Nonostante il carattere quasi fotografico dell’opera, Nighthawks di Edward Hopper è il risultato di un lungo processo combinatorio, come testimoniano i suoi disegni preparatori.
La natura del disegno è ambigua e affascinante. Per alcuni artisti è la principale forma d’espressione, per altri è utile solo per giungere al lavoro finale. Nel mezzo, uno spettro di sfumature ampissimo, in cui ad ogni modo emerge un dato piuttosto chiaro: muti, i disegni, non sono quasi mai. Edward Hopper, per esempio, valutava i suoi disegni solo in termini pratici: bozze, appunti, studi preparatori. Mai avrebbe pensato di mostrarli a qualcuno. Eppure, per chi lo studia e ne approfondisce l’opera, osservare i suoi lavori grafici funziona come una finestra sulla sua mente e sul suo modo di operare: l’intuizione, la registrazione di un’immagine, i tentativi combinatori, le aggiunte, le sottrazioni, gli affinamenti, gli elementi centrali, quelli facoltativi e così via.
Sono sostanzialmente un modo per frammentare l’opera, per scardinarne il meccanismo interno, dividerla come un puzzle e isolarne le componenti. Come analizzare una poesia prendendo in considerazione un verso per volta, provando a vedere come se la cava da solo. Un procedimento che approfondisce ogni singolo aspetto e dunque l’opera nel complesso, permette di apprezzare il modo in cui è stata formalizzata, magari proprio scorgendo quali sarebbero state le alternative, le innumerevoli altre soluzioni che alla fine sono state tralasciate. E poi, ancora, rivelano dettagli pratici, se vogliamo anche narrativi, sui tempi e i modi in cui un’opera è nata.
Possiamo ricostruire, per esempio, una notte del 1942 in cui Hopper è uscito per le strade di New York, rese particolarmente oscure dal blackout precauzionale imposto dalla guerra che ne minacciava i porti. La situazione è estremamente calma ma altrettanto tesa, la paura e l’incertezza contribuiscono a far oscillare la città tra realismo e irrealtà. Il pittore ha con sé un quaderno: del resto, non c’è contesto migliore per un artista che fa della sospensione e dell’attesa la cifra principale delle sue opere. Un lungo sonno per la città che non dorme mai, un tempo interrotto abitato da individui che si muovono come visitatori fantasmi.
Ad un certo punto scorge un diner, uno dei pochi a mantenere la luce accesa nonostante il divieto. Pare un acquario, dentro ci sono anche dei pesciolini. Uno di questi indossa un abito e un fedora, siede al bancone. Hopper prende la matita, la muove su una pagina del quaderno, il primo personaggio di Nighthawks prende vita. Prima poggia con un braccio sul tavolo, poi divengono due; un dettaglio che ne modifica la postura, che interviene sulla sensazione psicologica che trasmette. Il secondo personaggio indossa abiti simili, ma siede di spalle alla grande vetrata attraverso cui Hopper li osserva. Con tratti rapidi, Hopper cattura i movimenti dell’uomo, registrando le variazioni nell’inclinazione della testa, la pressione del corpo contro il bancone, i giochi di luce sulla giacca. Sono impressioni utili a trattenere l’atmosfera della scena – in questo caso malinconica, solitaria, riflessiva – e capire come allestirla, quali aspetti mantenere e quali alterare, oltre ovviamente a come disporli.
In un disegno, ad esempio, Hopper si appunta anche gli oggetti che l’uomo ha/potrebbe avere davanti. In un altro, quasi fosse una composizione astratta, poche linee delineno la forma del diner, ma soprattutto la sua posizione ad angolo, la prospettiva vincente che farà la fortuna dell’opera. Si scorgono poi vari tentativi di disporre i personaggi, oltre che i primi accenni di chiaroscuro, giochi di luce immaginati e appuntati. Dopodiché forse Hopper rientra a casa, nel suo studio ha a disposizione carta di qualità superiore e la utilizza per perfezionare le figure: l’inclinazione delle teste, l’angolazione dei corpi, il modo in cui la luce cade sulla pelle e sui vestiti. Si ricorda anche che nel diner c’era una figura femminile, così chiede a sua moglie Jo di posare per lui.
Disegnare e ridisegnare, molte volte, una figura significa farla diventare un personaggio. Vuol dire esplorarne la psiche, testarne comportamenti, azioni, intenzioni. In alcuni studi le figure non si guardano né si sfiorano, poi si sbirciano ma non si toccano, dopo ancora si stringono la mano ma paiono in realtà assenti, e così via. Sono proprio questi dettagli a formare il substrato narrativo delle opere di Hopper, che come ogni racconto è dato dalla contaminazione di realtà e finzione. Quella notte Hopper prese anche degli appunti scritti, che oggi ci permettono di capire quanto la soggettività del pittore sia intervenuta sul dato reale:
“Notte + interno brillante di un ristorante economico. Oggetti luminosi: bancone in legno di ciliegio + una serie di sgabelli attorno; la luce riflessa sui serbatoi metallici sulla destra in secondo piano; una serie di piastrelle luminose di giada messe di tre quarti, sotto la vetrina che gira all’angolo. Le pareti chiare di colore giallo ocra fino alla porta della cucina sulla destra. Un bel ragazzo biondo vestito di bianco (giacca e cappello) dietro al bancone. Una ragazza con la camicetta rossa, con i capelli castani e sta mangiando un panino. Uomo con naso a becco con vestito scuro, cappello grigio scuro con banda nera, una camicia blu semplice e tra le mani regge una sigaretta. C’è un’altra figura scura di spalle a sinistra. Il marciapiede all’esterno è di un verde chiaro quasi pallido. Sul lato opposto ci sono delle case fatte con mattoni rosso scuro. L’insegna del ristorante è scura e c’è scritto “Philies 5c Sigari”, con il disegno di un sigaro. Fuori al negozio è buio e verde. Nota: l’interno del soffitto è luminoso e contrasta con il buio della strada esterna e sull’angolo della vetrina c’è una piccola finestra”.
La piccola finestra non c’è, non c’è il panino e non c’è nemmeno la sigaretta (c’è invece una porta sul retro e dei macchinari lì vicino). Non c’è nemmeno più la sicurezza che il diner che Hopper ha visto quella notte sia lo stesso che compare in Nighthawks. Anzi, si tratta probabilmente di un incrocio tra vari locali, tra cui il celebre Flatiron Building e la sua prua curva. La dimostrazione definitiva che anche un dipinto dalle qualità fotografiche è in realtà frutto di un lungo processo combinatorio, fatto di osservazione e intuizioni, tentativi e ripensamenti. Labor limae visivo che elimina il superfluo e restituisce infine solo ciò che è essenziale.