Dal 17 novembre al 3 dicembre 2023, il Teatro Donizetti di Bergamo ha presentato una nuova versione de “Il Diluvio Universale” firmata Masbedo e 2050+, in collaborazione con GAMEC e l’Italian Climate Network. Ho partecipato all’ultima rappresentazione: qualche riflessione a posteriori su regia, scenografia e reazioni del pubblico.
Dal 17 novembre al 3 dicembre 2023, il Teatro Donizetti di Bergamo ha presentato l’opera in tre atti “Il Diluvio Universale”, originariamente ideata da Donizetti per il periodo quaresimale, debuttata al Real Teatro di San Carlo di Napoli nel 1830 e raramente rappresentata da allora. L’opera è stata eseguita nella versione originale napoletana, diretta per l’occasione da Riccardo Frizza. Scelte più sperimentali sono state fatte per quanto riguarda la drammaturgia, affidata al regista teatrale Mariano Furlani, la scenografia realizzata dallo studio di progettazione 2050+ di Ippolito Pestellini Laparelli, autore delle scene e presidente della giuria internazionale all’ultima Biennale di Architettura, così come per il progetto, regia dal vivo e costumi affidati al duo artistico MASBEDO (Niccolò Massazza e Iacopo Bedogni). Un team creativo incredibile, sicuramente sui generis, che ha visto nella storia de “Il Diluvio”, primo cataclisma naturale, la metafora perfetta per trattare una questione urgente come l’emergenza ambientale.
Se l’opera di Donizetti ha avuto sin dall’inizio una storia travagliata, confermata dalle poche repliche, la sua rilettura contemporanea non è stata da meno. Centonovanta anni dopo il Corriere di Bergamo titolava: “Donizetti sotto un ‘Diluvio universale’: boati di dissenso per la regia dei MASBEDO”; Bergamo News: “Al Donizetti ‘Il Diluvio Universale’: i MASBEDO non convincono il pubblico, ma riescono a mostrare il futuro dell’umanità” e ancora il Corriere: “Donizetti, il duo registico dei MASBEDO, contestato alla prima del ‘Diluvio universale'”.
In un mondo che va letteralmente a fuoco, mi sono chiesta cosa avesse scosso le coscienze dei bergamaschi, quindi sono andata all’ultima de “Il Diluvio”. Tutto da copione: al termine dello spettacolo le luci si accendono, applausi per tutti, con qualche tentennamento per loro, i MASBEDO. Un gran vociare, qualche “buu” isolato. L’uomo seduto al mio fianco si alza e in un moto di coraggio grida: “Basta con questa pornografia dell’immagine!” per poi rimettersi a sedere. Modi discutibili, messaggio all’altezza di Baudrillard.
Ora che lo spettacolo l’ho visto anche io, continuo a chiedermi cosa li abbia tanto fatti indignare. A sentire le maschere all’ingresso la replica che ha riscosso più successo sembrerebbe esser stata la prova generale, dedicata a un pubblico under 30, con pochi assidui frequentatori d’opera ma notoriamente più sensibile alla questione climatica. In ogni caso l’intervento dei MASBEDO non ha stravolto nessun classico: l’ultima rappresentazione de “Il Diluvio Universale” – la terza nella storia dell’opera dopo le due Donizettiane – risale al 2010, San Gallo, Svizzera. Improbabile quindi che il pubblico in sala fosse risentito per un qualche tipo di affezione.
E non è nemmeno la prima volta che i MASBEDO applicano il linguaggio “cinematografico” all’opera. Le precedenti esperienze – realizzate sempre in terzetto con Furlani – sono state accolte dal pubblico calorosamente (Prometeo di Scriabin-Liszt-Beethoven al Teatro Massimo di Palermo; il Flauto magico al Filarmonico di Verona; il Re Ruggero di Szymanovski a Santa Cecilia). Certo è che nessuna di queste usciva dal rassicurante contenitore teatrale come “Il Diluvio”, che lo fa sia concettualmente, trattando temi attualissimi, ma anche fisicamente con la squadra di ragazzi in impermeabile ferma all’ingresso del teatro a fissare in cagnesco il pubblico in coda. Sono giovani arrabbiati, in protesta, che guardano con l’aria sfidante di chi vuole essere ascoltato. Sulle spalle portano il peso di schermi mobili dove scorrono video sugli effetti nefasti dell’inquinamento negli oceani gentilmente concessi da Sea Scheppard.Sono i nuovi seguaci di Noè.
Per il resto la storia dell’opera rimane un dramma godibile e gustoso: mentre Noè prega con i suoi seguaci presso l’Arca, le fila del rivale Cadmo cercano di incendiarla. Vengono fermati da Sela, moglie di Cadmo, ma fedele a Noè, il che’ innesca un susseguirsi di intrighi, inganni, gelosie degni della migliore puntata di DesperateHousewives. Peccato che nella versione dei MASBEDO questo siasolo uno di due piani narrativi: mentre sul palcoscenico vanno in scena i drammi personali, sullo schermo passano quelli globali. Il mondo va verso la fine davanti agli occhi del pubblico, proprio dietro alle spalle dei personaggi. Spezzoni di video prelevati da internet e magistralmente riassemblati dal duo sfilano in vorticoso collage di finestre pop-up realizzato con la tecnica del found footage, mettendo alla prova l’attenzione dello spettatore e giocando con la sua incapacità di stabilire priorità percettive. A volte l’eccesso di stimoli conflagra in violente epifanie, come nel caso del video in bianco e nero girato in notturna dove si consuma il disgustoso banchetto di un’umanità persa e vorace. Più che sull’arca e quindi su una possibilità di salvezza, l’opera dei MASBEDO si focalizza sull’ultima cena di un’umanità incapace di vedere e accecata dalla propria hybris. Arance, ananas, verdure ma anche carni, anatre
Arance, ananas, verdure ma anche carni, anatre, volatili spennati, pesci da eviscerare accanto a splendide, lussuose gelatine colorate che luccicano come preziosi cristalli. L’insistenza filmica sui soggetti è tutt’altro che casuale: il “Diluvio Universale” è innanzitutto un mitologema che vive nella memoria collettiva a prescindere da Donizetti, lo fa principalmente attraverso le rappresentazioni pittoriche e quindi anche all’immagine.
È forse proprio l’ostentazione volontaria di una rappresentazione filmicafin troppo veritiera – fortemente in contrasto con la scena recitata – a rendere il messaggio di questo “Diluvio” tanto esplicito da essere considerato sconcio, pornografico. In ogni caso il messaggio è molto chiaro: la fine verrà, su di una tavola imbastita.
“Oggi ho cominciato le prove dell’Oratorio il Diluvio e spero in Dio che vada bene; almeno potrò sentire un altro fiasco sui giornali.”
[Donizetti al padre Andrea, il 13 febbraio 1830]