Sol LeWitt è il protagonista del terzo appuntamento della “rinata” rubrica di Giancarlo Politi “Amarcort: Incontri, Ricordi, Euforie, Melanconie”
Sono stato un frequentatore storico di Sol LeWitt, anche se gli inizi della nostra amicizia furono un po’ turbolenti. La redazione di Flash Art allora, 1973, era in un bell’immobile di Viale Piave 6, qui a Milano, in coabitazione con Gino Di Maggio che gentilmente mi ospitava. Ma la redazione di allora era esigua, mi pare una segretaria in un tavolo in un angolo, nell’altro il tavolo di Massimo Minini, allora mio collaboratore. E che abitava anche con me, in Via Ariosto, un appartamento molto particolare, forse individuato proprio da Massimo che frequentava un amico pittore al piano sottostante.
Avevo incontrato Sol LeWitt fugacemente a Roma, da Sargentini, nel 1969 e poi l’avevo rivisto qui a Milano da Franco Toselli. Un rapporto civile, cordiale, fatto di sorrisi e poche parole.
Nel 1973, una mattina in Viale Piave, impegnato allo spasimo a risolvere i problemi di sopravvivenza di Flash Art e miei personali, vedo apparire all’ingresso il faccione rubicondo ma furioso di Sol LeWitt che mi si avventa contro stringendomi con le sue forti mani il collo. Io all’epoca ero un baldo giovine forse anche buon lottatore (l’infanzia e fanciullezza in campagna e poi la vita fatta di dure realtà mi avevano forgiato forte e vigoroso) e non temevo nessuno. Ma vi assicuro che le mani strette inaspettatamente attorno al collo mi diedero una sensazione di soffocamento che non avevo mai avuto prima. Poi io, forse con l’intervento di Di Maggio o di Massimo Minini, riuscii a divincolarmi. E chiesi subito spiegazioni all’iracondo Sol. E lui incominciò a gridare che ero un criminale e un mafioso italiano perché avevo ospitato una pubblicità della Galerie m di Bochum, molto ben congegnata debbo dire, una pubblicità comparativa, in cui il titolare, l’abile Alexander von Berswordt aveva messo a confronto un’opera di François Morellet con quella di Sol LeWitt, apparentemente molto simili ma con date molto diverse. A favore di Morellet, ovviamente.
Io cercai di spiegare a Sol LeWitt che si trattava di una pubblicità e a quei tempi una delle poche retribuite e che non avrei potuto assolutamente rifiutare. Lo invitai a replicare eventualmente sulla rivista e a spiegare le differenze tra le due opere così simili. Ma Sol non intendeva ragioni. Per lui io avrei dovuto semplicemente rifiutare quella pubblicità in nome dell’intelligenza e della nostra frequentazione. Sol in quel momento somigliava veramente a una sua opera, era cioè un imperioso massimalista che pretendeva di occupare il mio spazio vitale e professionale. Sol evitò la dialettica del confronto con la pubblicità ma accettò la mia proposta di disegnare una copertina di Flash Art sul numero successivo.
Dopo due giorni mi fece pervenire il progetto: la copertina di Flash Art realizzata solo con i dati tecnici della rivista che si ripetevano su tutta la pagina. Una scritta maniacale e di suo pugno in stampatello: Flash Art, Viale Piave 6 20129 Milano, direttore Giancarlo Politi, abbonamento annuo lire 5.000, sostenitore 20.000 ecc. E questa tiritera si ripeteva sino a riempire ogni spazio della copertina. A distanza di 50 anni non saprei dire cosa pensassi, ma all’epoca, nel pieno rigurgito del minimalismo e concettualismo, tutto poteva accadere e tutto sembrava così splendido e nuovo e così la pubblicai, ricevendo anche moltissimi complimenti e felicitazioni. Oggi, passata l’euforia dell’arte concettuale, non avrei mai accettato quella proposta. Ma si sa, i tempi cambiano e noi con loro.
Ho rivisto spesso Sol LeWitt in Umbria, talvolta a cena in montagna da Maurizio Cancelli che lui frequentava e dove credo abbia lasciato un Wall Drawing su una parete di una casa diroccata. Ma più spesso lo vedevo a Spoleto dove lui, su indicazioni di Marilena Bonomo, sua grande sostenitrice, aveva acquistato una grande casa. E a Spoleto e in Umbria, lui aveva scelto di vivere almeno sei mesi l’anno. Spesso molto di più. E lo vedevo arrivare con un suo macchinone polveroso a Trevi, Foligno e in qualsiasi cittadina dell’Umbria dove si tenevano manifestazioni e cene o pranzi in nome dell’arte. E sempre felice e rubicondo e con me, sempre abbracci e baci e ormai dimenticato del nostro diverbio milanese.
Nel 1990, in occasione della inaugurazione della mia abitazione in Viale Stelvio, un grande loft molto più simile a una galleria americana che a una abitazione, gli chiesi di progettarmi su una ampia parete un Wall Drawing come lui ne stava realizzando in Italia. Lui ne fu felicissimo. Ci accordammo sul prezzo, molto generoso da parte sua, e il pittore fiorentino Marescalchi lo realizzò su precise indicazioni di Sol. Il mio Wall Drawing, pubblicato anche nel volume Wall Drawings di Adachiara Zevi, molto bello ancora ogni giorno mi ricorda il problematico amico Sol LeWitt. Purtroppo dopo 34 anni mi sono accorto di aver perduto (o mai ricevuto?) il bozzetto e il certificato (due foglietti di carta, come si usava allora) e ora il Wall Drawing ancora impressiona gli amici, ma non ha più alcun valore di mercato. Peccato, di questi tempi mi avrebbe fatto comodo alienare il progetto a qualche museo o fondazione. Una vendetta postuma di Sol per la pubblicità che tanto l’amareggiò? Forse.
Giancarlo Politi
giancarlo@flashartonline.com