La mostra Viviamo nello splendore mette in luce gli aspetti principali del lavoro di Thu-Van Tran – la doppia cultura franco-vietnamita, la trasformazione sostenibile dei paesaggi e l’intreccio di vicende storiche e mitologie personali – attraverso opere esistenti e nuove produzioni. Al Museo di Arte contemporanea di Nizza fino all’1 ottobre 2023.
Una tumultuosa, strana bellezza, ma anche un sentimento di oscura tragedia nutrita dei conflitti della storia si intrecciano, palesi o sotterranei, nell’opera onirica ed enigmatica di Thu-Van Tran, artista franco-vietnamita oggi riconosciuta a livello internazionale. L’artista, nata a Saigon nel 1979 e trasferitasi in Francia ad appena due anni, è nota per aver partecipato alla Biennale di Venezia nel 2017, è stata nominata per il Premio Marcel Duchamp nel 2018, ha recentemente partecipato alla collettiva Avant l’Orage alla Bourse du Commerce di Parigi e ha appena completato un’importante commissione site-specific al Carnegie Museum of Art di Pittsburgh.
La mostra al Museo di Arte contemporanea di Nizza Nous vivons dans l’eclat (Viviamo nello splendore) (fino al 1° ottobre) riprende il titolo da una serie di opere di Thu-Van Tran, che ha isolato frasi tratte dal libro Cuore di tenebra di Joseph Conrad su delle superfici fotosensibili per poi lasciare che si deteriorino alla luce. Ispirata dal procedimento usato dagli archeologi per produrre i calchi delle vittime di Pompei, l’artista mette in luce un universo impregnato della sua doppia cultura franco-vietnamita attraverso un insieme di opere appositamente realizzate in situ e nel corso della sua carriera.
Curata da Hélène Guenin, direttrice del Museo di Arte moderna e contemporanea di Nizza, e prima grande personale dell’artista in Francia, attraverso pittura, scultura, installazioni, fotografia, film, la mostra affronta su 1000 mq di spazio espositivo questioni ecologiche e storiche divenute instabili e mutevoli. Un viaggio storico ed esistenziale diviso in tre atti, tra paesaggi allucinati, tragici, sogni evocanti esilio e lontananza, mito e racconto, assenza e potenza della scrittura. Un filo evolutivo che unisce il passato e il presente di un artista alla ricerca delle origini e della sua collocazione nel mondo.
Dall’alba al crepuscolo, dalle ferite del passato alla potenza guaritrice del sogno: il primo capitolo s’intitola A l’Aube, Semer, una memoria poetica attraversata da emozioni, incantamenti, malinconia che investe anche la storia del suo paese d’origine, il Vietnam. Al cuore delle sperimentazioni dell’artista le lacrime del legno che piange, l’albero dell’evea da cui si estrae il caucciù. Importato dal Brasile e sfruttato in maniera intensiva, ha soppiantato gli alberi autoctoni trasformando il paesaggio e diventando l’incarnazione stessa di un processo di acclimatazione, ma anche di metamorfosi, simbolo dell’estrazione a oltranza delle risorse naturali.
L’esposizione si apre così con dei fogli di pellicola fotosensibile esposti alla luce che hanno fissato l’ombra chiara delle foglie di evea raccolte dall’artista in Vietnam e in Amazzonia. L’opera Au couchant, au levant fa riferimento allo sfruttamento di una risorsa naturale, della manodopera locale e ai sollevamenti di quest’ultima che si sono verificati nelle piantagioni. I lunghi tronchi, la traccia evanescente delle foglie, i gesti della raccolta dialogano con i suggestivi affreschi astratti alle pareti che evocano paesaggi lirici e in maniera allegorica, la guerra del Vietnam. Significativa la serie Les couleurs du gris che l’artista sviluppa dal 2012, con l’applicazione di sei colori in ordine e con un grado di opacità differente in modo da ottenere il grigio. Le opere Penetrable, Rainbow herbicides e From green to orange si riferiscono ai colori delle differenti diossine lanciate dall’esercito statunitense come strumento di morte. Il tempo di un lancio e milioni di alberi centenari e chilometri di raccolti furono polverizzati.
Secondo capitolo A mezzogiorno, esporsi e bruciare. Un paesaggio frammentato, quasi fosse stato sovraesposto e sottoposto a un sole bruciante si dispiega davanti a noi. Livide immagini di giardini occidentali, il rosso intenso di una foresta incendiata. Attraverso questo insieme di opere l’artista ritorna sui legami tra l’Occidente e il Paese d’origine. Ricordiamo che fino al 1954 la Francia occupava l’Indocina diventata in seguito Vietnam, Laos e Cambogia. Legami transnazionali asimmetrici, un’eredità di distruzione e di sangue e il ricordo della guerra condotta dall’armata americana tra il 1962 e il 1971: Thu- Van Tran abborda la complessità e le ambiguità del passato, glorioso residuo abbandonato all’oblio, ricorrendo al sogno e attraverso opere prodotte con pigmenti e con il caucciù fuoriuscito da una ferita aperta, un’incisione sul tronco dell’evea per guarire le sue cicatrici. Sui teloni da cantiere recuperati in Vietnam l’intensità di Blu Saigon.
Terzo capitolo Al crepuscolo: dimenticare, spostarsi e raccontare. Thu-Van Tran ci invita qui ad oltrepassare la soglia di una grande tenda di caucciù, una specie di diaframma vegetale e di grande pittura organica per farci entrare in un mondo crepuscolare, intessuto di sogni, di lutto, di malinconica consolazione. Un mondo attraversato da parole e da miti nutriti del ricordo di antiche tradizioni arricchite dall’immaginario dell’artista. L’opera Le genie du ciel, un paesaggio di foglie ed ali di uccello pietrificati, composta da 117 porcellane di Sèvres si ispira a un’antica leggenda dove gli uccelli consolavano le persone che avevano perduto un loro caro. Reminiscenze e incanti, memorie dolorose, consolazione e mots lumieres, ma anche tentativo di ricostruire legami soggettivi con un altrove intimo ed estraneo nel contempo, con quel mitico Paese d’origine, abbandonato, assieme alla famiglia , quando aveva appena due anni.