Paura e delirio a Miami. The Big One is back a South Beach. La regina delle fiere d’arte, Art Basel, torna all’ombra delle palme tessute di lucine tortili natalizie, e trascina con sé il circo dell’arte contemporanea internazionale intero. Un lungo strascico di “contemporary” e champagne per l’ultimo appuntamento clou e cool dell’art system. La settimana dell’arte, edizione sole sale infradito oceano, inizia oggi e si conclude domenica. Noi ve la raccontiamo in presa diretta da quaggiù.
Sex on the beach sulla spiaggia tirata a lucido e lustrini per la settimana più glamour trash chic dell’anno. Ottantacinque gradi fissi fahrenheit contaminati di moda e design, e il mondo della contemporary -dell’arte contemporanea, in ogni accezione papabile- è pronto a dare libero sfoggio di opere e paillette. Crogiolandosi nel suo magico mondo e nel suo mercato, a tratti folle tanto seducente e sconsiderato. Qua, in Florida, vale più o meno tutto: l’arte è la pillola (zucchero, medicina, molly, placebo) dorata, che tutto avvolge e abbaglia. Tante le cose pressoché inutili, molte le cose che hanno anche un senso. Stupido bollare Miami come l’apoteosi della plastica e della perdizione: realtà come Bass, Perez, ICA, Wolfsonian, o le grandi fondazioni-collezioni-musei-progetti privati (De la Cruz, Margulies, Rubell, Spinello, Craig Robins, Locust, Faena) sono un balsamo per gli occhi, il cervello, l’adrenalina, la mente. Da oggi via ufficialmente alle danze più o meno tantriche sulla sabbia e alle sedute di yoga vista oceano post fiere. D’arte. Nelle migliaia di sfumature che questa sorta di parola, mondo, illusione, dimensione possa avere. This is Miami Art Week, come monito e mantra reiterato ovunque, la settimana dell’arte che chiosa la stagione del mercato sotto l’egida fulgida firma della fiera regina: Art Basel. Firma come grafite pulsante e gravitazionale dell’intera filiera città, regione e di una nazione che da sola vale quasi il 50% delle compravendite d’arte globali. La Florida è, si sa, il posto dove svernano i miliardari da Canada, Stati Uniti, Centro e Sud America, il buen retiro dei pesci grossi giovani e vecchi (grazie alle temperature alte e alle basse aliquote fiscali, lo Stato non impone tasse su plusvalenze, eredità e proprietà) ma anche di star e starlette provenienti da tutto il continente oltreoceano (e negli ultimi mesi pure di Jeff Bezos, Shakira, Lionel Messi e Kenneth C. Griffin). Geograficamente è la porta e la sintesi tra Nord, Centro, Sud. E pure Europa. Tanti gli europei che popolano stand, corridoi, boulevard: italiani, inglesi, svizzeri, tedeschi, francesi. Trenta gradi e “luna park” sulla sabbia, sfilata per i District disseminati tra mare e terra, passaggio sulla Collins degli storici building Déco di Sagamore, Carlton, Ritz, Delano e Loews (dove “abitano” dealers e galleristi), toccata anni Venti su Ocean Drive e giù o su per le fiere a seconda di che giro si fa (sempre a ovest se si è sulla spiaggia).
Fiere come satelliti e collaterali, come coordinate dove ritrovarsi. Fiera che significa tutto e niente, ce ne sono -sempre- almeno venti da questa parti, ognuna specializzata in qualcosa (urban art, works on paper, fotografia, afrodiscendenti e così via). Da queste parti, dove la sinergia lusso, moda, musica, food (sono arrivati a 11 i ristoranti stellati), design, arte è la ricetta (lato “culturale”) che ha fatto tutto nascere, crescere e brillare negli ultimi dieci anni. Il tutto guidato dalla madre, Art Basel, che torna al sole di Miami per tutta la settimana, da domani preview riservata. Giocano d’anticipo figlie e nipoti sparse per quella che ora è Magic, e non più Vice, City: su il sipario sabbioso delle tensostrutture sulla spiaggia prima delle danze della Big One. Scope, ma soprattutto Untitled vista oceano, a Lummus Park: rassegna inclusiva dedicata all’arte ultra contemporanea per dare sfoggio al “più ampio ecosistema artistico possibile”. Si torna sulla terraferma con NADA, agli Ice Palace Studios, in Downtown: la New Art Dealer Alliance presenta più di 150 gallerie e organizzazioni non profit giunte qua da più di cinquanta città. Di fronte a Basel c’è la sorella Design Miami: “l’autorità globale per il design da collezione”. Art Miami vira invece su Biscayne Bay, è l’unica manifestazione legata (anche) al Novecento. Queste le fab four (a cui al massimo si possono aggiungere INK Miami nello storico Hotel Dorchester, dedicata alle opere d’arte su carta, e la primissima edizione di photo basel, ospitata da Scope) che gravitano come stelle e stelline nel firmamento elvetico con le palme, acronimo: ABMB. Il resto, sono quasi venti dicevamo, sono per lo più un contorno ludico ma comunque, nel complesso, interessante e soprattutto affascinante, “divertente” per essere blasfemi. Senza vergogna, anzi: la parola d’ordine qui è “circo”, colorato e creativo, nel bene e nel male.
Torniamo da sua maestà la “reina”, come recita lo spanglish di casa. Domani è il suo primo e pre turno con ulteriore tornata esclusiva giovedì (per poi lasciare spazio al venerdì a tutti, quando i collectors sono già in clima weekend alle feste che tirano l’alba tra South Beach e Wynwood, il tempio del graffito – vedere per credere i kilometri di murales e per chi vuole pagare i più patinati Wynwood Walls e Museum of Graffiti). Ritorniamo al principio, da colei che ha dato il via a tutto ventuno anni fa: Art Basel. La fiera leader nelle Americhe targata MCH Group -parentesi: all’inizio di quest’anno, Endeavour, che possiede il marchio rivale delle fiere Frieze, ha acquisito le due top Armory Show di New York e Expo di Chicago- accoglie e raccoglie 277 gallerie per oltre quattromila artisti. Luogo, sempre lo stesso: il Convention Center a South Beach, tirato a lucido brillante per l’occasione, con tanto di layout interno aggiornato e strutturato attorno a cinque piazze per una “migliorata fruizione”. Venticinque le nuove arrivate, dieci le italiane – Alfonso Artiaco, Cardi, Continua, Massimo De Carlo, Kaufmann Repetto, Mazzoleni, Christian Stein, Franco Noero, Lia Rumma, Tornabuoni. Sezioni, confermate, anche perché quest’anno niente stravolgimenti in vista dell’avvento della nuova direttrice fra giusto un mese: Bridget Finn, ex dealer e gallerista. Oltre la classica Main (Section), spazio (enorme) a Meridians, dedicato alle opere monumentali, con 19 progetti; Kabinett, con 30 gallerie per 28 installazioni super curate, situate all’interno dei loro stand; Positions, giovani gallerie per voci emergenti; Conversations è il programma di live talk con quest’edizione focus sull’America Latina. Extra fiera che si implementano con la nuova sinergia targata Tribeca Festival. Proprio di fronte le scaglie bianco scintillanti del Centro Congressi si terranno quattro serate-evento (sempre dal 6 al 9 dicembre): concerti, chiacchiere e incontri con gli artisti al Botanical Garden. Ospiti: dj set del polistrumentista Eartheater, che di recente ha aperto il tour Renaissance di Beyoncé; Natasha Diggs, che presenta Soul in the Horn con Yussef Dayes; gli autori di Max Original Rap Sh!t e la compositrice britannica Actress a chiudere la line up. Ultima, ma non meno importante, sperimentazione “by Art Basel”: Access. Una piattaforma di vendita online per le gallerie, dove ai collezionisti verrà chiesto di donare un ulteriore 10% (o più) del prezzo dell’opera acquistata alla Croce Rossa o alla Miami Foundation.
L’arte esce dalla fiera. E occupa, abita, la città, da Downtown ad Allapattah. Stamattina sono state inaugurate la “casa” dei De la Cruz a Key Biscayne e la loro Collection sempre nel Design District (mostra: House in Motion/New Perspectives). Qui, dove “design” è sinonimo di lusso e moda, i giganti del fashion giocano a chi la fa più grossa: LVMH inaugura Culture House al Moore Building; Cartier si dà alle mostre immersive; Marni e BMW vanno di installazioni più o meno artistiche, come Remember in collaborazione con Alex Israel, mentre Dior si fa Lady chiedendo un “tocco artistico” dodici creativi. Immancabili le old school star Larry Gagosian e Jeffrey Deitch. I due storici mercanti ospitano la tradizionale mostra pop-up nel Distretto. Titolo 2023: Forms, con pezzi di Tauba Auerbach, Nari Ward, Albert Oehlen, Theaster Gates, Carol Bove, John Chamberlain. Pochi isolati accanto si staglia, oramai da sei anni, l’Institute of Contemporary Art – ICA. La special exhibition quest’anno è Charles Gaines: 1992-2023. Un quartiere più in là, direzione Allapattah, il Rubell apre le mostre dei suoi artisti in residenza: Basil Kincaid e Alejandro Piñeiro Bello. A fianco, sempre sul decumano industriale -la 23esima- sorgono Espacio 23 e Superblue Miami (con relative esposizioni, vedi il murale di JR The Chronicles of Miami ispirato a Diego Rivera). La mitica Margulies Collection, santuario dell’Arte Povera, passa da una collettiva di scultura novecentesca al solo show di Mimmo Paladino: Painting and Sculpture. Ma non solo, anche: Motherwell, Segal, Stella e Helen Levitt-New York Street Photographer 1930s-1990s. Riflettori puntati sul leggendario Green Book Hotel che lancia il suo programma di arti visive presso la “sua” The Historic Hampton House, con una collettiva di opere contemporanee co-curata da Beth Rudin DeWoody, Zoe Lukov, Maynard Monroe e Laura Dvorkin. Conferme, non meno importanti: Faena Art ospita Sebastian Errazuriz che, per Spaces of Influence: Shaping Community in the Modern World realizza un labirinto sulla spiaggia a Mid Beach. Al Perez (PAMM) spazio a Gary Simmons: Public Enemy; Joan Didion: What She Means e alla blockbuster Yayoi Kusama: Love is Calling. Ciliegina sulla torta salata: Bas al The Bass. Il museo più importante della città (compirà 60 anni nel 2024) punta sull’artista di casa: Hernan Bas, 46 anni, da Miami, nato da genitori cubani, studio in Little Havana. La mostra, The Conceptualists, è la più attesa della settimana: la tela diventa strumento e momento d’indagine degli spazi di libertà del mondo queer. Come in una narrazione di Bas, c’è solo da perdersi in questa folle fancy affascinante settimana dell’arte.