Domani (28 marzo) sarà l’apertura officiale di Art Basel Hong Kong. Cosa abbiamo visto tra gli stand delle oltre duecento gallerie partecipanti nei due giorni di apertura? Ecco il nostro punto di vista
Con buona pace per le ideologie, in una fiera si deve vendere e lo sappiamo. E che l’atmosfera a Hong Kong sia frizzante si percepisce dal primo istante, ovvero dalla giornata First Choice, aperta solo a collezionisti e a pochi addetti ai lavori. Tra le gallerie è un susseguirsi di scambi di contatti e di informazioni e in diversi si ritirano in separata sede…E che si vende? Di tutto e di qualità, nonostante – ribadiamolo – essendo Art Basel la più globale delle fiere non è di certo il suo compito primario offrire un servizio di primo scouting e, anzi, deve andare al sodo.
E allora partiamo, e partiamo dalla pittura che anche qui abbonda, e con grande quantità: si fanno notare i quadri psichedelici e in stile Donne sull’orlo di una crisi di nervi un po’ espressionisti, un po’ alla Otto Dix in versione contemporanea della giovane Celeste Rapone, statunitense di Chicago che porta in scena Marianne Boesky. Mayoral di Madrid/Parigi ha un immenso Tàpies, a ricordarci la drammatica grandiosità dell’artista catalano che abbiamo visto solo poche settimane fa in occasione della Settimana dell’Arte di Madrid, nell’imperdibile retrospettiva al Centro d’Arte Reina Sofia. Mind Set, di Taipei, infila una serie di splendide pittura di artisti cinesi che hanno avuto esperienze internazionali e forse dall’arte europea Medioevale e Moderna hanno appreso una certa espressività che, mixata all’identità orientale, esplode in una dimensione davvero curiosa: c’è Rao Fu, che da Taiwan si è spostato in Germania e che ha fatto dei suoi soggetti una visione inquietante, che ricorda i contrasti e gli acidi di Munch; c’è Tang Jo-Hung, che invece dalla Spagna sembra aver raccolto il respiro de El Greco, e la capacità di dipingere in maniera completamente libera, senza fotografie né disegni ad accompagnare la tela. Tra i più presenti in fiera c’è anche il nostro Salvo con una serie di splendidi paesaggi, non solo nelle gallerie italiane Mazzoleni e Massimo Minini con Francesca Minini, ma anche da Acquavella.
Nonaka-Hill di Los Angeles, nella sezione Insights dedicata agli spazi curati, ha uno stand splendidamente minimale, mostrando due Maestri giapponesi – la scultura in ceramica di Tadaaky Kuwayama e le pitture, che sono in realtà più dei moduli geometrici a causa del loro meraviglioso rigore, di Kyzomizu Rokubery VIII. Pifo di Pechino ha Ma Ke e il suo universo quasi fumettistico su scala sovradimensionata che – può piacere o no – trasuda anche quella certa melancolia tipica dell’Oriente. Platform China di Pechino ha un ottimo stand di soli pittori cinesi assolutamente figurativi e decisamente curiosi, per lo meno nelle rappresentazioni al limite anch’esse del surreale: Qui Ruxiang, Zhang Yexing, tra gli altri. Il both della tedesca neugerriem-schneider offre invece uno splendido dialogo tra un tronco d’albero in bronzo di Ai Weiwei, alcune strutture aeree di Tomás Saraceno dai colori sabbiosi e di differenti materiali, e un orizzonte di paesaggi di Billy Childish che si staglia lungo tutto il perimetro dello stand. Bravi.
Tra gli encounters, ovvero le 16 grandi installazioni che accompagnano l’area centrale dei due padiglioni e che fungono un poco da Unlimited, segnaliamo la splendida installazione del messicano Yoan Capote, rappresentato da Ben Brown: si tratta di un paesaggio marino in tempesta le cui onde scure sono composte da migliaia di piccoli arpioni assemblati, e da un banco ondulato di pietra nera, un vera e propria seduta per contemplare l’opera ma sulla quale non possiamo sederci, mentre subito siamo trascinati nella fantasia tra Jules Verne e Hermann Melville, immaginando di navi e di turbolenze.
Umberto di Marino, per la seconda volta a Hong Kong e dunque ancora appartenente all’area delle Discoveries ha un bel solo show dell’italiano Eugenio Tibaldi, e nella stessa sezione c’è anche Waitingroom di Tokyo porta in scena forse la video-installazione più curiosa, più politica e più sexy della fiera, firmata dall’artista Fuyuhiko Takata. Si intitola Cut Suits, 2023: in un grande schermo cinque uomini sono intenti a tagliarsi l’un l’altro, tra sorrisi divertiti e nessun ammiccamento sessuale esplicito, il completo d’ordinanza, quello che porta al lavoro tutte le mattine, quello del business man, quello di chi vorrebbe strapparsi la cravatta, quello di chi ha una doppia vita, quello di chi vorrebbe strangolare il capo, e forse anche la moglie. Fuyuhiko con un’azione semplicissima, in pochissimi passaggi e minuti, mette in mutande quell’intero sistema economico e di convenzioni che attraversa il mondo: bravo anche lui, e infatti anche Artnet lo inserisce tra i migliori tre stand della fiera.
Per il resto? Non poteva di certo mancare un giro in città in alcune delle grandi gallerie che partecipano anche alla fiera, ma non ci sono grandi sorprese: David Zwirner offre una personale di Wolfgang Tillmans che, senza nulla togliere al fotografo tedesco, non è di certo una novità, anzi, è un vero e proprio format; Hauser & Wirth propone una personale di Glenn Ligon con una nuova produzione completamente in bianco che non cambia di una virgola stile e messaggio mentre PACE punta sulla pittrice Kylie Manning, dell’Alaska, e sui suoi toni nordici e a sua volta un poco da fine del mondo. Va molto meglio da MASSIMODECARLO, dove Yan-Pei Ming ci svela uno dei segreti di Hong Kong, dove esiste un’isola che ospita un santuario improvvisato di centinaia di statue di ceramica, vetro e argilla del Buddha e di altre divinità protettrici, depositate di fronte al mare. Un trionfo di blu il cui titolo, “Kung Hei Fat Choi” si traduce come “un augurio di prosperità”.