalis ha vinto il premio Pulitzer con Blood on the field, una composizione musicale sulla storia della schiavitù negli Stati Uniti. Insignito di numerosi premi, lauree honoris causa e vincitore del leone d’oro alla 45esima Biennale di Venezia, Bob Wilson, vincitore del Praemium Imperiale di quest’anno per la categoria teatro\cinema non è slegato dall’osservazione del mondo esterno, dalle proprie radici – il Texas influenza continuamente la sua visione – e dalla necessità di restituire al fruitore anche aspetti critici del presente, in chiave spettacolare.

Alla base del suo lavoro c’è la volontà di ridisegnare i confini spazio temporali per approdare ad una sintesi radicale. Il suo lessico visuale che passa dal teatro al design, dalla scultura alla danza, non è narrativo, ma profondamente sperimentale. Ne è esempio l’opera in quattro atti Einstein on the beach composta insieme a Philip Grass. Che rifugge la tradizione teatrale in favore di un approccio formalista, con storyboard e intermezzi mirabolanti. Quest’anno la Borsa di studio per Giovani artisti ha premiato inoltre, su indicazione dell’ex-segretario di stato Hillary Rodham Clinton la Rural Studio (USA) e la Harlem School of the Arts (USA). “A me sembra che le espressioni artistiche dei vincitori seguano una tendenza di modernità che avvicina ancor più l’arte alla vita contemporanea”, ha osservato l’onorevole Dini alla fine della cerimonia di proclamazione.

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