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Giovani autori per un grande maestro: a Como l’arte contemporanea racconta Plinio il Vecchio

Diana Policarpo Bodies we care for (2020), The Oracle (video, 2020). Credits_ T-space studio
Villa Olmo, Como Courtesy T-Space Studio
Un gruppo di artisti contemporanei interpretano visivamente l’attività di ricerca di Plinio il Vecchio, di cui ricorre il bimillenario della nascita. Ciò che ne emerge è una mostra dal respiro enciclopedico, colta e divertente al tempo stesso. A Villa Olmo di Como dal 15 ottobre 2023 al 7 gennaio 2024.

Il sapere enciclopedico e l’arte contemporanea condividono almeno un aspetto: entrambi si avvalgono di strumenti diversissimi per indagare il reale nelle sue trame più profonde. Se si possiede l’ambizione di raccontare il mondo nella sua interezza, come si propone il metodo enciclopedico, nessun aspetto può esser escluso dalla ricerca. Allo stesso modo l’arte contemporanea, nella sua lettura più concettuale possibile, cerca di affrontare la realtà nel modo più eterogeneo possibile, attingendo da qualsiasi fonte e utilizzando ogni mezzo possibile per esaltarne un particolare aspetto.

Non è un caso, dunque, che Fondazione Come Arte si sia rivolta a diversi artisti contemporanei per raccontare Plino il Vecchio, di cui ricorre il bimillenario della nascita. Il gruppo di autori, raccolto nell’esposizione COSMOS. The Volcano Lover, è in mostra con una serie di opere che attraverso un linguaggio moderno si ricollegano al lavoro di Plinio, anche grazie al dialogo con reperti archeologici risalenti all’età romana antica provenienti da diversi musei italiani.

Pauline Julier, Naturales Historiae. Courtesy the artist

Nato a Como duemila anni fa (nel 23 o forse 24 d.C.), vissuto ai tempi di Nerone, Vespasiano e Tito, procuratore e poi ammiraglio imperiale, Plinio il Vecchio non fu uno scienziato né solo uno scrittore, ma un uomo d’azione con una sterminata curiosità e un’autentica fascinazione per tutti i fenomeni e le espressioni della Natura. La sua Naturalis Historia, unica, ma colossale opera giunta fino a noi, è la summa di tutte le conoscenze possibili ai tempi in cui visse, un compendio proto-enciclopedico del sapere. Plinio imparò e scrisse su tutto: dai fulmini alla storia della pittura, dagli alberi silvestri alla storia delle guerre in Germania, dall’ambra gialla all’elenco delle opere “mirabili” costruite con la pietra.

Allo stesso modo l’arte contemporanea ne indaga la figura e la ricerca attraverso medium e soluzioni disparate, riflettendo l’apparente frammentazione dei saperi e lo sforzo che richiede il tentativo di riconnetterli. Tra le opere in mostra spiccano quelle di Jimmie Durham, presente con Smashing (Destrozando) del 2004, opera di videoarte in cui vediamo l’artista vestito da burocrate intento a spaccare oggetti per mezzo di pietre, rappresentanti di una geologia che in questo caso non studia il rapporto tra mondo organico e inorganico, ma si fa forza distruttrice.

Mirella Bentivoglio espone due opere che rimandano all’idea dell’uovo cosmico, all’inizio e al principio. Nelle sue Tavole del sapere l’artista evoca la complementarietà-opposizione tra universo maschile e femminile, con il primo rappresentato da un libro (realizzatto con i cassetti in legno usati da tipografi) e il secondo da un uovo (ricavato dallo strumento utilizzato per rammentare le calze dalle sarte di un tempo). Come fa Mike Kelley con Cosmic Egg – Brown Baby fa un’operazione simile, utilizzando il feltro per allestire un’opera che è anche un esercizio concettuale e mistico, cerebrale e pratico al tempo stesso.

Diana Policarpo, Bodies we care for (2020), The Oracle (video, 2020). Credits_ T-space studio

L’arte tessile è fondante anche delle opere di Aldo Mondino, Chioma Ebimana, Maria-Tereza Alves, Rossella Biscotti, che a più livelli indagano il mondo naturale, approfondendo temi come la quota verde nei contesti urbani, il potere dell’uomo sull’acqua, la cattura della natura in ambito coloniale, la trasformazione dei sistemi di coltivazione e le tante mitologie cosmiche che affollano le tradizioni di ogni angolo del mondo. E ancora, i tre arazzi di Rose Marie Eggmann, nati da un dato naturale (una pianta, un animale) e traslati in figure liriche, quasi astratte, caratterizzate dall’intensità e lucentezza dei colori.

Petrit Halilaj è in mostra con una scultura della sua serie Poisoned by men in need of some love, dove ridà vita ad animali tassodermizzati – in questo caso un uccello – in un’operazione che antropicamente contribuisce alla realizzazione dei cicli naturali. Si ispira direttamente al mondo della botanica Diana Policarpo. Come Plinio studiò il mondo delle piante al fine di trarne vantaggi in termini medico-curativi, allo stesso modo l’artista, attraverso un lavoro critico fondato sul femminismo intersezionale, si chiede come superare la tossicità che caratterizza la vita umana e non umana. Per l’occasione ha declinato la sua ricerca in una installazione site specific che comprenderà una proiezione video e l’allestimento di tessuti fluttuanti.

Impattante, come impattante è I hear a shadow di Nico Vascellari, una monumentale scultura in bronzo forgiata a partire dal calco di un macigno di marmo estratto da una montagna. Un monolite tanto solido da apparire indistruttibile, simbolo dell’irriducibile forza che la natura oppone al suo carattere transitorio, oltre che della lunghissima relazione che unisce il mondo a tutti i suoi aspetti. Aspetti che per perdurare hanno però necessità di essere trasmessi. Sui vari metodi di comunicazione riflette Alice Visentin, che per il teatrino di Villa Olmo allestisce un lavoro site-specific dove confluiscono mitologie, ecologie artistiche e pensiero sibillino.

Nico Vascellari, I hear a Shadow (2009). Credits_ T-space studio
Pauline Julier, Naturales Historiae (2019). Credits_ T-space studio

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