Tutto iniziò quando una persona mi chiese Cosa Senti invece di Come Stai. Quest’ultima questione è come bere un caffè senza zucchero, veloce al balcone, dopo aver specificato di essere grato al barista e al servizio, adagiato la moneta contata, e sospirato felice che, senza richieste alcune, tutto è accompagnato da un minuscolo bicchiere d’acqua corrente. Si risponde alla domanda selezionando la risposta desiderata, quella meno opportuna, la meno tediosa, quella meno rischiosa. Bene grazie come un espresso, abbastanza bene come un macchiato, si tira avanti come un decaffeinato. Per i più ironici credo bene come un latte alla soia. Per i filosofi di città non ci lamentiamo come un cappuccino. Questa sera, in questo bar, non sono venuta per gustarmi un caffè. Mi sono seduta al primo tavolo senza far rumore. Ho ordinato gesticolando un deciso sì ad una domanda: Signora vuole un caffè?
Mi sento responsabile della vita che ho. Responsabile di un dono che non mi hanno spiegato. Responsabile dei doveri e degli obblighi, delle leggi e delle nostre contraddizioni. Come se fossi una luminaria che illumina una città, dalla metro alla tavola calda: dove tutti escono e dove tutti entrano. Tutti i pensieri. Dove rimangono i soli contorni e alcuni odori. Il presente mi è distante. La mia è una situazione nuova ma costante. Ho dimenticato un guanto a casa, non c’è nulla da rimproverarsi. Un pezzo di torta che non c’è, nessun tovagliolo, nessun cucchiaino. Non c’è nulla intorno a me. Nulla di significativo. Un cesto di frutta? Un termosifone. Quello è un tavolo rotondo. Il marmo è bianco. Il mio cappello è ocra-giallo.
Come ti senti. I pensieri negativi sono intrusivi. Tendono a durare. Non mi abbandonano mai, per tutto il giorno, per questo non riuscite a quantificare il mio tempo. Tuttavia, non c’è solo il grande buio, il grande finestrone che penalizza la capacità di memorizzare nella depressione. C’è un movimento tellurico, lo percepite? Un treno di corsa nero a pieno carbone sta arrivando e il grande vetro trema e dietro di me, un sotterraneo, la sua corsa e il mio rallentamento per tutte le mie capacità cognitive. Tutto questo non ostacola la vostra attenzione. La vostra capacità di concentrarvi. Per me il tempo, per me depressa, tutto scorre molto lentamente. Come ti senti. Triste, rassegnata, alterata. Come ti senti. Guardo il fondo di una tazzina. Chiamatemi con qualunque nome. Questa non è una testimonianza. La mia infanzia e la mia adolescenza non sono state delle migliori. I primi sintomi della malattia sono apparsi con la nascita della mia bambina. Fino allora non sapevo niente della depressione. Stasera riconosco un piatto vuoto. Non berrò quel caffè. Perché non c’è nessun caffè. Capire il senso di vuoto non allontana le vertigini ma ti trasmette la forza per scendere da questa altalena, da tutti i casi di un’altalena.
Qualcuno che la spinge. Avanti ed indietro. Avvicinamento e allontanamento. Io ho smesso. Sono a terra. L’altalena non è un passatempo. Come ti senti mentre mi osservi?