Teatro pieno il 9 gennaio al Teatro Modena di Genova per la prima di Come gli uccelli di Wajdi Mouawad (prosegue fino al 14 gennaio)
Il testo dell’autore libanese presuppone e sviluppa due modelli: il primo è Antigone, come nella tragedia di Sofocle viene rappresentato l’antagonismo tra una legge antica, come quella del sangue, e una nuova legge che i giovani protagonisti, Eitan e Wajida, provano a scrivere; il secondo rimanda allo shakespeariano Romeo e Giulietta, in cui i due, un ebreo e un’araba statunitense benchè uniti dall’amore sono divisi da un muro non solo fisico ma storico e sociale che scinde due popoli in guerra per la stessa terra. Il loro rapporto è ostacolato molto prima del loro venire al mondo, fin dalla guerra del 1967 (quella “dei sei giorni” alla quale quella di oggi tanto somiglia) fin dalla strage di Sabra e Shatila del 1982.
Marco Lorenzi, che ha adattato il testo in italiano con Lorenzo De Iacovo, porta così in scena una saga famigliare che attraversa tre generazioni (dal 1967 al 2013) e tre continenti, tra conflitti e attentati che, come purtroppo vediamo quotidianamente, continuano a lacerare terre, popoli e culture.
Il testo si sviluppa come un film di Christopher Nolan, scorrendo avanti e indietro nel tempo, e muovendosi furiosamente nello spazio. Si tratta indubbiamente di un testo complesso, non solo per lo sviluppo temporale e spaziale, ma anche per l’uso di diverse lingue, l’ebraico, l’arabo, il tedesco e l’italiano, che porta la durata delle piece a più di tre ore.
Il regista e fondatore della compagnia Il Mulino di Amleto ha scelto di raccontare la vicenda ponendo sul palcoscenico un ingombrante muro sul quale vengono proiettati i passaggi salienti della storia a cominciare dall’Allenby Bridge, il ponte che collega e contemporaneamente divide Israele e Giordania, e sul quale Eithan resta vittima di un attentato che lo fa finire in coma. Questa tragica circostanza diventa l’occasione, per tutta la famiglia, di scoprire e affrontare le verità nascoste, di combattere il demone dell’odio e superare le ideologie più rigide. I piani temporali del racconto dunque si intrecciano e sovrappongono, viene indagato il rapporto tra genetica e cultura, coinvolgendo anche temi come la bellezza, il caso, la disgrazia. E così, gradualmente, la toccante e sfortunata storia d’amore tra Eithan e Wahida diventa un ingegnoso pretesto per compiere una profonda indagine sull’identità culturale e genetica che una volta scoperta genera il crollo del sistema di valori nei quali si è sempre creduto e fa talmente male da portare alla morte (questo accade al rigido padre di Eithan).
Lorenzi sfrutta l’importanza e la forza emotiva delle parole nel testo di Wajdi Mouawad, incentivando gli attori a immedesimarsi al meglio nelle tradizioni e nella cultura dei personaggi che interpretano, recitando anche in una lingua diversa dalla propria. Questa mescolanza di parole diverse è intrigante, se anche non sono comprensibili a tutti la lingua araba e quella ebraica, ma sul muro scorrono le traduzioni che al pubblico non fanno perdere una battuta.
Assistendo a questo spettacolo vengono in mente le parole pronunciate dallo scrittore e giornalista polacco Ryszard Kapuściński nel 2004 in occasione di una conferenza che parlava dell’incontro con l’altro come la sfida del XXI secolo: “Ogni volta che l’uomo si è incontrato con l’altro, ha sempre avuto davanti a sé tre possibilità di scelta: fargli guerra, isolarsi dietro a un muro o stabilire un dialogo”. La guerra, il muro, il dialogo sono gli elementi di Come gli uccelli.
Gli attori sono tutti bravi in questo processo di scavo. Un cast internazionale composto da Aleksandar Cvjetković, Elio D’Alessandro, Said Esserairi, Lucrezia Forni, Irene Ivaldi, Barbara Mazzi, Raffaele Musella, Federico Palumeri, Rebecca Rossetti che recita in italiano, ebraico, arabo e tedesco, un’eterogeneità linguistica e culturale che riproduce quel percorso di “incontro” verso l’Altro che per Mouawad, come per Il Mulino di Amleto, è una ragione di vita e di poetica. L’unico appunto alla piece è che poteva essere più snella, tagliando qualche dialogo troppo lungo. Per il pubblico di oggi stare seduti per tre ore è troppo.