Presentato al Taipei Fine Arts Museum il Padiglione Taiwan alla Biennale di Venezia del 2024. Curato da Abby Chen, il progetto è stato sviluppato da Yuan Goang-Ming, uno degli artisti taiwanesi più importanti nello sviluppo di nuovi linguaggi espressivi. Incentrato su video, installazioni e fotografie, Everyday War è una struggente e amara considerazione sulla difficile condizione di Taiwan
Taipei. La Repubblica di Cina (o Taiwan) ha scelto il suggestivo e articolato spazio di Palazzo delle Prigioni per sviluppare il progetto che segna la sua prossima partecipazione alla Biennale Internazionale d’Arte.
Everyday War è un progetto affonda le radici nella memoria familiare dell’artista, il cui padre appena diciottenne fu costretto nel 1949 a lasciare la Cina della dittatura comunista e a rifugiarsi sull’isola di Taiwan, dove appuntò si ritirò tutta la compagine nazionalista, uscita sconfitta dalla guerra civile. Pur senza mai affrontare direttamente l’argomento, fonte per il padre di evidente sofferenza, l’artista ne intuì la portata quando assisteva con lui alle rappresentazioni teatrali dell’opera tradizionale cinese, e più di una volta lo ha visto in lacrime, così come tanti suoi compagni di esilio che seguivano anch’essi lo spettacolo. Parlando anche con i coetanei del padre, che avevano vissuto quei difficili giorni, l’artista è riuscito a farsi un’idea del senso di diaspora provato dal padre, della nuova idea di patria e di “casa” che si era andata formando negli anni nel suo animo; dopo 60 anni trascorsi sull’isola – essendo potuto tornare in Cina solo nel 1987 per scoprire che molti dei suoi parenti rimasti erano purtroppo ormai scomparsi – questa ormai era diventata la sua patria, perché qui aveva trovato quella stabilità che in Cina aveva perduta.
Ecco perché, ispirandosi alle vicende interne e del Paese, Yuan Goang-Ming ha significativamente intitolato il progetto Everyday War, a simboleggiare una condizione di continua resistenza, materiale e morale, verso una situazione di continua, latente minaccia percepibile sullo sfondo di un’esistenza apparentemente normale; emblematico il video eponimo, dove un tranquillo e accogliente ambiente domestico, improvvisamente è sconvolto da un’esplosione. Un video concettuale, ma profondo: la casa, il luogo dove ogni individuo ha il diritto di sentirsi sicuro, di racchiudervi l’intimità della propria esistenza, il luogo degli affetti e della memoria, quella casa che il padre dell’artista pensava di aver trovato a Taiwan dopo la fuga dalla Cina, in realtà è sempre stata minacciata dal rischio più o meno marcato a seconda delle stagioni politiche, dell’invasione militare cinese. Un rischio con cui si convive, sapendo di non dover farsi cogliere impreparati; per questo, annualmente, si tiene un’esercitazione sui comportamenti da tenere in caso di allarme aereo: il video Everyday Maneuver utilizza le riprese di un drone delle strade di Taipei vuote, nel momento del simulato allarme. Uno scenario irreale e angosciante, ma che potrebbe anche verificarsi realmente. Nei video si nota la mancanza della presenza umana, eppure la s’intuisce sullo sfondo, a rimarcare l’idea di un intero popolo che resiste unito.
Ma la resistenza cui l’isola di Taiwan è da sempre abituata, tocca anche la vita politica interna: all’occupazione del Parlamento nel marzo 2014 da parte degli studenti è ispirato The 561st Hour of Occupation, girato in quel luogo e in quelle ore. Gli studenti protestavano contro l’approvazione dei trattati commerciali con la Cina, e l’intesa sull’assistenza sanitaria per gli studenti in trasferta dei due Paesi; passi giudicati di eccessiva apertura verso Pechino, che portarono appunto alle proteste. Un episodio che, soprattutto per gli occidentali che generalmente poco conoscono la situazione di quest’angolo di Asia orientale, è significativo per capirne almeno un po’ le contraddizioni.
In quanto artista, Yuan Goang-Ming non offre un giudizio politico, ma “si limita” a portare all’attenzione del mondo (e la Biennale di Venezia sarà appunto la vetrina ideale), il clima paradossale che si vive a Taiwan, fra tensioni e minacce latenti, che poco a poco, dal 1949, sono diventati la normalità. In senso più generale, però, la riflessione di Goang-Ming si spinge fino al paradosso per cui, anche uno stato di profonda sofferenza materiale, o anche soltanto interiore, se prolungato nel tempo può diventare una normalità accettata anche in situazioni ben più tragiche e drammatiche: il pensiero non può quindi non correre alla Palestina, all’Ucraina, e ai tanti Paesi africani dilaniati da guerre interne.