Domenico Russo esplora la contemporanea stagione pittorica italiana, trovando nel ritorno alla figurazione una possibile chiave di lettura. Nel libro L’Altra Individualità. La pittura figurativa in Italia oggi, da poco uscito per Silvana Editoriale, seleziona una serie di artisti che conosce, frequenta e su cui da tempo ha posto la sua attenzione critica e curatoriale.
- Inizierei dal titolo del libro. Perché L’Altra Individualità?
L’Altra Individualità è un discorso sul filo del paradosso. Una linea che evidenzia il volto dell’attuale. Gli artisti, vivendo a pieno la dimensione liquida del nostro tempo, non possono esimersi dal contesto in cui si muovono,estraniandosene. Come chiunque di noi, del resto. Allo stesso tempo, però, riportando sulla tela la propria soggettività, attraverso il gesto tradizionale del dipingerepongono una distanza simbolica all’individualismo sociale della nostra epoca. Si verifica allora un distacco critico dalla realtà, che rende l’individualità altra, perché la natura pittorica che maneggiano è in grado di farsi agglomerato di narrazioni che sprofondano nell’esistenza; attriti di una forma nuova, diversa ed eccezionale, rispetto a un reale che ci vuole tutti in un determinato modo. Aggiungo anche che il termine altra rimanda al concetto di “Altro da sé”, di origine lacaniana, inteso come luogo di dispiegamento della parola dove avviene il processo di soggettivazione.Luogo, che in questo caso, può essere identificato nel quadro. Potremmo pertanto affermare che l’Altra Individualità vuole impedire che la società materialista svuoti l’arte di valore.
- Negli ultimi anni, dopo un lungo periodo di stagnazione sia da un punto di vista critico che di mercato, c’è stata una forte ripresa e una rinnovata attenzione al linguaggio pittorico. Quali possono essere le cause?
La pittura non è mai sparita, ma a fasi alterne ha avuto su di sé molte o poche attenzioni. A mio avviso, al suo recente copioso riaffermarsi ha contribuito l’esigenza di un rapporto più diretto e intenso con l’immagine. Un rapporto che comporta il riconoscersi in quello che si guarda e che reagisce al vuoto delle immagini che ci circondano, facendosi specchio della realtà senza sgranarsi in un’eco lontana di un’immagine di un’immagine. La pittura è sempre stata, fin dal principio, parola dell’uomo sulla pelle del mondo.
- Credi che in Italia si possa parlare di “comunità”, oppure le esperienze dei singoli artisti vengono vissute in una dimensione più individualista? Quindi movimento, o fenomeno riconosciuto ma comunque nebuloso?
Credo si possa parlare di “corrente”. Questi artisti si conoscono, si frequentano, o hanno vissuto insieme spazi creativi e percorsi. Silvia Argiolas e Giuliano Sale hanno condiviso uno studio e una vita privata, perché sono stati una coppia per tanti anni. Michele Bubacco, Davide Serpetti, Rudy Cremonini scambiano idee e progetti, poi Cremonini con Argiolas e Maurizio Bongiovanni, poi Giacomo Modolo, Barbara De Vivi, Alice Faloretti; e ancora Nicola Caredda, Irene Balia, Dario Maglionico, Andrea Fiorino.Non sono solamente l’amicizia e l’arte a unirli, ma il fatto che informazioni di massa e cultura trovano affinità in essi. Thomas Berra, Agnese Guido e Matteo Nuti, per citarne altri, si incrociano nelle residenze della Scuola di Santa Rosa.
Voglio inoltre sottolineare che l’Altra Individualità è anche un linguaggio, un modo di esprimersi, un’attitudine che rivela i segni di un tempo. Ciò ci obbliga a ritenere la mia non una lista, ma una mappa per una strategia di visione e rinnovamento nella quale si possono aggiungere altri artisti, italiani e stranieri. Ma non è questo il dato fondamentale; lo è il fatto che tutti si sono dimostrati risoluti, poiché non hanno avuto nessun timore nel ridare spazio alla figura in un momento in cui nelle fiere di arte contemporanea non si vedevano quadri di giovani artisti con figure. Adesso, fortunatamente, è tutto diverso, ma quello che premeva loro era dar voce alle proprie sensazioni e visioni del mondo. Un aspetto interessante è che la relazione che hanno istituito col mondo, per il tramite del linguaggio pittorico figurativo– relazione che oggi è irrigidita e virtualizzata–, diviene nelle loro opere più nitida e sincera, poggiata su una rete comune di intenti e stili in grado di far emergere uno spazio modellato psicologicamente da pulsioni e fantasie.
- Gli artisti da te selezionati che rapporto hanno con la tradizione pittorica, soprattutto del Novecento?
È sicuramente un rapporto ben connaturato, solido. Non di rottura, né di rifiuto. Il confronto col passato c’è e senza compiacersi di se stesso diventa uno strumento, quasi un elemento tecnico, che gli altristi adoperano non per imitare, ma per estrapolare dal presente nuovi modi di rappresentare il reale.
- E proseguendo il discorso, in cosa si differenziano dal passato? Perché sono contemporanei?
Contrariamente al revival pittorico degli anni Settanta e Ottanta, il passato è stato totalmente interiorizzato. Il confronto con la storia non appare condizionato dalla reverenza, tantomeno da un complesso di inferiorità. È privo di una volontà evidente di recupero. Non vi è manierismo e la citazione, laddove la si incontri, è solo un aspetto della struttura del quadro. Sono decisamente più liberi, se così si può dire, rispetto ad alcune generazioni precedenti che sentivano maggiormente il dovere del confronto con le avanguardie e tutto il peso contraddittorio del Novecento. Già questo aspetto sarebbe sufficiente a renderli contemporanei, perfettamente adagiati in questo secolo.