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Ecco Julie Mehretu e Pierre Huyghe tra Palazzo Grassi e Punta della Dogana

Pierre Huyghe, (from left to right) Offspring, 2018, Pinault Collection; Offspring, 2018, Courtesy Leeum Museum of Art. Installation view, “Pierre Huyghe. Liminal”, 2024, Punta della Dogana, Venezia. Ph. Ola Rindal © Palazzo Grassi, Pinault Collection
Pierre Huyghe, (from left to right) Offspring, 2018, Pinault Collection; Offspring, 2018, Courtesy Leeum Museum of Art. Installation view, “Pierre Huyghe. Liminal”, 2024, Punta della Dogana, Venezia. Ph. Ola Rindal © Palazzo Grassi, Pinault Collection

Dal 17 marzo due mostre risplendono in Laguna nelle due “case” di Pinault. Punta della Dogana presenta “Liminal”, uno dei progetti più ambiziosi di Pierre Huyghe a oggi. Concepita dall’artista francese insieme alla curatrice Anne Stenne, l’esposizione presenta un importante nucleo di opere inedite, affiancate a lavori degli ultimi dieci anni, alcuni dei quali provenienti dalla Pinault Collection.

Pierre Huyghe si è sempre interrogato sul rapporto tra l’umano e il non umano e concepisce le sue opere come finzioni speculative da cui emergono altre forme di realtà possibili. Le finzioni sono per lui “veicoli per accedere al possibile o all’impossibile—a ciò che potrebbe o non potrebbe essere”.Con “Liminal”, Pierre Huyghe trasforma Punta della Dogana in uno spazio dinamico e sensibile in costante evoluzione. La mostra è una condizione transitoria popolata da creature umane e non umane e diventa il luogo in cui si formano soggettività in perenne processo di apprendimento, trasformazione e ibridazione. Le loro memorie si amplificano grazie alle informazioni captate a partire da eventi, percettibili e impercettibili, che attraver sano la mostra. L’esposizione si apre con l’opera omonima Liminal, una simulazione di un personaggio enigmatico dalla forma umana, spogliato di tutto, senza mondo, senza cervello e senza volto. Questa figura è un passaggio tra mondi che non si conoscono, tra la nostra realtà sensibile e un’entità inumana, ed è attraversata da forme nascenti di cognizione e sensazione, tra cui un organoide cerebrale che reagisce al dolore. Contemporaneamente, voci sconosciute risuonano nelle sale. Una lingua inedita, Idiom, si autogenera e si sviluppa durante tutto il periodo della mostra, grazie a maschere capaci di captare stimoli esterni, indossate da personaggi che si muovono nello spazio di Punta della Dogana. Proseguendo nel percorso, il film Human Mask rivela una scimmia che indossa una maschera umana e che, da sola, ripete gli stessi gesti, come un automa, in un ristorante abbandonato nei dintorni di Fukushima, in Giappone. Al centro di Punta della Dogana, il film Camata montato in tempo reale, senza inizio e senza fine, mostra un rituale sconosciuto e in costante evoluzione, eseguito da grandi macchine robot su uno scheletro ritrovato nel deserto di Acatama in Cile. Assistiamo così a uno scambio tra un’entità incorporea e un corpo umano senza vita.

Julie Mehretu. EnsembleCon Nairy Baghramian, Huma Bhabha, Robin Coste Lewis, Tacita Dean, David Hammons, Paul Pfeiffer e Jessica Rankin

Dal 17 marzo 2024 al 6 gennaio 2025, Palazzo Grassi presenta la più grande mostra mai dedicata a Julie Mehretu in Europa. A cura di Caroline Bourgeois e dell’artista, la mostra si compone di una selezione di oltre cinquanta dipinti e stampe realizzate da Julie Mehretu negli ultimi venti cinque anni insieme a opere più recenti, prodotte tra il 2021 e il 2023. Distribuita sui due piani di Palazzo Grassi, la mostra riunisce 17 opere della Pinault Collection oltre a prestiti provenienti dalla collezione dell’artista, da musei internazionali e da collezioni private.L’esposizione è punteggiata dalla presenza di opere di alcuni amici artisti, con i quali Julie Mehretu condivide una forte affinità e un rapporto stretto di scambio e collaborazione. Presentata secondo un principio di rimandi visivi, “Ensemble” si sviluppa in un percorso libero e non cronologico, permettendo di esplorare la pratica artistica di Julie Mehretu, di comprenderne l’origine e l’incessante rinnovamento.Come le stratificazioni e le sovrapposizioni che compongono i dipinti dell’artista americana, la mostra prende forma nelle corrispondenze che, nel corso degli anni, si stabiliscono tra le opere. La sua pratica, profondamente radicata nell’astrazione, è alimentata dalla storia dell’arte, dalla geografia, dalla storia, dalle lotte sociali, dai movimenti rivoluzionari e dal carattere di tutti coloro che hanno lasciato un segno in questi importanti settori della conoscenza e della creazione.A questo processo di stratificazione, che moltiplica la superficie delle immagini, fa eco la dimensione collettiva, l’idea di lavorare insieme, evidenziata dalla pre senza in mostra di opere dei suoi amici, Nairy Baghramian, Huma Bhabha, Tacita Dean, David Hammons, Robin Coste Lewis, Paul Pfeiffer e Jessica Rankin, creando un dialogo fecondo con il suo stesso lavoro. Al di là delle differenze formali, emergono preoccupazioni e linee di forza comuni, che fanno superare l’idea che l’artista basti a se stessa, dimostrando, al contrario, che si trova in relazione con gli altri, con le loro idee e sensibilità. Le opere degli artisti invitati ispirano Julie Mehretu e risuonano con il suo lavoro, con il suo modo di guar dare il mondo. Tanto più che tutti questi artisti, anche Julie Mehretu, hanno vissuto come fondante e formativa l’esperienza di fuga o di abbandono del proprio Paese, come ad esempio l’Etiopia, l’Iran o il Pakistan. La loro partecipazione alla mostra è quindi la manifestazione della profonda attenzione di Julie Mehretu nei confronti di quelle relazioni intessute, del loro carattere determinante e del loro potere creativo

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