Puntuale come il Festival di Sanremo arriva la Biennale, la sessantesima, decarbonizzata in ossequio all’ESG (Environement Social Governance) e in curiosa e sconcertante coincidenza di date con il Salone del Mobile di Milano
Questa edizione, curata da Adriano Pedrosa, si annuncia sin dal titolo –Stranieri Ovunque-Foreigners Everywhere tratto da un’opera del collettivo Claire Fontaine (sigh!) – nel solco delle precedenti, vale a dire la solita lagna terzo altermondista. Per l’occasione declinata in versione queer, all’insegna del “famolo strano”. Infatti, seguendo il significato etimologico di straniero, strano, estraneo, perturbante si giunge all’estraneo cioè a se stesso e, finalmente, al queer.
Queer, ergo sum. Oggi queer domani là, io vado e vivo così…
Si conclude qui, con questa edizione, il lungo ciclo caratterizzato da una forte impronta internazionale inaugurato da Paolo Baratta una ventina di anni or sono e condotto in perfetta continuità da Roberto Cicutto. Vedremo prossimamente se il neopresidente Pietrangelo Buttafuoco adotterà la gattopardesca formula del cambiare tutto perché nulla cambi o se, insufflato dal Misericordioso, ribalterà il tavolo. Lo scopriremo solo vivendo…
Una lunga stagione di grandi successi e consensi e qualche altrettanto lunga ombra tipo quella di aver in qualche modo anticipato il sentimento di Stranieri Ovunque, rendendoci effettivamente Stranieri in patria, ridotti a ospiti ininfluenti e portatori di una magnifica scenografia. L’indecorosa sorte del Padiglione Italiano divenuto una sorta de gheto de Venexia, al netto dei progetti presentati, ne è la plastica dimostrazione. Non mi pare che la carriera degli artisti chiamati a rappresentare l’italico onore abbia poi goduto di un’integrazione nel circuito internazionale.
Tornando all’oggi devo confessarvi che un senso di profondo sconforto mi affligge, non c’è più niente da fare, è stato bello sognare, i lunghi giorni felici… già ormai il declino dell’Europa e con essa dell’occidente tutto, è inarrestabile. Il vento della storia spira da oriente e dal sud del mondo e, giorno dopo giorno, i mattoni di una lunga civiltà vengono smontati per sostituirli con altri.
Ormai è ufficiale, la caccia all’uomo bianco è aperta. Tutto nasce in virtù di un equivoco antropologico che ha determinato un livellamento orizzontale delle culture ingenerando un pregiudizio antioccidentale in quanto portatore di sopraffazione e arroganza classificatoria distinguendo tra culture “superiori” e “inferiori”. Ovviamente tutte le culture sono degne di rispetto con il loro bagaglio di conoscenze, credenze, linguaggi, ma questo non significa che si equivalgano. Una volta postulata l’eguaglianza si sono spalancate le porte dell’inferno. Allo sfarinamento del significato di cultura è seguito un’inclusione, nella nuova accezione allargata, della cosiddetta cultura etnico e popolare. Ecco spiegate le varie ed avariate Biennali, da quelle a tematiche anti-speciste a quelle etno folk queer, giù fino a dove diavolo vi/gli pare.
La Biennale si è lentamente trasformata in un Circo Barnum chic, prestigiosa tappa di una lunga catena di entertainment park glamour e snob nei quali viene propalato il messaggio post umano e decostruzionista mutuato dagli intellò francesi, trasmigrato nelle prestigiose università americane e rimbalzato “finalmente” da noi. Eccoci giunti nell’era della rivoluzione energetica e identitaria che cerca conferme e appoggi alla crisi epistemologica nelle teorie della fisica quantistica piegata all’ideologia queer. Bene, godiamoci questo film e vediamo come va a finire, molti molti auguri.
Identitari Saluti
L.d.R.