Il venticinquesimo anniversario della Estorick Collection of Modern Italian Art di Londra si conclude – dopo le precedenti due mostre dedicate a Giorgio Morandi e Osvaldo Licini – con Lisetta Carmi: Identities. In mostra fino al 17 dicembre 2023, l’arte fotografica di Lisetta Carmi emerge come mezzo per la comprensione di vite alternative alla società tradizionalista e borghese nell’Italia degli anni ’60 e ‘70.
Un anno dopo dalla sua scomparsa, Lisetta Carmi torna nuovamente sul palcoscenico internazionale: Lisetta Carmi: Identities alla Estorick Collection è la prima mostra nel Regno Unito dedicata alla rivoluzionaria fotografa, la cui missione era “capire la vita”. La mostra svela l’intento di Carmi di dar voce ad alcuni degli invisibili della società italiana, ossia la classe lavoratrice e la comunità trans. “Motivata da uno spirito profondamente umanistico“, Carmi esplorò, attraverso la sua arte, questioni di identità, inclusione ed esclusione sociale, sfidando il conformismo e il ben pensare di allora.
Giunti all’ingresso della Estorick Collection, nel cuore del quartiere di Islington, è un immagine in bianco e nero ad accoglierci, un’anticipazione di ciò che ci attende nelle due gallerie situate al livello principale dell’edificio in stile georgiano. È una fotografia carica d’intimità e delicatezza; si tratta di uno degli scatti che costituiscono la serie de I travestiti, dedicata alla comunità trans della città natale di Carmi, ossia Genova.
Sin dal Capodanno del 1965, Carmi instaurò un legame profondo con questa comunità. Sebbene non ne facesse parte, fu accolta e ne divenne un’assidua osservatrice, incarnando il ruolo di testimone e confidente di una realtà emarginata, alienata e respinta, dando i suoi membri la possibilità di raccontarsi divenendo soggetti in primo piano nelle sue fotografie. Gli scatti di Carmi, vere e proprie poesie visive, si rivelano dunque come ritratti dell’anima, creando un’evocazione senza tempo, un invito alla società contemporanea ad aspirare a un mondo intriso di armonia e umanità.
Lisetta Carmi è stata acclamata dalla critica Giovanna Calvenzi come “la donna dalle cinque vite“, espressione che incarna il percorso di vita ricco di sorprendenti cambiamenti della fotografa genovese. Nata nel 1924 da una famiglia borghese di origini ebree, Carmi si rifugiò in Svizzera per sfuggire alle persecuzioni di natura razziale. Si costruì una virtuosa carriera come concertista, le cui note risuonarono in Italia, Germania, Svizzera e Israele. In seguito, abbracciò l’arte fotografica. Successivamente, come seguace del maestro indiano Babaji, creò un rifugio spirituale in Puglia, precisamente a Cisternino, per poi immergersi nell’arte della calligrafia cinese.
Al nostro ingresso nella Galleria 1, l’approccio antropologico di Carmi si svela attraverso le suggestive immagini dei Manual workers, immortalati nei loro momenti di fatica quotidiana. Molti di loro sembrano estraniarsi dalla fotocamera: le menti e gli occhi si perdono nei pensieri delle dure giornate di lavoro, nelle profondità delle preoccupazioni quotidiane. Nei ritratti delle donne che operano nelle fabbrica di Calangianus, in Sardegna, l’animo femminista della fotografa emerge: Carmi eleva la loro immagine che diventa un racconto visivo di resilienza, un racconto che celebra la determinazione e la forza delle prime donne ad essere impiegate nella fabbrica di sughero. Affascinata dai racconti di Maria Giacobbe, Carmi intraprese un viaggio alla scoperta della Sardegna, catturando le immagini di un’isola austera, e trovando ispirazione in una società remota avvolta nella melanconia dell’indigenza. Queste immagini svelano l’approccio intersezionale della fotografia di Carmi, permeata da una preoccupazione per la classe lavoratrice, per le donne e altre minoranze, invitandoci a riflettere su una realtà apparentemente remota, una realtà al di fuori della penisola, ma pur sempre italiana.
Nella Galleria 2, tra immagini in bianco e nero e a colori e un fascino vintage anni ‘60, ci immergiamo nella comunità dei travestiti di Genova. Sono circa 30 le immagini in esposizione che provengono dal libro fotografico scandalosamente celebre di Carmi, intitolato I Travestiti e pubblicato del 1972: alcuni scatti a colori sono stati invece recentemente riscoperti nella dimora pugliese di Carmi, dove la fotografa si ritirò per immergersi nella meditazione. Esplorando identità non ascrivibili al concetto di eteronormatività, Carmi mise in luce ciò che spesso rimane nell’ombra: ciò che è ‘offensivo’ e ‘scandaloso’, ciò che è ‘unwanted’.
I soggetti di questi scatti sembrano incredibilmente vicini e familiari: molti dei loro sguardi sono fissi su Carmi, che diventa un tramite tra gli osservatori e gli osservati, rivelando un legame profondo di amicizia e fiducia tra i travestiti e Carmi stessa. Indubbiamente, è stato un atto di coraggio quello di consentire a un’estranea alla loro comunità di raccontare quest’ultima attraverso l’eterna natura della fotografia. Ma Carmi emerge come il testimone e confidente ideale per mostrare i travestiti e le sfaccettature della loro identità e sessualità. Gilda, Cabiria, Audrey e tante altre: i travestiti sono identificati per nome, scelta che preserva la loro individualità e che il loro vissuto che si mostra così vicino, così concreto, e in un qual modo contemporaneo agli occhi dei visitatori. Carmi offre una chiave di lettura che va oltre il semplice far conoscere la realtà dei travestiti, ma ambisce a investigare e comprendere il comportamento umano e le imposizioni di una società autoritaria e perbenista. Relativamente al suo lavoro con questa comunità, Carmi affermò:
Osservare i travestiti mi ha fatto capire che tutto quello che è maschile può essere anche femminile, e viceversa. Non esistono comportamenti obbligati, se non in una tradizione autoritaria che ci viene imposta dall’infanzia.
Lisetta Carmi: Identities trascende il semplice esporre arte da sempre rilegata alle zone di confine, alle ‘borderlands’ descritte dalla sociologa e scrittrice di teoria femminista e queer Gloria Anzaldua, ma ridefinisce e sfida le tradizionali classificazioni di ciò che l’arte italiana costituisce e dovrebbe costituire. La mostra riesce a far emergere una realtà autentica e complessa, tutta italiana, che merita non solo di essere celebrata per il suo valore estetico, ma compresa e acclamata per il suo significato culturale nel contesto sociale italiano passato quanto quello presente.