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Progetto (s)cultura XXIII: Teo Martino, un nuovo Rinascimento

Teo Martino
Per Teo Martino, giovane promessa della scultura italiana, la nostra arte abbisogna di un nuovo Rinascimento. E ha tutte le carte in regola per attuarlo. Ne parliamo in questa ventitreesima puntata di Progetto (s)cultura.

Come sei diventato scultore, cosa è stato determinante?
All’età di diciotto anni frequentai per un anno il liceo artistico. Arrivando da un diverso percorso scolastico, mi venne chiesto di superare un esame integrativo per la materia di scultura. Si trattava di studiare un programma durante l’estate e di comprare una serie di strumenti. A settembre mi presentai totalmente impreparato e senza alcuno strumento in mano. Ricordo che chiesi al mio vicino di posto se poteva gentilmente prestarmene uno, e ricevetti un coltello di plastica bianco. Al termine della prova il professore mi chiese da quanto tempo modellassi la creta. “È la prima volta”, dissi. Fece un sorriso pensando che stessi mentendo. In quel momento compresi che dovevo fare lo scultore.

Dove hai appreso i rudimenti del mestiere?
Il mio incontro con il marmo è stato molto simile a quello con la creta. Dopo aver abbandonato il liceo artistico, l’anno seguente mi recai da un marmista vicino casa per comprare un blocco di marmo, su cui iniziare a scolpire. Non avevo la più pallida idea di come si facesse e di quali fossero gli utensili da utilizzare. Arrivato in questo laboratorio, il marmista, dopo aver ascoltato la mia richiesta, mi mostrò un piccolo monumento su cui la sua scultrice stava lavorando. Era un monumento per i 70 anni dell’unità d’Italia, un bassorilievo del volto di Cavour. “Vedi che è un po’ storto?”, mi disse. Annuii. “Te la senti di correggerlo?”. Dentro di me ero molto intimorito ed eccitato, ma accettai. Mi mostrò gli strumenti che avevo a disposizione e il giorno dopo iniziai. Al termine mi assunse al posto della scultrice. Fu in questo laboratorio che appresi come lavorare la pietra. Durante questa lunga esperienza, i lavori puramente scultorei furono davvero pochi. Tuttavia ebbi modo di imparare a rifinire ogni tipo di superficie, dal granito al marmo, e di acquisire un ottimo controllo degli strumenti…

Baby Boom America, 10 x 25 x 14 cm, marmo nero, marmo bianco, pigmenti

… Di cui ti sei servito, dopo questi primi passi, per praticare altrove il mestiere di artigiano.
Qualche anno dopo, mi licenziai, per spostarmi in un’azienda storica di Torino che si occupa di arte funeraria. Il fascino per questo materiale ardeva dentro di me in modo prepotente. Su Internet ricercavo, durante le mie pause, le immagini di uno dei primi scultori che mi colpirono: Fabio Viale. Contemplavo quelle immagini sognando il giorno in cui sarei riuscito ad utilizzare il marmo così. Ero affascinato dal mimetismo che Viale riusciva a creare. Un giorno, mentre compravo strumenti per l’azienda in ferramenta, lo incontrai e subito mi avvicinai presentandomi e spiegandogli che ero, nel mio piccolo, uno scultore anche io. “Davvero?”, mi disse, “Sto proprio cercando un rifinitore. Passa in laboratorio da me e vediamo se puoi andare bene”. Ero letteralmente elettrizzato per questo incontro.
Dopo il lavoro, mi recai nel suo studio. Ricordo che all’entrata vidi una delle gomme che avevo contemplato per molto tempo. Mi avvicinai e la toccai per capire se fosse vera. Affrontai una piccola prova su uno dei suoi pugni e venni assunto.

Che ricordo conservi di questa avventura?
Fu un’esperienza che durò solo qualche mese, ma fu sufficiente per crescere tantissimo. In quel laboratorio imparai ad ammaestrare il marmo, come un domatore rende docile un leone, finché esso non assume la forma ricercata. Un’esperienza intensa dal punto di vista psicologico… Imparai a rialzarmi davanti ad ogni problema che il marmo ti mette di fronte. Ebbi modo di osservare, in Fabio, una particolare forza con la quale aggrediva le sue sculture. Penso che sia stato questo l’insegnamento più rilevante: lo stato psicologico con il quale bisogna trattare questo materiale, così duro e forte. Bisogna “morderlo” per evitare di essere morsi.

Your first rifle #1, 100 x 32 x 6,5 cm marmo nero, marmo bianco, pigmenti

Tra le tue opere, mi hanno molto colpito mine, fucili, bombe a mano. Rivolgo a te una tua domanda: sicuro di non essere involontariamente in guerra contro qualcuno?
Sicuramente la guerra è presente nel mio percorso artistico e personale. Una guerra che penso abbia avuto inizio con i miei genitori. Quando mostrai loro la mia intenzione di fare lo scultore, ricordo che lottai molto per far sì che accettassero l’idea, sebbene dentro di me io fossi sicurissimo di potercela fare. Penso che l’attenzione al dettaglio a cui sottopongo le mie opere sia in parte dovuta a questo confronto: un modo inconsapevole per ottenere una rivincita, per far comprendere ai miei, e a me stesso, che avrei avuto la meglio.

Già Eraclito spiegava che la giustizia, considerata come l’unità delle cose, è garantita dalla guerra dei contrari: “La guerra (pòlemos) è padre di tutte le cose e re di tutte le cose”
Non c’è uomo che non veda come la guerra sia sempre presente dentro di sé… Una guerra che per la maggior parte del tempo non viene percepita, ma c’è, e viene inconsapevolmente trasmessa da migliaia di anni, di generazione in generazione. In tutto questo però c’è pure una buona notizia: quando qualcuno vince la propria guerra, o almeno una battaglia campale, si eleva dalla massa, e funge da esempio per chi lo circonda. Questi sono i veri super eroi, non quelli che vogliono farci credere i media.

Di sicuro una guerra costante, forse anche piacevole, la combatti contro il marmo, il tuo materiale d’elezione.
Certo. Rispetto ad altri materiali è molto più complesso e difficile da lavorare… Basti pensare al suo peso: anche il più piccolo spostamento è un’impresa. Le influenze della società moderna spingono l’individuo alla frenesia e all’alienazione. Il confronto con il marmo richiede invece calma, e massima attenzione. Il tempo si ferma: è il marmo a scegliere il tempo che necessita, e noi siamo obbligati a stare al suo ritmo. Siamo obbligati a non perdere mai di vista l’obbiettivo, altrimenti lui ci punisce, togliendoci il tanto ambito premio.

Ne parli come di una persona.
Lo vedo un po’ come un grande Maestro dal quale apprendere. Un Maestro che ti obbliga ad alzarti molto presto al mattino e ti svuota di tutta l’energia fisica e mentale che possiedi. Un Maestro che, se ascoltato attentamente, ti aiuta ad aver fede in te stesso per superare gli ostacoli che continuamente ti pone davanti e, quando lo meriti davvero, sa come compensarti.

La fatica stessa che il mermo richiede è quindi cibo, alimento, come dichiara il titolo di una tua opera esposta di recente presso l’Acquario Romano: Cibus eramus, cibus sumus, cibus erimus.
Attraverso questo sedimento, che altro non è che vita e morte di materia biologica vecchia milioni di anni, hanno preso forma nel tempo le più grandi ideologie dell’essere umano. Possiamo usare il marmo per creare l’immagine di una Divinità oppure, se ci riusciamo, per nutrire la Divinità che riposa in ciascuno di noi.

Altri tuoi lavori – smartwatch e smartphone prima di tutto – riflettono sul rapporto tra uomo e tecnologia. Qual è il posto della scultura in un’epoca in cui il lavoro manuale perde gradualmente di importanza e forse di significato?
il posto della scultura è quello che ha sempre avuto. La scultura è uno strumento con il quale realizzare il nostro essere. Uno strumento che possiamo usare per avere delle risposte da noi stessi. Ci aiuta ad oltrepassare i nostri limiti, che ci impediscono di volare. Il fatto che tantissimi scultori contemporanei deleghino ad altri l’esecuzione delle loro sculture non fa perdere di significato la scultura in sé. Un’opera, una volta finita, non è che un oggetto. Gli unici a perderci sono loro, perché non imparano nulla dal processo che sta dietro la realizzazione di un’opera.

Nel tuo lavoro, la rappresentazione iperrealistica di oggetti d’uso quotidiano ricorda la ricerca di altri artisti piemontesi come Nazareno Biondo o Fabio Viale, di cui abbiamo già parlato. Sono loro i tuoi modelli, i tuoi riferimenti principali?
I miei riferimenti sono in tanti. Di sicuro la conoscenza di questi due artisti ha contaminato il mio modo di pensare. Un altro scultore che mi stimola molto è Barry X Ball. Nonostante lui non scolpisca direttamente la pietra, il risultato ottenuto nelle sue opere corrisponde a quella sete di perfezione che mi induce a contemplare il divenire della forma per ore, senza stancarmi mai. Altri scultori nei quali trovo conforto sono Jago e Marco Maschio. Le loro esecuzioni sono in grado di farmi rimanere letteralmente a bocca aperta.

Che cosa pensi della scultura italiana contemporanea?
Gli scultori italiani di oggi lavorano sodo. E tuttavia, guardando indietro, non posso fare a meno di inchinarmi davanti alla grazia dei maestri del passato. Probabilmente, per quanto riguarda la scultura, siamo in un nuovo Medioevo: paragonando i lavori contemporanei con i capolavori classici o rinascimentali, il confronto è impietoso. Se Michelangelo, Bernini e Canova avessero avuto anche solo l’energia elettrica, ci avrebbero fatto senza alcun dubbio il “culo a strisce”. In realtà, pur non avendo avuto a disposizione tutta la nostra tecnologia, ci surclassano comunque. Urge rialzarci come scultori in un nuovo Rinascimento, abbiamo tutte le carte in regola per farlo.

Aletheia, 63 x 38 x 38 cm

E del mercato della scultura? È statico o ricco di opportunità?
Il mercato della scultura, per il poco che ho potuto osservare, è sicuramente ricco di opportunità, ma chiaramente bisogna essere abili a scendere a compromessi. Diciamo che opportunità e staticità sono presenti in parti uguali, sta a noi l’abilità nel compiere, di volta in volta, la scelta migliore.

La tua carriera come artista indipendente è iniziata da pochissimo e probabilmente, nel giro di un po’ di tempo, la tua risposta cambierà. Io però voglio chiedertelo lo stesso. Qual è la tua opera cui ti senti più legato?
Un’opera in particolare alla quale io mi senta più legato non esiste. Quando finisco una scultura la inscatolo immediatamente per poi non guardarla più. È un piccolo trucco che ho scoperto per meglio apprezzare i lavori finiti: quando rimangono troppo in vista, la mia mente inizia infatti immediatamente un’analisi puntuale di tutti gli aspetti che potevano essere migliorati e ben presto finisco per non apprezzare il risultato ottenuto… Per me, la vera magia sta nel processo di realizzazione della scultura, e non nella sua forma finale, poiché essa è sempre inferiore all’intuizione di partenza.

A cosa ti stai dedicando, a cosa ti dedicherai?
Come tutti i giorni dell’anno (o quasi) mi dedico a scolpire. E continuerò a farlo finché il corpo me lo consentirà.

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