Palazzo Merulana è un’oasi di creatività in un quartiere di Roma, l’Esquilino, definito multietnico per far luce eufemisticamente su un unico aspetto. In questo contesto di grande bellezza, in lotta quotidiana con il degrado, la Fondazione Cerasi apre la mostra Antonio Donghi. La magia del silenzio, in collaborazione con CoopCulture, UniCredit, Regione Lazio e il patrocinio di Roma Capitale.
Visitabile fino al 26 maggio 2024, l’esposizione mette a fuoco, attraverso 34 tele, la figura di Antonio Donghi (1897-1963), romano, esponente di punta del Realismo magico.
Un nome, quello di Donghi, a lungo sottovalutato in Italia e riportato alla luce in tempi più recenti. Come ricorda Fabio Benzi, curatore della mostra a Palazzo Merulana, il pittore fu subito apprezzato negli Stati Uniti. Spiega Benzi: “Donghi riuscì ad esporre in una personale a New York, nel 1927, grazie all’amicizia con lo scrittore Lauro de Bosis. Ed è il motivo per cui molte tele sono finite oltreoceano”. Una di queste opere è Piccoli saltimbanchi, del 1938: i quadri posseduti dagli imprenditori Claudio ed Elena Cerasi prendono la forma di una vera collezione d’arte (quella permanente del Palazzo) dopo l’acquisto della tela di Donghi.
Il ricordo di Alessandra Cerasi
Ricorda la figlia, Alessandra: “Nel 1985 i miei genitori visitarono la mostra monografica di Donghi a Palazzo Braschi. Mio padre rimase folgorato dai bambini saltimbanchi ritratti, dalla tecnica pittorica; mia madre dalla malinconia del loro sguardo. Si misero subito a cercare il proprietario per poter comprare il quadro: si trovava a New York”. Anche l’ultima tela che entrò a far parte della collezione di Claudio Cerasi, prima della sua scomparsa, era di Donghi: Le lavandaie, capolavoro del 1922.
In mezzo a questo viaggio sentimental-artistico della famiglia Cerasi, c’è la collezione di Unicredit, sedici tele ereditate dalla Banca di Roma. È Letizia Casuccio, direttrice generale di CoopCulture, a parlare con Roberto Fiorini, manager per il centro Italia di Unicredit, della possibilità di un’esposizione che raccogliesse il meglio di quanto presente a Roma della produzione di Antonio Donghi. Arrivano, così, anche i prestiti della Galleria Nazionale d’arte moderna, dei Musei di Roma e della Banca d’Italia. Solo quattro, ma molto significative, opere provengono da collezioni private. Fra queste, il Ritratto di Lauro de Bosis (1924) e un enigmatico Ritratto equestre del duce (1937).