Arte Fiera non solo festeggia un importante compleanno, quello delle cinquanta edizioni, ma anche – finalmente – un ritorno alla qualità dell’offerta
Ci sono alcune manifestazioni, inossidabili, che guardano l’acqua passare sotto i ponti, immobili nella loro torre d’avorio. Ce ne sono altre, più vicine alla realtà, che oltre a vedere lo scorrere del tempo si lasciano attraversare dai cambiamenti, dalle esperienze, subindo crisi e rinascite, come accade nelle esistenze degli esseri umani.
Una di queste manifestazioni-corpo, che negli ultimi anni ha sofferto dell’alternarsi di direzioni e dello scorrere implacabile dei cambiamenti è Arte Fiera, la storica “mostra-mercato” dell’arte nata nel 1974, a Bologna, e una delle prime manifestazioni di questo tipo nel mondo intero.
Fiumi di inchiostro sulle sue mancanze, negli ultimi dieci anni circa, se ne sono versati, quasi che la fiera d’arte di Bologna fosse una specie di “purgatorio” per un mercato dell’arte e un’offerta non all’altezza delle altre fiere italiane, per non parlare di quelle europee.
Ci sono state edizioni, addirittura, a cui si è data una voce maggiore alle mostre fuori fiera, quelle del circuito di Art City, e ci sono state altre occasioni – estremamente sfortunate – in cui Arte Fiera sembrava sulla via del non ritorno, come l’edizione 2021, che si tenne in maggio a causa della pandemia. Arte Fiera roccaforte-nicchia italiana che noi, col nostro poco orgoglio per la produzione del nostro Paese, avevamo un po’ accantonato. Eppure, ad Arte Fiera, il collezionismo non è mai mancato: quello che si è appannato, piuttosto, era il ruolo di Bologna come città-protagonista del contemporaneo. Siderali i tempi delle Settimane della Performance che possiamo oggi ripercorrere nel bell’omaggio che, nella sezione Fotografia, si fa all’edizione del 1976 che ospitò una prima sezione sulle arti dal vivo: “Praticamente nulla da vendere. La performance ad Arte Fiera nel 1976”, a cura di Uliana Zanetti, ricostruisce idealmente – con alcune immagini ritrovate nell’Archivio della fiera, quella Bologna che era quella della Galleria Comunale d’Arte Moderna e dell’Avanguardia dura e pura.
Una Bologna che, volenti o nolenti, è uscita di scena, mentre le politiche di austerità sul piano culturale oggi si fanno sentire con il risultato – infatti – di una Art City che appare più scarica di altre edizioni. Legge del contrappasso?
E la fiera, invece? La fiera rinasce sotto la curatela di Simone Menegoi che – incontrato tra gli stand a manifestazione appena aperta – si dimostra soddisfatto dei risultati.
I collezionisti? C’è chi utilizza bollini rossi, chi fa avanti e indietro dal magazzino, e chi dice che Arte Fiera non è mai stata una kermesse lineare in fatto di vendite: anche il fine settimana, di solito, riserva parecchie sorprese.
Le gallerie in totale sono 196 – quasi il numero che si ebbe nel 1975, secondo anno di Arte Fiera, con il ritorno di Noero e Apalazzo, tra le altre.
Alcuni mostrano i muscoli: Thomas Brambilla schiera John Giorno e Jack Pierson; Lia Rumma una splendida stella di Gilberto Zorio; Continua, lo stesso Noero, ma anche Poggiali, Minini e Prometeo riempiono le pareti dei propri cavalli vincenti.
Ci sono poi alcune chicche ben raffinate: Traffic Gallery con una poetica installazione meccanica del giovane Daniele Di Girolamo, dove due cardi si strofinano su se stessi, mantenendo intatte le spine ma perdendo, lentamente, piccoli semi; un gioco di forze sottile e corrisposto da un impercettibile suono a metà tra il naturale e l’industriale. Sara Zanin (z2o) ha diviso lo stand in due macro ambienti, ospitando una piccola personale dell’artista Marta Roberti, assolutamente degna di nota; nel padiglione 25, invece, da Cardelli & Fontana si distinguono gli assemblaggi di Mirco Marchelli, veri e propri incastri di materiali a formare sculture pittoriche. Di fronte, alla galleria L’incontro, le babbucce di ceramica di Luigi Ontani, con una serie di disegni e foto acquerellate dell’artista. A compiere 50 anni è anche la storica galleria bolognese Studio G7, che per l’occasione porta in mostra una opera per ciascuno degli artisti rappresentati, da Franco Guerzoni a Daniela Comani, in uno stand molto curato.
In aggiunta, a fare capolino tra i corridoi, l’intervento di Maurizio Cattelan, Because, per Mutina for Art, l’azione di Daniela Ortiz promossa da Fondazione Furla, l’installazione-memento di Alberto Garutti, collocata all’ingresso: Tutti i passi che ho fatto nella mia vita mi hanno portato qui, ora.
Un’iscrizione eterna, non a caso scolpita nella pietra, che aderisce perfettamente al grande percorso che la fiera di Bologna ha compiuto in cinque decadi, tra alti e bassi.
E allora ben ritrovata Arte Fiera, con una qualità come non si vedeva da anni, con una disposizione degli stand che appare decisamente migliorata, ariosa e godibile. E di questi tempi, oggettivamente, non è poco.