Alla Reggia di Portici ventiquattro artisti riflettono su uno dei simboli della Cristianità in una maniera completamente “estetica” e ben lontana dalla speculazione sulla società del presente e sulle sue mancanze
C’è tempo fino al prossimo 2 febbraio per scoprire, alla Reggia di Portici, un “Presepe Contemporaneo” che è molto di più di quello che si potrebbe immaginare, sotto diversi punti di vista. Intanto perché non si tratta di un solo progetto, un presepe, ma di ventiquattro opere di altrettanti artisti, invitati da Michele Citro e Andrea Guastella. Domenica Amoroso, Sandra Attivo, Alex Caminiti, Luigi Citarrella, Peppe Cuomo, Alessia Forconi, Ignazio Fresu, Angelo Giordano, Andrea Guastavino, Giovanni Longo, Fulvio Merolli, Giuseppe Negro, Giuseppe Palermo, Mary Pappalardo, Alida Pardo, Giacomo Rizzo, Rosa Mundi, Eleonora Rossi, Silvia Scaringella, Emanuele Scuotto, Max Serradifalco, Fernando Spano, Antonio Tropiano, Elia Alunni Tullini –sono i protagonisti di questa esposizione che, però, hanno operato una sorta di “sottrazione”: rifiutando di rappresentare il solito presepe, il gruppo ha trasformato la reggia di Portici in un luogo epifanico, dove l’assenza del presepe “classico” diventa promessa di una presenza reale.
Una blasfemia? Assolutamente il contrario, come scrive Guastella: “Presepe Contemporaneo si contraddice sin dal titolo: un presepe non è mai “contemporaneo”. (…) Alle raffigurazioni di Madonne, San Giuseppe, Bambinelli, Re Magi e pastori, si sostituisce il disvelamento estetico — o l’intenzionale occultamento — di concetti purissimi e di sensi ispirati: la frattura, la riappacificazione, il perdono, l’umiliazione del divino, la divinizzazione dell’umano, l’annunciazione, l’attesa, la maternità, il passaggio, tanto letterale quanto metaforico e traslato, lo spazio e il tempo, la verità e l’ignoto”.
E così, in scena, ci sono “viaggi” e ci sono macchine, ci sono corpi a volte squarciati che non riusciamo a intendere e che ci portano ovviamente anche al conflitto che – anche oggi – si sta consumando laddove il “presepe” ebbe la sua incarnazione primigena, ci sono incroci di tempo e ci sono omaggi agli animali simbolici che sempre hanno contraddistinto il culto e che, sempre, sono stati utilizzati semplicemente come “traghettatori” di parole, parabole, episodi. “Dio, nessuno lo ha mai visto. Ma, per chi ha fede, l’Inferno che sperimentiamo sulla terra non è l’unico orizzonte di destino; esiste il Paradiso, e il Purgatorio; e in mostra esistono Anime del Purgatorio inquiete e perturbanti”, ricordano i curatori, che hanno immaginato una mostra da capire e sentire intimamente, una visione alternativa al folklore e alla tradizione che materializza il vero senso dell’arte secondo Kant: offrire il pensiero. Perché, l’arte, quando è originale, non ripete modelli di facciata, e rispetta la tradizione smarcandosi dall’ovvio.