Massimo Uberti (1966-2024), artista concettuale, fedele al neon bianco, esponente della Light Art italiana si è spento prematuramente a causa di un male incurabile, ma continuerà con le sue opere rigorose a illuminarci sul significato simbolico dello spazio, del tempo, ponendo l’accento sull’aspetto umanista e architettonico del luogo.
È un classico modernissimo Massimo Uberti, che ha illuminato la nostra cultura rinascimentale, connessa alla nostra memoria e percezione dello spazio di un tempo che non passa, disegnando con luce calda di LED bianca e diafana ambienti, volumi, strutture, metaspazi smaterializzati in cui tutto è paesaggio e presagio di altro.
L’artista bresciano ha disegnato con la luce, materiale duttile attraverso il quale ha intrecciato un dialogo sotteso con il territorio e ha invitato l’osservatore a riflettere sul valore del nostro patrimonio architettonico e paesaggistico. Lo ha fatto a partire dal 1991, con l’installazione Il dittatore, ideata nell’ambito del progetto “Imprevisto” al Castello di Volpaia a Radda Chianti (Siena), fino a Orbita (2022), un’imponente opera luminosa site-specific permanente collocata all’esterno del Castello di Gamba, a Chatillon, sede del Museo d’Arte Moderna e Contemporanea della Valle da Aosta. Quest’opera, inoltre, è stata uno dei progetti vincitori del PAC2020 Piano per l’Arte Contemporanea, promosso dalla Direzione Generale Creatività del Ministro della Cultura.
In queste e in altre installazioni in luoghi pubblici e privati il neon bianco è stato la ‘matita luminosa’ di Uberti, con cui ha tracciato una linea continua tra passato e presente, con il fine di riconoscere un paesaggio reale e immaginario e scoprire uno Spazio Amato (2020), come suggerisce il titolo dell’opera realizzata in occasione dell’edizione 2024 di Hypermaremma, il festival di arte contemporanea del sud della Toscana, all’interno dell’Oasi WWWF del Lago di Byrano a Terre di Sacra a Capalbio (GR).
Uberti negli anni Novanta è stato tra i protagonisti del gruppo di artisti Lazzaro Palazzi e a Milano ha codificato la Light Art con una serie di opere, tra le altre ricordiamo il grande Tendente Infinito nella mostra “Sogni di una città possibile” nel 2008, dove ha riproposto su larga scala il disegno di Sforzinda (1465), la città ideale di Antonio Averlino, detto il Filarete, che appare incastonata nel chiostro della Magnolia alla Fondazione Stelline del capoluogo lombardo.
Architettura ideale e sublimazione del desiderio di un paesaggio immaginato, dove tutto è calma, bellezza e armonia è stato l’obiettivo di Uberti, attraverso la luce, materiale dell’immateriale da manipolare ed esplorare in dialogo con ombra e architetture effimere. Lui s’è spento, ma in rete continuano a vivere le sue opere come “insegne” che evidenziano nuove partiture percettive dello spazio. Noi siamo lo spazio che percepiamo, immaginiamo e trasformiamo, Uberti – come Picasso nell’arte africana -, ha trovato nella cultura italiana del Rinascimento i suoi codici espressivi e poetici, elaborando uno stile riconoscibile attraverso forme geometriche, come cerchio, linee essenziali o parole per inscenare un’esperienza collettiva di una sorta di caccia al tesoro sui generis di bellezza che produciamo nella nostra epoca drammatica, violenta e carica d’odio, comunque piena di magia e di opportunità di rinascita. E là dove c’è luce, c’è un segno di speranza, dove incontrarci.
Grazie Massimo, ci mancherai. Le tue opere nel tempo acquisiranno diversi contenuti sempre più mirati sulla consapevolezza della sostenibilità ambientale e sociale, a favore di una Light Art utile in cui etica ed estetica definiranno nuovi paradigmi sulla progettualità del futuro, al di là della spettacolarizzazione dei luoghi, per intrecciare dialogo umanistico tra luogo, memoria, identità e fruitori.