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Baroccamente contemporaneo. Lorenzo Puglisi incontra Giulio Cesare Procaccini

Puglisi per Genova – installation view
Un po’ ristorante, un po’ galleria d’arte e un po’ le due cose messe assieme, questo è Etra. Che porta l’opera di Puglisi nella Basilica della Santissima Annunziata del Vastato di Genova. Già “casa” di un certo Procaccini.

Etra, realtà genovese in cui esperienze d’alta cucina incontrano quelle della galleria d’arte (attivate la modalità “palindromo” sul suo nome e tutto vi sarà più chiaro), è la nuova creatura di Iacopo Briano e Alessandro Ferrada. Alias fondatori di BF Gallery, rispettivamente un esperto di paleontologia e un imprenditore nel settore socioculturale e artistico. Un duo con una vagonata d’idee per la testa. Tra cui questa: portare due opere di Lorenzo Puglisi (Biella, 1971) nella Basilica della Santissima Annunziata del Vastato a Genova. “Puglisi per Genova” (fino al 18 dicembre 2023) è un progetto che, scopriamo da Briano, dall’idealizzazione alla realizzazione non ha impiegato molto tempo (il sistema temporale di riferimento è puramente italico, lo diciamo più che altro per gli amici all’estero, che probabilmente avranno un “non ha impiegato molto tempo” non in linea col nostro): ad agosto il duo si scambiava messaggi con l’assessore Paola Bordilli, a novembre eccoci qui. A raccontare ai nostri lettori un progetto installativo, curato da Willy Montini, pulito pulito: all’ingresso, la Crocifissione di Puglisi dialoga prospetticamente con quella – in cartapesta, non legno – sull’altare. All’uscita, o se preferite sul verso, il Grande sacrificio fa lo stesso con la grande Ultima Cena in controfacciata, pezzo primo seicentesco (1618) di Giulio Cesare Procaccini. Ora che avete tutti i dati di riferimento, passiamo a quello che ci piace di più: criticare. Nel senso nobile di “fare critica”, of course.

Diciamo subito che un certo pragmatismo paga. Soprattutto quando si ha a che fare con un contesto baroccheggante come quello della Basilica in questione. Basilica che, a sua volta, già deve dialogare col presente storico della Seconda Guerra Mondiale, di cui resta traccia nel restauro della volta della navata sinistra: memento di un Novecento che rischia di scivolare via con le generazioni, ma in cui almeno si sapeva fare un restauro in accezione moderna. Restando sul pragmatismo, questo si riferisce sia alla sobrietà poco invasiva dell’allestimento; sia a una pittura come quella di Puglisi, sviluppata per sottrazione dal nero più cupo. Eravamo quasi tentati di ascrivere Puglisi nel (nutrito) novero dei CC: non l’Arma dei Carabinieri, ma i “caravaggisti contemporanei”. E invece no, perché il nostro si serve del nero non per far uscire una scena, bensì per sintetizzarla. Non per far comparire dettagli di un soggetto complessivo, quanto per togliere tutto ciò che di quel soggetto è già troppo.

Crocifissione, 2022, oil on aluminum panel, 185x138cm

Nella sua versione dell’Ultima Cena, infatti, Giulio Cesare Procaccini inserisce dettagli basandosi su un uso mirato – caravaggesco – delle luci (parentesi: quello che altrettanto mirato non è nella Basilica, perché illuminare a giorno l’architettura per apprezzarne ogni voluttuosità barocca è ottimo, farlo contro-sparando luci iso-D’Urso sul Procaccini un po’ meno). Puglisi (che compositivamente parlando non ha in testa il cenacolo di Procaccini, ma la più “mainstream” versione di Leonardo, il dito al cielo di San Tommaso non mente), da par suo quei dettagli li epura apertamente, riducendo la lettura dell’immagine ai suoi connotati salienti. Quindi solo teste e solo mani, trattate con una pennellata veloce, di per sé già piuttosto sintetica. Volta a costituire un definito volume fisico-spaziale optando per una comunicazione rapida, in linea coi tempi in cui viviamo. In questo senso, la pittura di Puglisi è apologetica del presente, di un’epoca che non ha secondi da regalare ad una ricezione circostanziata dei fatti, pur se necessari alla produzione di ragionamenti esaustivi. Di fronte alla pittura di Puglisi siamo fondamentalmente tutti miopi: da lontano possiamo distinguere bene il bianco della pennellata sul nero, ma non i tocchi d’oro e rosso che completano una trasmissione ben più articolata. Tocchi che esistono solo in base alla singola disponibilità di tempo e voglia di osservarli da vicino.

Al di là della divisione “mi piace/non mi piace” con cui l’umanità è solita banalizzare tutto ciò che la circonda, dichiariamo l’operazione Puglisi per Genova riuscita. Per un motivo specifico: ci ha fatto riflettere su come ogni immagine dipinta assolva il ruolo potenziale di un’insegna, in grado di catturare lo sguardo e veicolare un messaggio universalmente comprensibile. In un mondo che Puglisi definisce «Rumoroso». E ci ha fatto venire in mente nomi del calibro di Franco Grignani o Bob Noorda, due sempre troppo poco “artisti” nel contesto contemporaneo, ripensando alla loro incidenza su una pittura che è intrinsecamente strumento di comunicazione. E, in quanto tale, deve saper badare al sodo. Curando i dettagli.

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