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Padiglione Italia Biennale 2024. Due qui/To Hear: intervista con Massimo Bartolini

Massimo Bartolini, Bodhisattva che pensa, matita su carta, 2024
Tra meno di due mesi sarà inaugurata La 60. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia e al Ministero della Cultura di Roma è stato presentato il Padiglione Italia che quest’anno ospiterà il lavoro dell’artista Massimo Bartolini, con la curatela di Luca Cerizza (con l’assistenza di Francesca Verga)

Promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura, il progetto espositivo “Due qui/ To Hear” ha il suo nucleo centrale in una grande installazione sonora e ambientale: sarà un itinerario attraverso gli spazi del Padiglione Italia, incluso il giardino, incentrato sull’ascolto. Alla presenza del Direttore Generale Creatività Contemporanea e Commissario del Padiglione Italia, Angelo Piero Cappello, durante la conferenza stampa di presentazione il Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano ha salutato l’uscente Presidente della Biennale di Venezia Roberto Cicutto e il nuovo Presidente Pietrangelo Buttafuoco. Al contributo della Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura, si aggiunge quello di TOD’S in qualità di Partner, di Banca Ifis in qualità di Sponsor e di vari donors.

Luca Cerizza, ph. Margherita Villani
Il dialogo con “Stranieri Ovunque

L’installazione di Massimo Bartolini dialoga con il tema prescelto dal curatore Adriano Pedrosa di questa 60. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia: Stranieri Ovunque / Foreigners Everywhere. Infatti, l’installazione del Padiglione Italia, dal forte carattere esperienziale, pone al centro la pratica dell’ascolto come azione votata all’incontro con il sé e con l’altro. “Due qui / To Hear” è un gioco di parole che suggerisce la natura relazionale del suono, con un ascolto che è allo stesso tempo fisico e metaforico, aperto a diverse declinazioni. Ad accogliere i visitatori in quest’esperienza sonora ci saranno due figure negli spazi del Padiglione: gli alberi del Giardino delle Vergini e un Bodhisattva Pensieroso. Quest’ultimo, figura tipica dell’iconografia buddista, è l’immagine di un sapiente che rinuncia all’illuminazione per dedicarsi all’indicare la via agli altri esseri umani.
L’artista ha scelto di lasciare lo spazio delle Tese delle Vergini nudo, per un’installazione che «non produce architettura ma suono: è una struttura che non occupa spazio ma lascia passare tutti e passa attraverso tutti, generando comunità temporanee unite proprio dall’ascolto di una stessa fonte», spiega Bartolini. Fonte che ha visto il coinvolgimento di altri artisti del mondo della musica, in una pratica creativa sullo stile della jam session musicale. Così, nell’installazione di Bartolini entra il suono di Gavin Bryars, uno dei musicisti più importanti della musica sperimentale degli ultimi cinquant’anni. Insieme a lui le giovanissime Caterina Barbieri e Kali Malone. Si aggiungono la scrittrice e illustratrice per l’infanzia Nicoletta Costa e il romanziere e poeta Tiziano Scarpa, invitati a scrivere testi che saranno performati durante l’inaugurazione e il Public Program, curato da Luca Cerizza in collaborazione con Gaia Martino.

Le parole dell’artista

Così, in un impegno votato alla massima astrazione la materia incontra il suono, per un’esperienza avvolgente a 360°, diversa dalla prospettiva frontale del linguaggio visivo, l’unica “figura” concreta presente in mostra sarà il Bodhisattva pensante che ci suggerisce non una storia da vedere ma storie da ascoltare, custodite all’interno del sé. Performance, talk e workshop faranno parte del Public Program a cui si aggiunge una nuova performance appositamente concepita da Massimo Bartolini, Ballad for Ten Trees, con la presenza di dieci sassofonisti presso il Parco di Villa Fürstenberg a Mestre. In occasione della presentazione del Padiglione al Ministero della Cultura di Roma, l’artista Massimo Bartolini ci ha raccontato di “Due qui/ To Hear”.

Massimo Bartolini, ph. Margherita Villani

In seguito alla scorsa edizione, rimane la formula a due con un curatore e un artista, tu però hai deciso di coinvolgere anche altri artisti dal mondo della musica e di diverse generazioni. Come mai quest’idea?
Fa parte della mia pratica, sin dalla fine degli anni Ottanta. Ho studiato molto il teatro che è un luogo dove c’è molta commistione tra le arti, parto dal presupposto che l’arte è collaborazione. Da sempre ho operato in questo modo, per quest’occasione ho invitato dei musicisti che appartengono a un preciso settore: Gavin Bryars è un maestro della musica minimale di questi ultimi anni, è stato fondamentale nel trasporto dell’idea di musica di John Cage dall’America all’Europa. Le altre due musiciste sono molto vicine a questo ambito, in chiave diversa perché giovanissime ma condividono molto, la Malone è più analogica mentre la Barbieri è più elettronica. L’aspetto collaborativo fa sì che il lavoro non ti venga mai uguale, c’è sempre uno scambio che innesca reazioni inaspettate. In più, il lavoro collettivo mitiga l’aspetto dell’autorialità che per quanto mi riguarda è un po’ scomodo: all’idea del demiurgo che inventa tutto da solo preferisco il sapere che la vita sia prettamente collaborazione. Anche il concetto evolutivo in biologia è cambiato: vince chi collabora meglio, non chi si adatta meglio da solo. Questo l’ho sempre sentito e mi porta a fare le cose in sintonia a tutto il resto del pianeta.

Perché l’introduzione di una figura della cultura buddhista – che rappresenta comunque ideali condivisi da più culture?
La figura del Bodhisattva ha che fare con un aspetto biografico. Da ragazzo studiavo e praticavo il Buddhismo. Il Bodhisattva è una figura limite, è qualcuno che si ferma prima della deità e ha tantissimi aspetti così come tante iconografie. Quella che ho scelto io è una chiave iconografica orientale appartenente al Laos e alla Corea, dove appunto c’è questo aspetto dell’inazione, questo non-movimento. Il Bodhisattva è seduto sopra un fiore di loto: non lo ingloba e non ne è circondato. Questa figura l’ho associata molto all’aspetto dell’educazione che è molto importante nella mia vita – insegno da quasi nove anni – quindi la vedo come una specie di nume tutelare. Penso che oggi l’educazione sia una delle azioni più importanti, la più necessaria, e il Bodhisattva, secondo me, è un fulcro dell’educazione fatta da profonda empatia con l’altro.

Empatia che sarà facilitata anche dalla forma dell’installazione di “Due qui/ To Hear”, distribuita in vari spazi, in cui si sovrappongono diversi linguaggi.
Sì, appunto, l’installazione non ha un aspetto linguistico determinato. C’è il linguaggio sonoro ma anche quello del camminare – le Tese sono tremila metri quadrati, ti ci metti dentro e hai fatto cinquemila passi! La penso come una specie di sentiero in cui si siano l’autopercezione del corpo, l’ascolto, la vista ma anche la temperatura, un fuori e un dentro, la luminosità. Per questo abbiamo lasciato lo spazio così ruvido: perché non renda tutto analogo ma vi siano differenze.

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