Spazio Roseto si trova a Milano, incastonato in un luogo che in passato ospitava il convento di S. Anna dei Teatini: si tratta di un gioiello architettonico ristrutturato ancora sconosciuto, dove Roseto e Harves presentano un paesaggio di cieli stellati di Mario Schifano (Homs, Libia 1934 – Roma 1998), pittore e regista protagonista della Pop italiana ed europea, sperimentatore di nuovi linguaggi.
Una mostra unica, concepita come un viaggio dentro il suo mondo immaginario in cui arte e vita convergono, secondo un approccio filologico e più contemporaneo.
Entrati in questo magico chiostro in via Garibaldi 95, le “rose” sono una ventina di opere inedite di Schifano provenienti da varie collezioni di privati e di proprietà di Roseto, dipinte tra il 1966 e il 1968, e mai esposte al pubblico fino ad oggi. I curatori Monica Schifano e Marco Meneguzzo con la mostra “Compagni in un’oasi sotto il cielo stellato”, ci presentano così una opportunità di conoscere un periodo di rivoluzioni personali del turbolento artista, tra i più innovativi i del Novecento, organizzata in collaborazione con l’Archivio Schifano. L’esposizione non ha precedenti perché inscena una stanza delle stelle e un corridoio con palme e suggestive oasi, da attraversare, portandoci dentro a paesaggi tutt’altro che “anemici”, dove possiamo rileggere, con una prospettiva narrativa, opere dai soggetti banalizzati a causa di mostre discutibili e troppi falsi circolanti.
Perché vedere questa mostra?
Le opere sono assolutamente originali e inedite, nate da sogni di un’artista bulimico di vita, ambizione e volontà di trovare il suo ruolo nel mezzo di un’ epoca di rivoluzioni politiche e sociali, in bilico tra contestazione e leggerezza, che raccontano per immagini – come il cinema, illusioni e speranze di una intera generazione. Nel titolo della mostra c’è l’intenzione di accompagnare il fruitore in un viaggio metaforico dentro la tensione vitalistica di Mario Schifano verso un altrove, per mezzo di opere di grandi dimensioni che rispecchiano le esperienze, il vissuto e il desiderio di fuga di un artista sempre attuale. Uniche sono Inevitabile viaggio a Marrakesh, capolavoro composto da otto tele ispirato dal suo viaggio in questa terra dei miraggi che Schifano visitò nel 1969, Compagni (bacio) del 1968, Oasi (palma su fondo rosso e stelle), fino al l’incredibile Tutte le stelle, polittico concepito nel 1967 come uno studiolo rinascimentale, formato da otto tele, mai visto e fotografato prima d’ora, dipinto da Schifano per ricoprire parti del soffitto (un soppalco) in casa della principessa Patrizia Ruspoli a Roma. Lei, in mostra, la vediamo fotografata in bianco e nero, giovane e bellissima con minigonna e calze in lamé in perfetto stile anni ’60, incapsulata in un’ambiente “stellare” nato per ripensare l’universo, per sentire il mondo, dove spingere lo sguardo in uno spazio nuovo ancora tutto da esplorare, animato da brulicanti stelle in movimento su fondo azzurro-blu quasi fluorescente. E qui il fruitore può immergersi in una esaltante esperienza psichedelica senza assumere sostanze chimiche, fluttuando come un’astronauta dentro all’esaltazione di sensazioni e dei sensi per andare oltre le convenzioni sociali e utopie infrante di qualsiasi epoca, perché prima o poi, lo scrive Dante Alighieri E quindi uscimmo a riveder le stelle, come si legge nell’ultimo verso del XXXIV verso dell’Inferno.
Metafora del viaggio
Per Schifano tutto incomincia dal concetto di viaggio, necessario nell’epoca dell’Acquario, e sempre per andare prima dentro e poi “fuori di sé”, verso mondi e culture sconosciute. I suoi “compagni” dipinti solo nel ’68, icone pop svuotate di ideologie, le “oasi” (più noto come “palme”) o gli abbacinati “cieli stellati”, i soggetti più duraturi di Schifano che rappresentano, ancora oggi nell’inferno che viviamo, l’energia del sogno di cambiare il mondo, con tracce luminose da seguire verso un ignoto “chissà dove”.
Schifano è tra gli ultimi grandi pittori del Novecento, regista di film sperimentali, ricordiamo Satellite (1968), un lungometraggio di 82’ in cui racconta un viaggio nella propria stanza, dove la cinepresa ruota incessantemente a trecentosessanta gradi, inframezzato da immagini di cronaca, passando da immagini del Vietnam a diapositive ritoccate a mano, piene di stelle, usate per le serate al Piper di Roma, vissuto da quella generazione come un happening collettivo di leggerezza e vitalità sul precipizio della Guerra Fredda. Per l’artista la rivoluzione non è tanto politica, ma deve partire dal comportamento individuale, dal desiderio di andare lontano. Questa mostra racconta per immagini tranche de vie di Mario Schifano, tra il 1966 al 1970, con opere che viste così, tutte insieme, inscenano un metapaesaggio dell’evasione, in cui le stelle non sono quelle della bandiera americane o quelle rosse sovietiche, ma universali bagliori di speranza come promesse di felicità.