Cardi Gallery a Milano inaugura la programmazione espositiva invernale con una mostra di sette grandi opere di Jannis Kounellis (1936-2017), pittore e scultore, Maestro dell’Arte Povera, figura centrale dell’arte contemporanea, faro per le nuove generazioni di artisti, che nell’uso dei materiali di scarto al posto dei colori, dai cavalli vivi ai pappagalli e altri elementi naturali, trova l’essenza della sua ricerca estetica lontano dal concetto di rappresentazione e carica di significati, simboli e sempre nuove narrazioni del passato in relazione alla civiltà moderna.
Nell’esposizione milanese, a cura dell’Archivio Kounellis, sono in scena sette pannelli di ferro montati a parete del 1991/1992, dove l’artista di origine greca naturalizzato italiano ha incastonato pezzi di carbone di media grandezza disposti lungo linee orizzontali regolari, con l’idea di evocare un alfabeto essenziale. Queste opere rimandano per associazione ai suoi famosi Alfabeti degli anni sessanta, precedenti al passaggio delle installazioni e performance, caratterizzate da segni tipografici, scritte, segnali e insegne ridotte ai minimi termini, che in questa nuova versione ‘poverista’ sostituisce le lettere dipinte su tela con elementi in carbone su supporti di ferro, come archetipi di codici arcaici.
Al piano terra dell’elegante white cube milanese di Nicolò Cardi, i grandi rilievi murali di Kounellis dialogano con lo spazio e nell’alternanza di tra pareti bianche e materiali grezzi, inusuali spartiti musicali sembrano comporre una composizione mai scritta ne suonata pervasa di pulsante energia e di forte impatto pittorico da vedere e non da raccontare. L’enfasi monumentale di Kounellis tipica nelle opere degli anni novanta “dipinte” con elementi di carbone sempre con l’intento di superare l’uniformità tradizionalmente pittorica della sua prima produzione, in queste opere sembra contenuta dalla ricerca di una nuova estensione e consapevolezza spaziale.
L’artista, dal 1967, data della “margherita di fuoco”, in cui esplora il fenomeno della combustione ricorrente nelle sue opere per evidenziare il potenziale trasformativo e rigenerante, ingloba elementi naturali nelle sue opere a simboleggiare il rapporto mutevole tra l’umanità e l’ambiente naturale, come la terra, cactus, lana, cotone, sacchi di juta in omaggio all’amico Alberto Burri, fuoco e l’oro, e tra gli anni settanta e ottanta fumo, scaffali, carrelli, cumuli di fondi di caffè, carbone e altri materiali provenienti dall’industria navale e manifatturiera, calchi in gesso di statue classiche, pietre, cappotti, bicchieri e ingranaggi meccanici di varia provenienza.
Nel nuovo millennio Kounellis, abbandonato il linguaggio scritto e pittorico per una svolta più ambientale e performativa, trasforma il suo linguaggio in una esperienza corporea, anche teatrale in cui la musica diventa la protagonista per esplorare una dimensione sonora, evocata anche in questi grandi rilievi murali trasformati in ‘alchemici’ spartiti ancora da musicare.
In tutta la sua ricerca Kounellis medita sulla relazione tragica e personale con la cultura e la storia, in queste sette opere come le note, osservandole con attenzione si entra in una dimensione metafisica e straniante. Peccato che al primo piano della galleria, a causa di una pessima acustica di un video-documentario del 2006, proiettato su un grande schermo in un ambiente oscurato non si possa ascoltare l’intervista di Germano Celant a Kounellis che di sé diceva: “Tutto quello che faccio è pittura, anche se non tocco un pennello, racconto la mia verità di pittore”, presentata da Salvatore Settis. Cardi Gallery in occasione di questa mostra pubblicherà un volume sull’opera dell’artista e in particolare sulla sua vita a Milano, curato da Studio Celant con testi di Vincenzo De Bellis ed Elizabeth Magnini.