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Torna la rubrica di Giancarlo Politi: ‘Anche io sono stato Next Generation?’

AmarcorT 1 – Dopo una pausa, torna la rubrica Incontri, Ricordi, Euforie, Melanconie di Giancarlo Politi

Chiedo scusa ai miei lettori per il lungo silenzio. Ma l’arrivo di Lev, il mio nipotino, ha assorbito tutte le mie emozioni e il mio tempo. Il resto lo assorbe l’età. Ma ogni tanto tornerò a farmi vivo. Forse in modo diverso. Ma si sa che gli anni e il nipotino Lev, ti sconvolgono la mente. Uno sconvolgimento felice in questo caso che auguro a ognuno di voi. ­

– Giancarlo Politi

Anche io sono stato Next Generation?

Da giovane e per oltre sessant’anni ho inseguito la novità e la qualità forse elitaria dell’arte e della poesia. Come uno scatenato scout cercavo il meglio, il nuovo, volevo cadere in abissi inimmaginabili di ebrezza inedita e di sgomento intellettuale. Ho visitato un giorno Antoni Tàpies a Barcellona, allora (ma anche oggi) famoso e bravissimo pittore catalano, che mi disse: “andiamo a far visita a Mirò a Palma di Maiorca, lo intervistiamo e ti faccio regalare un quadro.” Io subii quell’invito come un affronto, impegnato com’ero ad indagare e scoprire l’arte nuova, in ogni angolo del mondo: la Minimal Art, l’Arte Concettuale, l’Arte Povera, l’Antiform, eccetera. Così persi l’occasione di intervistare un grande artista (che a me appariva obsoleto) e anche quella di avere un bel Mirò per la mia collezione. Che oggi avrei apprezzato.

Ma perché racconto questo: perché ero un fanatico del nuovo e un impavido rottamatore della tradizione. Oggi mi trovo a pensare con sgomento alla Cancel Culture o alla Next Generation: invece ahimè, sono stato uno di loro. Non a caso ero amico ed estimatore di Tony Shafrazi che aveva spruzzato sulla Guernica di Picasso con una vernice la scritta “KILL LIES ALL” (Bugie che uccidono tutti). E per cercare questo nuovo, correvo, talvolta con Piero Gilardi, qualche volta con Germano Celant, ma più spesso da solo e poi sempre con Helena Kontova, a Londra, Stoccolma, Düsseldorf (per Beuys), e quindi quasi sempre a New York, dove in quegli anni Settanta passava tutto e di più. Abitavamo a casa di Christo, di Dennis Oppenheim, di James Collins, di Bernar Venet, di Arman. Conducevo una vita molto simile agli artisti del tempo. Alcuni abitavano in un garage con una parete che di notte si trasformava in letto. Se la polizia li avesse scoperti sarebbero stati arrestati. É stato incredibile vivere la trasformazione di SoHo da quartiere commerciale e maleodorante con autotreni inquinanti che caricavano e scaricavano le merci in enormi depositi che poi diventerano i loft sofisticati di Arman, Christo, Venet, Smithson, Clemente, Schnabel, ecc., poi quartiere di riferimento della moda. E questa rivoluzione è avvenuta grazie alla caparbietà ed energia degli artisti, che talvolta mi sembravano un po’ fuori di testa e che si impossessarono di un quartiere degradato trasformandolo in una zona residenziale molto ambita e da cui poi sono stati espropriati. Ma ciò è avvenuto anche grazie agli scaltri immobiliaristi di New York che mandavano in avanscoperta gli artisti, che nulla avevano da perdere, per bonificare i quartieri più degradati e poi più tardi abbandonarli a sé stessi.

Anche io ero, dunque, un Cancel Culture o Next Generation? Forse sì. Volevo sostituire Morandi con Basquiat, o Keith Haring, Montale o Quasimodo con Ezra Pound o Edoardo Sanguineti. Non mi incollavo a un dipinto di Van Gogh ma ero fermamente incollato, talvolta in modo cieco, alla novità. Lo stesso in Italia sono stati, a mio avviso, Germano Celant e Achille Bonito Oliva, seppure condizionati (e in parte limitati nei rapporti) dalla loro ideologia che però li ha portati lontano.

Il gioco è stato bellissimo, pieno di illusioni e oggi di rimpianti ma è stata una lotta generazionale di Cancel Culture che alla fine si è imposta senza veramente cancellare la cultura precedente ma certamente oscurandola.

La mia esperienza, che è stata esperienza di molti, mi porta a considerare gli storici e stoici conflitti generazionali di sempre e a guardare l’attuale realtà così turbinosa con gli occhi del saggio che ha visto tante battaglie e conflitti generazionali scontrarsi per poi annullarsi. E a pensare che i giovani hanno sempre ragione, perché di giovinezza e di energie nuove e cambiamenti apparentemente sconvolgenti è fatto il futuro. Nella mia giovinezza Jackson Pollock, Emilio Vedova, Franz Kline, Piero Manzoni, Yves Klein, e poi Pino Pascali o Maurizio Cattelan sono stati gli artisti che si incollavano sull’autostrada della cultura e del pensiero dominante per modificarlo. E ci sono riusciti!

Oggi ho difficoltà a leggere l’arte e ad esserne coinvolto, ma so per certo che da queste ceneri l’araba fenice dell’arte sta già risorgendo. Anche se io non ho più occhi e cuore per capirla.

Giancarlo Politi
giancarlo@flashartonline.com

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