Il The King Abdulaziz Center for World Culture (Ithra) di Dhahran dedica la prima retrospettiva in Arabia Saudita a Etel Adnan, pittrice, scrittrice e filosofa libanese-americana. In mostra 41 opere tra dipinti, acquerelli, arazzi, libri d’artista e un mosaico in ceramica di 25 metri quadrati. Dall’1 febbraio al 30 giugno 2024.
Girano sui social dei video in cui i colori delle bandiere del mondo, estratti dall’immagine e trasportati in pittura, vengono poi miscelati per ottenere una risultante che è la somma delle componenti. Osservare le parti che diventano un tutto suscita sensazioni differenti, perlopiù piacevoli. C’è il difforme che diventa uniforme, il caos che si ordina; c’è il godimento e la curiosità estetica di vedere cosa, quale colore risulterà; c’è il senso di completezza che la sintesi porta con sé, come si fosse scovata l’essenza ultima delle parti che prima dialogavano, rimanendo però entità separate. Metaforicamente parlando, forse anche andando oltre le intenzioni di chi crea questi contenuti, si potrebbe vedere questo processo come la manifestazione visiva del tentativo di unire le diverse componenti che formano un Paese, trovando una risultante simbolica che integri le differenze e restituisca una sintesi nuova. Lo spirito di un popolo raccolto in un colore, la descrizione immediata della sua identità.
Lo sforzo di riassumere gli stimoli visivi, e insieme quello di condensare in un’immagine l’anima di un luogo e dei suoi abitanti, sono anche gli elementi distintivi dello stile di una pittrice di origini libanesi, ma che ha vissuto a lungo negli Stati Uniti e in Francia: Etel Adnan (Beirut, 1925 – Parigi, 2021). Lei stessa è una sorta di conglomerato di usi e culture, raccolte in una persona e nella sua attività artistica, connotata da una ricerca profonda sui paesi che ha toccato con mano. Ma è soprattutto il suo approccio coloristico alla pittura, votato alla ricerca dell’essenziale, distillato in tentativi precisi e distribuito sulla tela in campiture piatte ma profonde, che l’avvicina idealmente alla riflessione precedente.
Lo racconta in modo efficace la retrospettiva, la prima in Arabia Saudita, che il The King Abdulaziz Center for World Culture (Ithra) di Dhahran le ha dedicato. Il titolo Etel Adnan, Between East and West introduce direttamente al contenuto dell’esposizione, che mette in luce il tentativo dell’artista di costruire ponti fra culture attraverso la sua arte. Disegni, dipinti, libri d’artista, arazzi e ceramica i medium attraverso i quali Adnan ha raccontato la California, Parigi e il mondo arabo. Curata da Sébastien Delot, ex direttore del LaM (Lille Métropole Musée d’art moderni, d’art contemporain et d’art brut), la mostra tocca tutte le fasi della carriera dell’artista, grazie ai prestiti di importanti istituzioni internazionali e diverse collezioni private. In totale sono 41 le opere, che spaziano dall’inizio dagli anni ’50 fino alle ultime creazioni nel 2021, anno della morte di Adnan.
A dominare, in un allestimento che ne riprende le tonalità pastello, sono le opere a olio e gli acquerelli a tema paesaggistico. Si tratta di dipinti elementari, in cui la profonda ricerca coloristica regge da sola l’impianto tecnico e contenutistico. É la componente cromatica a dettare la disposizione formale degli elementi, spesso ridotti a un’essenzialità geometrica, assemblati con leggerezza in un incastro che come un miraggio nel deserto vibra sul confine tra figurazione e astrattismo. Ed è sempre il colore a farsi carico della carica emotiva di queste scene prive di umanità, dove a incastrarsi sono spesso cielo, sole, mare, terra, colline, montagne. La vivacità delle cromie eleva l’atmosfera verso una serena leggerezza, velata appena da una vaga malinconia, forse la nostalgia tipica dei ricordi. In tal senso, il minimalismo agisce come una membrana che permette all’osservatore di applicare la scena raffigurata alla propria memoria, entrando così in sintonia emotiva con essa.
Per la maggior parte, infatti, i paesaggi sono privi di riferimenti precisi e galleggiano nell’onirico, sono scenari sognanti a disposizione di chi guarda. Con forme simili ma sempre diverse, colori non strettamente naturalistici, incastri fantasiosi e raffinati. Costruite in maniera intuitiva e spontanea, le opere sono intese a condensare e liberare l’energia della natura, che slegata da una precisa topografia ottiene accesso all’universalità. É il deserto arabo? La campagna francese? La costa californiana? Non si sa, ma nemmeno importa. Sono impressioni estetiche trasversali, minimi comuni denominatori di un paesaggio a qualsiasi latitudine. In tal senso può essere un linguaggio universale, la natura, composto da un vocabolario da utilizzare senza grammatiche precise.
Vi è un caso specifico, invece, in cui Adnan localizza in modo precisissimo il proprio soggetto: il Monte Tamalpais, su cui si affacciava lo studio californiano dell’artista. Adnan era solita ammirarlo e riprodurlo, tanto da definirlo il suo “migliore amico”. Era stupita da come la montagna cambiasse a seconda della luce, delle stagioni e del tempo. Variazioni che imprimeva sulla tela in uno sforzo d’approfondimento sullo stesso soggetto che ricorda Cézanne per la centralità della montagna (che per l’autore francese fu il Mont Sainte-Victoire), Monet per l’analisi luministica (per l’impressionista fu la cattedrale di Rouen) e Morandi per la prospettiva casalinga (per il pittore bolognese fu l’affaccio su via Fondazza).
Tra le altre opere in mostra, ci sono poi gli arazzi in lana, tessuti a mano di Adnan e ispirati ai tappeti persiani della sua infanzia. Seguendo la tradizione tessile araba, l’artista ha qui intrecciato i fili per creare storie vibranti e sospese nel tempo, senza rinunciare al colore come elemento fondante del suo linguaggio. Accanto a questi ci sono i Leporellos, una forma precisa di libro d’artista, di origine giapponese, ottenuto piegando a fisarmonica le pagine. Al suo interno parole e immagini dialogano a stretto contatto, affiancando i due campi artistici – letteratura e pittura – in cui l’artista si è più cimentata. Il contenuto – interpretazioni visive di poesie di grandi scrittori arabi contemporanei – diviene a sua volta occasione di incontro tra culture. Anzi, concettualmente Adnan con questa operazione vi ricerca proprio un’aderenza.
Infine, anche se in realtà è posto all’ingresso del museo e dunque funge da introduzione distaccata all’esposizione, il lavoro forse più impressionante tra quelli esposti è lo straordinario murale in ceramica di 25 metri quadrati, dove lo stile di Adnan si evolve e moltiplica su dimensioni ipertrofiche, abbandona la leggerezza delle pitture ad olio e satura lo spazio visivo dell’osservatore, incombe su di lui come una valanga coloristica che mira all’assoluto. Come se non ci fosse niente, più niente da percepire se non un paesaggio dove l’umanità si è fatta un tutt’uno.