Si è spento a Genova lo scorso 2 dicembre il fotoreporter Ivo Saglietti, tre volte vincitore del World Press Photo. Aveva 75 anni
La morte di Ivo è giunta improvvisa. Era malato da tempo ma non voleva farlo sapere troppo in giro. Era un uomo riservato, molto discreto, piuttosto chiuso e schivo per le questioni della sua vita privata, tipico della tradizione piemontese, etico e disciplinato quasi militarmente, detestava le smancerie. Si è spento accerchiato da amici molto vicini, raccontano, nel suo modo di essere, in maniera del tutto sereno e tranquillo.
Era un omone alto, a volte l’altezza lo rendeva goffo e po’ impacciato nei movimenti. Aveva occhi luminosi, vivissimi, sigaretta sempre accesa, beveva con piacere. Sorrideva in maniera disponibile.
Ivo era un tipo solitario, stava bene da solo, simpaticamente autoritario, persona di grande cultura e profondità di spirito. A volte ti sorprendeva per gli accostamenti letterari mai banali, aveva grandi capacità di sedurre e appassionare, raccontava con pacato entusiasmo. Si sposò in Cile, in un matrimonio ideologico ma non ebbe mai una vera compagna accanto.
La sua è una fotografia impegnata, seria e documentativa, di indagine e approfondimento, poco incline al clientelarismo e al compiacimento. Ivo era fotoreporter di prima generazione, umanità non edulcorata, rispetto delle persone, si impegnava in prima persona e cercava di intrappolare nello scatto il significato di un fatto, cercava di raccontare gli eventi filtrati dal suo obiettivo.
Metteva sempre in primo piano il fattore umano, parteggiava per il lato più debole e fragile delle persone, se ne impossessava fino a diventarne lui stesso quella parte. La sua era un’ossessione permanente a seguire gli eventi, la sua unica modalità di impiego, la sua missione, era essere testimone oculare per poter raccontare al giudizio del tempo le tragedie subite dall’uomo, spesso provocate dalla miseria e dall’avida stupidità umana.
Ivo è il testimone spontaneo, chiamatosi a raccontare le emergenze, i bisogni, scanditi con chiara fermezza, scatto dopo scatto, uno dopo l’altro, attraverso il racconto mai privo di un contenuto necessario alla comprensione. Il suo lavoro segue il filone umano, sociale, politico.
La sua era un’attitudine a perlustrare l’altra parte del mondo, quella a noi più lontana, quella che non appartiene alla nostra cultura abituale, al nostro linguaggio quotidiano, se non per le notizie giunte da lontano dalla cronaca. Se c’era una rivoluzione, una carestia, un fermento politico, lui, Ivo, c’era. Volava subito come chiamato al dovere di raccontare doviziosamente quell’evento. Ivo era un fotografo di frontiera, uno dei migliori e più sinceri, amava approfondire le sue indagini immergendosi ed immedesimandosi nel contesto, scambiava lo sguardo con realtà e speranza, condivideva acqua e pane.
Il suo racconto più straziante, ancora oggi che ne scrivo ho i brividi e gli occhi lucidi, è quando vide morire sotto i suoi occhi una giovane donna all’interno di una ambulanza alla quale fu impedito di raggiungere l’ospedale per poter partorire a causa di un blocco serrato perpetrato dai soldati israeliani. Morirono madre e figlio con l’indifferenza dei soldati, sordi alle suppliche e alle urla di dolore. Non mi risulta che Ivo abbia scattato fotografie in quel contesto.
Poi immensamente, tragicamente, i racconti su padre Paolo Dall’Oglio a cui fece numerose visite in Siria in un sodalizio sfociato nel lavoro “Sotto la tenda di Abramo” prima del rapimento del gesuita italiano del 2013 mai più ricomparso.
Ivo aveva l’anima nomade ma – dai racconti di Tiziana Bonomo curatrice ed amica – la sua casa di Genova era un vero punto di riferimento dove lo sguardo sul mare poteva respirare e guardare lontano.
Di lui ricordo ancora delle lunghe chiacchierate alla Stazione o al Palazzo Ducale di Genova con Mario Dondero, o sorseggiando più di un caffè, sulla riva del Naviglio a Milano con Fausto Giaccone che ringrazio per avermi aiutato ad arricchire questo ricordo.
Purtroppo la sua morte si aggiunge alle recentissime di Giovanni Chiaramonte, Letizia Battaglia, Lisetta Carmi, una generazione di fotografi italiani storici che sta a poco a poco scomparendo lasciando un vuoto difficile da colmare. Si sa che ogni generazione è figlia del proprio tempo e degli eventi ai quali appartiene ma la cultura italiana, la fotografia internazionale, rimane orfana di un altro pregiato fondamentale poeta.
Riposa in pace caro Ivo.