Sono gli amanti di Julio Cortázar a volteggiare nei cieli d’olio di Oscar Contreras Rojas. Per quasi due mesi, dal 6 aprile al 26 maggio, le volte celesti febbricitanti del pittore messicano (Toluca, 1986), di stanza a Firenze, saturano le pareti della Stella Rouskova Gallery tra i caruggi di Genova, in Vico di San Matteo 12r. Il titolo della mostra riecheggia uno stralcio della struggimento del poeta franco-argentino (Ixelles, 1914-Parigi, 1984), contemplato dall’artista e compiutamente riverberato nelle tele presentate nella galleria genovese. “Antes de oler el dia”, ovvero “Prima di fiutare il giorno” che segue il gioco e il giogo lirico degli amanti prima che albeggi e la città li separi, almeno fino al crepuscolo successivo. Amanti e amori che si guardano, si toccano, respingono e riprendono. Esattamente come le tensioni che si assembrano nella pittura di Oscar. Vortici, lampi, schianti, fremiti che si scaricano nelle formazioni elettriche celesti in mostra. Formazioni, perché oltre all’aria e ai vapori questo ciclo ci cieli, che vede l’infinito (formato) grande e le piccole epifanie intelate di pochi centimetri, è costellato da morfologie geologiche, una ancestrale fusione tra terra e cielo, dove si crogiolano frammenti di laghi e torsioni di foreste vergini. Limiti liquidi, non ci sono confini. Uno attraversa l’altro e viceversa. È una scissione cosmica e colante al cui interno si muovono anfratti di storie e orizzonti di racconti. Che parlano di Messico, luogo d’origine del pittore, e che si caricano delle impressioni energetiche di maestri dell’Estremo Oriente come Chu Teh-Chun o Zao Wou-Ki. Che divampano dalle atmosfere delle “glorie” venete (da Sebastiano Ricci alle visioni di Tiepolo e Piazzetta) o che narrano di semplici spaccati di vita quotidiana attraversati ogni mattina per andare a dipingere, nello studio, vista telaio e cielo. “Volevo ricominciare a lavorare senza idee figurative di partenza, gli scorci di cielo che si vedono dal mio studio sono stati la scintilla iniziale. Volevo fare delle grandi nuvole che in alcuni punti del cielo si addensano fino ad arrivare a pezzi di figura”, così racconta Oscar, e così, nella sua limpidezza, si muovono le tele. Scintille che sprazzano i verdi e i viola e tagliano la sabbia e gli azzurri, nuvole che si abbracciano nel tempo e si sciolgono, di loro sponte, in stralci di figure opalescenti e vaganti. La poesia di Cortázar tira le fila di queste particelle d’acqua e di colore che galleggiano nella notte dei secoli, e giungono fino a oggi, qui e ora. “Quei versi mi facevano pensare alla vita di questi mesi. Arrivare in studio la mattina, dopo aver lasciato mio figlio a scuola, senza sapere esattamente cosa andavo a fare, quadri che non vedevo da tipo due giorni. Mi viene in mente quello scambio di senso, invece di vedere, annusare, cambiare senso per approcciarmi alla ripresa di questi quadri che mi sembravano estranei quando li rivedevo.” Annusare i quadri, fiutarli, come fanno gli amanti nel loro incedere quotidiano. Sentire e sentimento della memoria. Come recita il pittore davanti alla tela dilatandone lo spazio e le coordinate temporali. Un corpo a corpo che rievoca citazioni colte, pregne di mito, come piccole gioie e intime velleità, leggere e spontanee. Nel limbo tra antitetiche, solo in apparenza, dimensioni balena l’altrove e appaiono-scompaiono le luci di perla di Oscar che contornano il senso. Rimangono i vortici che risucchiano i cenote, le nubi rosa e dorate che avvolgono i miracoli e scontornano “la notte piena di occhi”. Un accadimento spirituale in atti liberi, una contingenza che brama e vibra sulla superficie della tela, senza risparmiare i gemiti e gli affanni di “lenzuola che si aprono”. E lasciano tracce, umori, solchi. Come quelli degli amanti.