Non è sempre facile per un artista non italiano interpretare il nostro Paese, dove il peso visivo di un patrimonio culturale – unico al mondo per vastità e diffusione – può essere difficile, se non impossibile, da ignorare
Nel 2010 curai la mostra “Viaggio in Italia” a palazzo Fabroni di Pistoia, che riuniva le opere di 32 artisti internazionali dedicate alla penisola, e mi resi conto di quanto l’iconografia del paesaggio italiano costituisse un forte deterrente alla realizzazione di opere non banali e scontate, affidate alla sensibilità di grandi artisti, gli unici in grado di superare l’ovvietà attraverso operazioni concettuali di grande profondità e spessore.
Le mostre di Anri Sala e Catherine Opie, da Alfonso Artiaco e Thomas Dane
È il caso dell’albanese Anri Sala, protagonista di una mostra alla galleria Alfonso Artiaco, tutta giocata sul tema dell’affresco: tecnica alla quale l’artista si è avvicinato nel 2022 in occasione del progetto Pompeii Commitment. Materie Archeologiche – Digital Fellowship, per il quale Sala ha realizzato Body Double, un vinile legato alle scoperte archeologiche passate e recenti negli scavi di Pompei. In una sala della galleria napoletana sono esposte le opere della serie Legenda Aurea Inversa, che consistono in frammenti di affreschi, ispirati dalle Storie della Vera Croce, il ciclo di affreschi eseguiti da Piero della Francesca nella cappella Bacci della chiesa di San Francesco ad Arezzo e basati su fatti narrati da Jacopo da Varazze nella sua Legenda Aurea. L’artista si concentra su alcuni particolati di volti, modificati attraverso un procedimento fotografico digitale che ne altera linee e colori, trasferito sulla superficie del marmo attraverso un processo analogico. Il risultato è sorprendente: il positivo diventa negativo, le zone scure diventano luminose, e l’opera assume toni lividi e metallici. Un innesto di contemporaneità in un tessuto iconografico rinascimentale, trasformato da Sala in un’opera metatemporale senza perdere la sua forza narrativa.
Sempre a Napoli, alla galleria Thomas Dane, l’artista americana Catherine Opie presenta “Walls, Windows and Blood”, una serie di opere fotografiche realizzate nel corso di una residenza presso l’American Academy a Roma nell’estate del 2021, in piena pandemia. Il tema della residenza era L’idea di Città, e Catherine si è concentrata sull’interpretazione di una “città dentro la città” – il Vaticano – scegliendo tre chiavi di lettura per la sua esplorazione. La prima riguarda la serie Walls, dedicata agli angoli delle mura Vaticane: scatti verticali in bianco e nero appoggiati su apposite basi in marmo rosa, disegnate da Katy Barkan, borsista dell’American Academy e realizzate da artigiani napoletani. Ai Walls segue la seconda serie di immagini, intitolate Windows: ritratti fotografici di finestre affacciate sull’esterno, semplici o protette da tende, come soglie tra mondi resi silenti dall’epidemia. Nell’opera No Apology (5 giugno 2021) vediamo papa Francesco affacciarsi dalla finestra dei palazzi Vaticani, per riconoscere la questione drammatica dei corpi dei bimbi indigeni ritrovati in tombe anonime in Canada, mentre erano sotto la custodia di collegi gesuiti finanziati dallo stato canadese. L’ultima serie di immagini, e anche la più forte ed originale, si intitola Blood grids e riunisce i dettagli di opere d’arte presenti nelle collezioni dei Musei Vaticani, caratterizzati dalla presenza di sangue, in una campionatura che lega i fondi oro medievali con gli arazzi seicenteschi. Un sottile filo rosso che unisce immagini devozionali o belliche, quasi a voler sottolineare la presenza di una violenza legata alla religione cattolica nel corso della sua storia secolare.