A Milano, la Galleria d’Arte Frediano Farsetti presenta la personale di Luca Campigotto. In mostra una selezione di scatti dedicati al mondo industriale, realizzate tra il 1997 e il 2023. Dal 7 marzo al 20 aprile 2024.
“Rotaie che brillano in controluce, gru come dinosauri, carriponte che sollevano giganteschi pezzi di navi, grovigli di tubi. E poi ciminiere, serbatoi, ingranaggi. Il ventre della bestia è fatto di ferro e luce di fuoco – lurido, caldo e polveroso come la fucina del dio Efesto, il fabbro perfezionista e dall’orrido aspetto che riesce a sposare la più bella, Afrodite, da cui poi verrà tradito“.
Con queste parole Luca Campigotto racconta della poesia maestosa e decadente mondo industriale, concentrata nel paradosso per cui il suo lento decadimento diviene esteticamente gradevole. Un meccanismo che pare un cortocircuito, se non fosse che già gli antichi – con Efesto, il fabbro dall’orrido aspetto che riesce a conquistare Afrodite – conoscevano l’imprevedibile seduttività di ciò che non dovrebbe sedurre.
Così, a sedurre il fotografo il fotografo veneziano sono i particolari legati a macchinari e luoghi dedicati alla produzione, a volte abbandonati, a volte ripresi nelle maggiori industrie italiane, veri e propri centri d’eccellenza del nostro saper fare. “I macchinari sono d’ogni forma possibile. Alieni d’acciaio. Robot zoomorfi e nevrastenici. Tutto è cupo e potente. Sferzato da lampi, immerso negli acidi. Un universo nascosto, elettrico e nauseabondo”.
Nel caso della mostra presentata da Galleria d’Arte Frediano Farsetti, in esposizione troviamo: al piano terra ciminiere, serbatoi, ingranaggi; al secondo piano differenti contesti produttivi; mentre al terzo i porti di Genova e Venezia.
Le fotografie di Campigotto sono poi soggette a un lungo lavoro di post produzione al fine di rivelare non l’oggetto o il paesaggio in sé, ma come l’artista lo ha visto nel suo immaginario. La ricerca di corrispondenza tra l’immagine finale e quella ideale risulta quindi frutto di un processo sedimentato profondo. “Nel mio immaginario, un misto tra la Coketown nera di fumo descritta da Dickens e la miniera di Stachanov nel tragicamente attuale Donbass ucraino“.
Gli scatti di Campigotto sono testimonianze reali e nello stesso tempo fantastiche, i macchinari diventano alieni e robot colti nella loro potenza, i porti di Venezia e Genova cattedrali a cielo aperto in cui tutto si è fermato per un attimo. L’uomo non compare mai ma tutto ciò che vediamo è una testimonianza di quanto da lui realizzato. “Le maestranze sono invisibili, della loro operosità non resta che un fantasma stremato dalla fatica. Il paesaggio industriale rimanda alla scienza che travalica ogni limite, al genio di un diverso Rinascimento“.