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Un Pilade del Duemila messo in scena da Bluemotion

Foto di Guido Mencari
Foto di Guido Mencari

Dopo aver tradotto nel 1960 l’Orestea per lo spettacolo di Vittorio Gassman a Siracusa, Pier Paolo Pasolini volle scrivere un quarto capitolo della Trilogia degli Atridi di Eschilo. Nel suo dramma intitolato Pilade vediamo cosa succede dopo che Oreste, assolto dal tribunale dell’Areopago ad Atene, torna ad Argo. Ma questa volta a subire un processo non sarà lui, ma l’amico Pilade. 

Quella di Pasolini è una delle tragedie cosiddette borghesi, in questo caso, una tragedia del dopo. In essa si legge la mancanza di opposizione tra vittoria e sconfitta, un tema centrale nel percorso sulla riscrittura del mito, una forma di morte sociale che destabilizza e che oggi più che mai comprendiamo benissimo. Pasolini amava il mito greco perché in esso trovava la sua stessa ricerca di un linguaggio capace di cogliere il mistero ontologico del reale.

In Pilade è chiara la fine di un’era in cui i personaggi si trovano, frastornati e stanchi, a vivere impreparati un passaggio storico le cui conseguenze per loro sono ancora imprevedibili. Una stagione mitica difficile da scorgere nell’ordine corrente che la compagnia Bluemotion (in questi giorni a Genova al Teatro Ivo Chiesa) traduce trasformando le Eumenidi in corpi transessuali, i contadini della tragedia in migranti sfruttati e possibili partigiani del futuro, mentre Pilade, Oreste ed Elettra danzano verso il fallimento condotti da un’Atena stanca di difendere la divina ragione. Eroi che non sono più capaci di agire perché tra vittoria e sconfitta non c’è più differenza.

Foto di Guido Mencari

Nel dramma di Pasolini i tre personaggi diventano portatori di ideologie differenti, con continui rimandi alla realtà dell’Italia del dopoguerra; il teatro di parola si trasforma così in un’allegoria civile, in un conflitto di idee che trova varie rispondenze nell’attività giornalistica dell’autore. Oreste rappresenta la modernizzazione americana, Elettra incarna invece un attaccamento morboso alla tradizione, mentre Pilade condensa l’utopia di una sintesi destinata a fallire.

Un senso di fallimento che nella versione di Bluemotion è presentato da subito sin da quando il pubblico prende posto in platea accompagnato da un suono incessante e inquietante, più rumore che musica, che introduce già alle suggestioni e atmosfere di una cupa contemporaneità. Per la regista Giorgina Pi, Argo è un luogo disperso, buio, abbandonato, dove i personaggi si ritrovano dopo un rave, agli albori degli anni Duemila, sperimentando la fine di un’era. 

Ma benché cupo, lo spettacolo è vibrante e conserva l’indubbia complessità del testo. Certamente chiede molto al pubblico (soprattutto agli occhi dei presenti) ma è preciso ed essenziale in ogni passaggio. Lo scenario ritrae i bassifondi urbani dove sorgono carcasse di automobili e roulotte e pile di copertoni, tutte tracce di rovine di questo tempo che fu.

Foto di Guido Mencari

L’atmosfera che si viene a creare è fatta di tensione tra attori e pubblico, tutto diventa come un un rituale intimo, in cui la visione frontale (stile opera lirica) risalta l’aggraziata regia di toni e movimenti. Le figure in scena evocano tutti gli eroi greci narrati da Eschilo, ma sono eroi stanchi, appunto perdenti. 

Un «dialogo ideologico», come lo definisce lo studioso qui dramaturg Massimo Fusillo, con la tragedia classica in cui inserire come reagenti elementi sì contemporanei, ma che mirano a conquistare – e non sempre ci riescono – una stessa potenza archetipica.
Bravissimi tutti gli attori da Valentino Mannias (Pilade), a Gabriele Portoghese (Oreste),  Aurora Peres (Elettra), fino alla seduttiva Sylvia De Fanti nel ruolo di Atena. Ma straordinaria anche Nicole De Leo un’attrice attivista transessuale che qui raffigura le Furie tramutate in Eumenidi e poi ri-trasformate da Atena. In scena anche Anter Abdow Mohamud, il vecchio, che consegna le notizie in somalo che poi vendgono tradotte da Cristina Parku, giovane attrice italo-ghanese, espressione di una seconda generazione che raccoglie il testimone dei padri. Tra lei e Pilade è stato creato un dialogo privilegiato, immaginando che Antonio Gramsci (sul cui modello Pasolini chiaramente scrisse il personaggio di Pilade) potesse parlare a una giovane afrodiscendente di oggi.

Lo spettacolo , prodotto da Teatro Nazionale di Genova ed Emilia Romagna Teatro, è andato in scena dal 5 al 7 aprile al Teatro Ivo Chiesa di Genova. 

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