Esistono tante forme d’arte diverse, la performance è una delle più difficili, delle più intangibili e delle più reali”. Marina Abramović
Dal 16 marzo al 14 luglio 2024, la più completa mostra personale di Marina Abramović (Belgrado, 1946) è in programma allo Stedelijk Museum di Amsterdam. Oltre 60 opere chiave mostrano lo sviluppo dell’impressionante opera della pluripremiata pioniera della performance d’arte negli ultimi 50 anni: dai suoi primi lavori, realizzati nella ex Jugoslavia e ad Amsterdam, alle rivoluzionarie performance con il suo compagno Ulay e al lavoro da solista con il quale è ancora attiva.
La mostra presenta registrazioni di performance leggendarie, fotografie, video, sculture e rievocazioni dal vivo di quattro iconiche performance eseguite per la prima volta nei Paesi Bassi: Art Must Be Beautiful, Artist Must Be Beautiful (1975), Imponderabilia (lavoro con Ulay) (1977), Luminosity (1997) e The House with the Ocean View (2002). Inoltre, i visitatori potranno partecipare in prima persona a due opere: Work Relation (opera con Ulay) (1978) e Counting the Rice secondo il Metodo Abramović. La mostra è stata curata in stretta collaborazione con l’artista e la Royal Academy di Londra.
Marina Abramović è stata una figura di spicco della performance d’arte e dell’arte del corpo fin dagli anni Settanta ed è considerata una delle più importanti fondatrici di questa forma d’arte. È stata lei a portare la performance d’arte al centro dell’attenzione, partendo dai suoi esordi sperimentali. Utilizza il proprio corpo e mette costantemente alla prova i limiti della propria resistenza fisica e mentale in modo potente e senza compromessi. Insieme all’artista Ulay (Frank Uwe Laysiepen, 1943-2020), incontrato ad Amsterdam nel 1975, ha creato un furore internazionale – fino al loro scioglimento nel 1988 – con performance di lunga durata che mettono a dura prova questi limiti. Nel suo ultimo lavoro da solista, si concentra soprattutto sull’esplorazione della spiritualità e sulla creazione di un’interazione in cui il pubblico diventa parte attiva del suo lavoro e della sua energia.
Marina Abramović usa il suo corpo in modi diversi: il corpo dell’artista, il corpo sociale e il corpo spirituale. Queste forme sono visibili in ognuno dei 10 temi della mostra. Fin dalla sua prima performance, Rhythm 10 (1973), in cui si infila coltelli affilati tra le dita davanti a un pubblico, la Abramović sente il potere del suo corpo come mezzo per creare arte. Ne enfatizza l’uso a fini esistenziali, politici e sciamanici, come in Lips of Thomas (1975), in cui si incide una stella nell’addome con un coltello, lasciando una cicatrice permanente. Nell’opera Balkan Baroque (Biennale di Venezia, 1997), risponde ai violenti conflitti nei Balcani in seguito alla separazione della Jugoslavia nel 1991 e, in memoria del padre, realizza l’opera videografica The Hero (2001), in cui unisce la propria biografia a quella del padre.
Nel suo lavoro, la Abramović esplora la sua relazione con il suo partner di allora, Ulay, e il suo rapporto con il pubblico. Con Ulay crea opere in cui esplorano il rapporto tra il proprio io e l’altro, tra il femminile e il maschile. Rest Energy (1980), in cui Ulay punta una freccia al cuore di Marina, descrive in modo toccante l’estrema fiducia da cui dipende la loro collaborazione. Il suo rapporto con il pubblico è evidente in Rhythm 0 (1974) e nella famosissima The Artist is Present (2010). In queste performance, la Abramović utilizza il suo corpo come specchio delle emozioni e dei comportamenti dei visitatori. In Role Exchange, che la Abramović esegue nel 1976 su invito del centro d’arte de Appel, scambia il ruolo con una prostituta nel Quartiere a Luci Rosse per due ore. Negli ultimi anni Marina Abramović si è concentrata sempre più sulla spiritualità e sul suo rapporto con la terra e la natura. Tra la fine degli anni Ottanta e gli anni Novanta, la Abramović approfondisce il rapporto tra la materia e l’energia immateriale ed esplora i modi in cui può trasmettere al pubblico interazioni energetiche dirette. Gli Transitory Objects For Human Use sono stati concepiti come oggetti di guarigione attivati mediante interazioni. Durante la mostra, il pubblico può utilizzare a questo scopo la serie Dragons.
Nell’esplorare i limiti della coscienza, la Abramović si concentra sempre più sul piano mentale. Le azioni e le situazioni sostenute per lunghi periodi di tempo costituiscono per lei la via della trasformazione; uno stato d’essere al di là del dolore fisico e mentale, come nella meditazione. Questo processo è ben illustrato in Luminosity (1997), in cui un semplice movimento diventa sempre più impegnativo dal punto di vista fisico. Il movimento costringe a concentrarsi e a essere presente. The House with the Ocean View (2002) è l’ultima performance in cui viene messa alla prova la resistenza: l’artista si attiene a regole autoimposte per 12 giorni, tra cui il digiuno e il silenzio. La performance si svolge in tre spazi spartani come la camera da letto, il soggiorno e il bagno. Il pubblico assiste a questa dimora simbolica e instaura in silenzio un “dialogo energetico” con l’artista. Le rappresentazioni saranno eseguite in tempi diversi da interpreti appositamente formati secondo il Metodo Abramović e potranno durare anche diverse ore o giorni. Ogni giorno ci saranno rappresentazioni in momenti diversi, il cui programma sarà reso noto successivamente. Assistere a una performance può risultare sia intimo che conflittuale.