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Come sarà la Biennale saudita di Diriyah? Le parole dei curatori

Diriyah Contemporary Art Biennale nel distretto di JAX a Diriyah. Photo courtesy Diriyah Biennale Foundation
In Arabia Saudita, tra poco più di un mese, il 20 febbraio e fino al 24 maggio, apre la seconda edizione della Biennale di Diriyah, cittadina storica appena fuori Riyadh, che ospita il sito At-Turaif, patrimonio mondiale UNESCO. La Direttrice Artistica, Ute Meta Bauer, afferma che proprio da questo sito antico, attraversato dalle energie del presente, è partita per la sua curatela. Aggiunge anche che vuole che per lo spettatore sia un’esperienza sensoriale.
Ute Meta Bauer. Photo by Christine Fenzl, courtesy of the Diriyah Biennale Foundation

Il tema della Biennale – afferma il co-curatore Rahul Gudipudi – è “After Rain” e indica la rigenerazione, una gratifica e un senso di quiete che apre alla possibilità di abbandonarsi all’esperienza.
Questa Biennale – come sottolinea la co-curatrice Anca Rujoiu – che cura il programma delle conversazioni e molte commissioni, è iniziata con incontri, conferenze, workshop, dall’aprile del 2023. Gli artisti sono stati introdotti alle comunità locali e gli scambi hanno arricchito i lavori e dato l’opportunità agli artisti di studiare la storia e la cultura dei luoghi. Infatti – come aggiunge la seconda co-curatrice Wejdan Reda – molti artisti hanno fatto diversi viaggi nel Regno dell’Arabia Saudita e sono venuti in contatto con artigiani di varie discipline, coniugando questi atavici saperi con le loro pratiche artistiche. Questo ha potuto contribuire a creare un confronto costruttivo tra le diversità culturali.

The 2024 Diriyah Contemporary Art Biennale curatorial team. Courtesy Diriyah Biennale Foundation. In alto da sinistra: Ana Salazar, Dian Arumningtyas, Ute Meta Bauer, Wejdan Reda, Anca Rujoiu. In basso da sinistra: Alanood A Alsudairi, Rose Lejeune, Rahul Gudipudi, Photo courtesy: Diriyah Biennale Foundation

Questo tipo di approccio in cui l’organizzazione della mostra è solo un aspetto del progetto globale, si riferisce alla cosiddetta “svolta discorsiva”, secondo cui la curatela privilegia la riflessione su vari campi e in vari “formati (come la conferenza, il simposio, le tavole rotonde)” ove sviluppare il pensiero critico (come afferma Ute Meta Bauer, The making of an institution, in Utopian Display. Geopolitiche curatoriali, a cura di Marco Scotini, Macerata, 2019, p. 33). Non si tratta di una novità, poiché già la famosa terza Biennale dell’Avana del 1989, che ambiva a collegare i Sud del Mondo, in opposizione all’egemonia occidentale, si era aperta alle pratiche di partecipazione con workshop, conferenze, estendendosi in tutta la città, rivitalizzando anche zone periferiche. Il secondo seminale appuntamento nella storia delle kermesse globali, in cui la discorsività e gli approfondimenti sono state alla base di una piattaforma globale, è stato la ormai mitica documenta di Kassel del 2001/2002 curata da Okui Enwezor, che vide Ute Meta Bauer come co-curatrice. Di fatto, anche la co-curatrice Rose Lejeune che cura la parte dedicata alle performance, sottolinea, attraverso parole chiave come coltivare, sviluppare diversi tipi di linguaggi e narrazioni, sostenibilità e costruzione di comunità, questo approccio. Inoltre l’elenco degli artisti, 92 da 43 paesi del mondo, di cui 30 provenienti dal Golfo Persico, racconta di un approccio globale, aggiornato con un focus sul Sud-Est dell’Asia, con temi che si concentrano sull’ambiente, la sostenibilità, la traduzione, chiarisce la co-curatrice Ana Salazar. La riflessione insomma riguarda il significato e la visione critica rispetto a ciò che è oggi una Biennale, cosa sia diventato in senso ampio il design di una così importante esposizione, come sia sottoposto a un processo di continua ricodifica. Questa Biennale rende evidente, prestando attenzione, oltre che alle parole dei curatori, anche alla costellazione degli artisti una molteplicità di approcci e una sensibile attenzione anche alla storia delle biennali passate e contemporanee. Ad esempio, tra le nuove commissioni si trovano Britto Arts Trust, Tiffany Chung (fondatrice di Sàn Art a Ho Chi Min in Vietnam) e NJOKOBOK (Youssou Diop and Apolonija Šušteršič): i primi due erano presenti a documenta 15 del 2022 dove il collettivo indonesiano dei ruangrupa aveva portato – possiamo dire oggi – a compimento un processo di partecipazione del pubblico, incentrando la mostra sulla possibilità dell’incontro, sull’esperienza della condivisione di momenti di convivialità tra artisti e visitatori nell’esaltazione del concetto di pausa e di relax come riappropriazione del tempo come forma euristica di conoscenza. A Diriyah il collettivo del Bangladesh Britto Arts Trust invita il pubblico a raccogliere, cucinare, mangiare. Così NJOKOBOK mette in opera un bar che serve succo di frutta e tè con i sapori tipici del luogo come l’ibiscus e lo zenzero, e il senegalese tè alla menta. Nota interessante, Ute Meta Bauer era nel comitato di Kassel che ha selezionato i ruangrupa come curatori di documenta. Lucy + Jorge Orta, anch’essi con commissione della Biennale, – invitata (solo Lucy Orta) alla Seconda Biennale di Johannesburg del 1997 diretta da Okui Enwezor – inviteranno il pubblico ad un pasto durante il Ramadan nei vicoli del Distretto di JAX, mettendo in relazione la Biennale con gli studi degli artisti e gli abitanti del quartiere. Come nota a margine vorrei aggiungere che al curatore nigeriano è stata dedicata l’imponente 15 Biennale di Sharjah del 2023.
Due notazioni sulla storia della Direttrice Artistica Ute Meta Bauer, che spiegano la sua abilissima e raffinata regia. Dopo avere diretto la terza Biennale di Berlino nel 2004, è stata Direttrice del Visual Arts Program dal 2005 al 2009 e del Programma Art, Culture, and Technology dal 2009 al 2012 del MIT’s School of Architecture and Planning di Boston. E’ stata co-direttrice con Hou Hanru del World Biennial Forum No. I, Gwangju, Corea del Sud, 2012. Ha fondato e dirige il CCA, Center for Contemporary Art, Singapore. Co-curatrice con Amar Kanwar David Teh, della 17ma edizione della Biennale di Istanbul del 2021.
E alla fine le parole di Aya Al Bakree CEO della Diriyah Art Foundation, che indicano la volontà del Regno dell’Arabia Saudita di giocare un ruolo di primo piano nello scacchiere Medio-Orientale e globale e che indicano dove puntano i loro interessi geopolitici e culturali. Crede nel potere rigenerativo dell’arte per la società del paese. Sottolinea l’aspetto collaborativo delle commissioni e l’aspetto partecipativo della kermesse e conclude “speriamo di accendere conversazioni, ampliare prospettive, e, soprattutto, coinvolgere un pubblico tanto ampio come mai prima con le arti”.

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