Print Friendly and PDF

Dalla geometria all’ambiente: La Ricerca delle cose di Tino Stefanoni

Tino Stefanoni, La ricerca delle cose, M77 Gallery, ph. Lorenzo Palmieri
Tino Stefanoni, La ricerca delle cose, M77 Gallery, ph. Lorenzo Palmieri
La mostra di Tino Stefanoni (Lecco 1937-2017) “La Ricerca delle cose”, prende il titolo da un’ opera del 1971 collocata all’inizio del percorso espositivo al piano terra della Galleria M77 a Milano, nata sulle ceneri dell’ex Officina del Volo in via Mecenate, dove la curatrice Elizabeth Mangini, docente di storia dell’arte e cultura visiva al California College of Arts di San Francisco, ha inscenato un viaggio dentro l’immaginario di un artista concettuale sui generis di metafisica concretezza, con opere ‘ponte’ tra modo materiale e quello spirituale, con la leggerezza di elfo

Il percorso espositivo ripercorre la sua carriera artistica con nuovo approccio critico, dagli anni Sessanta al XXI secolo, attraverso oltre cinquanta opere di diverse dimensioni e materiali distribuite su due piani della galleria. Una chicca al primo piano della galleria è l’installazione ambientale Stanza della pittura (1991), vista in poche occasioni da quando è stata realizzata, con traccia audio di Franco Mussida ACCORDO, 1991, 45’53” in loop.
Stefanoni ha studiato al liceo artistico e architettura al Politecnico, squadra il foglio, tira diagonali, seziona gli oggetti nello spazio con perizia tecnica, in cui inserire una variegata e maniacale riproduzione di oggetti del quotidiano in maniera seriale, in bilico tra Pop Art e Minimalismo. I disegni di oggetti banali degli anni ’70, d’ispirazione grafica in mostra, rivelano la sua volontà di attraversare le cose più che di rappresentarle per oltre un decennio, sperimentando supporti diversi come pannello, la tela, il ferro e la plastica.

Tino Stefanoni, La ricerca delle cose, M77 Gallery, ph. Lorenzo Palmieri

Con il senno di poi, e qui l’incanto, le cose evocate di Stefanoni come camice, giacche, tazze da tè, imbuti, buste, mestoli, borse dell’acqua calda, strumenti artistici, penne, matite, flaconi, compassi e mobili domestici, in realtà sono non cose, come ha scritto Byug-Chul Han, filosofo coreano nel libro Le non cose. Come abbiamo smesso di vivere il reale (2022): nella nostra epoca digitale, perduto il rapporto con la materialità e utilizzazione che qualificano le cose in rapporto all’uomo e allo spazio, percepiamo la realtà mediante uno schermo, con uno smartphone o mediante lo schermo del Pc, senza alcun contatto fisico in una dimensione immateriale, in cui tutto è immagine e ornamento di un tempo vissuto nel battito di un selfie.
Stefanoni incline alla ripetizione maniacale dell’oggetto, tipica negli anni Settanta, esegue prelievi anatomici di cose del quotidiano decontestualizzate, in cui l’ovvietà sfiora l’astrazione e la loro misteriosa impermeabilità. Soggetti dell’ingegno umano presentati su un’ampia varietà di materiali in modalità differenti di composizione e organizzazione dei singoli elementi formali in rapporto allo spazio, con il fine di ripensare la figurazione e il rapporto delle cose con l’uomo e l’ambiente.

Tino Stefanoni, La ricerca delle cose, M77 Gallery, ph. Lorenzo Palmieri

Negli anni Ottanta, con la ricomparsa del colore e il superamento del ‘concettualesimo’ mistificato nel decennio precedente, l’artista si è concentrato esclusivamente su paesaggi dipinti, come si vede in mostra nella serie Senza titolo e in altri dipinti d’ispirazione quattrocentesca, alla Paolo Uccello. Le sue metafisiche vedute irreali sotto cieli dalle atmosfere sospese, misteriose, configurano ambienti immobili e silenti in cui torri, case, tetti, cipressi diventano espedienti formali per rigorose e astratte composizioni geometriche dai colori puri e nitidi.
L’essenza dell’apparenza nelle cose e paesaggi di Stefanoni, intimiste e poetiche tracciano l’esistenza di un vissuto alla ricerca di una intrinseca bellezza. Silenziosamente le sue opere dialogano con il bianco asettico della galleria dalla rigida impostazione architettonica, dove prendono forma soggetti lirici, con leggera ironia come fenomenologia dello spirito.
Questa mostra si inserisce nel progetto di ricerca avviata da M77 dal 2018, di valorizzare artisti italiani storicizzati e meno noti al grande pubblico che hanno contribuito alle evoluzioni dell’arte visiva del secondo Novecento. Dopo le personali di Maria Lai, Emilio Isgrò, Alberto Biasi, Grazia Varisco, tanto per citarne alcuni, con Tino Stefanoni la galleria continua a ripercorre in modo scientifico la carriera di artisti con nuova sensibilità e approccio sperimentale.

Commenta con Facebook